Il Regno Unito va al voto nelle elezioni politiche il 4 luglio per rinnovare il Parlamento di Westminster in quello che, stando ai sondaggi, è destinato a essere un passaggio chiave per la storia britannica: con la fine dell’epoca di governi Tory, durata 14 anni, e il ritorno del Labour al potere per la prima volta dal 2010. Ecco i numeri e le regole dell’appuntamento con le urne.
I NUMERI
Su una popolazione di circa 68 milioni di persone, sono 50 milioni gli aventi diritto, ossia i cittadini britannici dai 18 anni in su chiamati a esprimere la loro preferenza per eleggere i deputati rappresentanti i 650 collegi in cui è suddiviso il Regno Unito, formato da quattro nazioni. Per la prima volta gli elettori – nel giorno in cui le urne sono aperte, giovedì 4 luglio dalle 7 alle 22 (dalle 8 alle 23 in Italia) – devono presentare un documento d’identità obbligatorio (dopo una modifica introdotta l’anno scorso): fatto comune nel resto del mondo ma non nel Regno. Anche i britannici residenti all’estero, circa 3 milioni, possono votare, indipendentemente da quanto tempo vivono al di fuori dal Paese.
LA LEGGE ELETTORALE
Nel Paese è in vigore il secolare sistema uninominale maggioritario secco del ‘first past the post’, come recita la definizione in lingua inglese: il che equivale a dire che passa solo il primo candidato, quello che ha ottenuto più preferenze in ognuno dei collegi in palio. Meccanismo che incide sull’assegnazione dei seggi in modo talora molto distorsivo rispetto ai consensi proporzionali: ad esempio, in base alla media dei sondaggi il Labour di Keir Starmer potrebbe conquistare fino a tre quarti dei collegi anche con un 40% scarso complessivo di voti a fronte, laddove si confermi il tracollo pronosticato ai Tories, dati attorno al 20%; mentre il partito populista Reform UK guidato dal leader euroscettico Nigel Farage, con oltre il 15% e il terzo posto nei suffragi accreditato dalle rilevazioni demoscopiche, potrebbe considerare un successo senza precedenti incassare 5 seggi, laddove i Liberaldemocratici, forza centrista più tradizionale e con un pacchetto di consensi più concentrati sul territorio può sperare di ottenerne 40 anche solo con un 12% circa.
IL PARLAMENTO DI WESTMINSTER
Nel Parlamento democratico più antico del mondo vengono eletti solo i 650 membri della camera bassa, quella dei Comuni, i cosiddetti ‘MP’ (Member of Parliament). Mentre quella alta, la Camera dei Lord, non è soggetta al rinnovo elettorale, essendo i suoi componenti scelti per cooptazione (salvo un piccolo drappello residuo di scranni ereditari che peraltro il Labour promette di abolire).
LE QUATTRO NAZIONI DEL REGNO
Una delle novità in queste elezioni riguarda la diversa ripartizione dei collegi nelle 4 nazioni che compongono il Regno Unito in seguito al cambiamento introdotto con la revisione dei confini nelle circoscrizioni elettorali, dovuto principalmente al fattore demografico. In questo modo all’Inghilterra, il territorio più popoloso del Paese (avendo da solo oltre l’80% degli abitanti del Regno), sono stati assegnati 543 seggi, vale a dire 10 in più del 2019; alla Scozia 57 (2 in meno), al Galles 32 (8 in meno); mentre per l’Irlanda del Nord resta il numero invariato di 18.
Le forze della sicurezza pachistane hanno ucciso 15 combattenti appartenenti al Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp) in tre distinte operazioni nella provincia nord-occidentale del Khyber Pakhtunkhwa (Kp). Lo rendono noto i militari, precisando che le operazioni sono state condotte nel distretto di Karak, nel Waziristan settentrionale ed in quello meridionale. Armi e munizioni sono state recuperate dai combattenti uccisi, che, secondo le stesse fonti, erano coinvolti in numerose attività terroristiche.
Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.
Le cause restano misteriose
Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.
L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili
Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.
Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.
Israele nel mirino dei sospetti
Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.
L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.
Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano
L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.
La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.
Le autorità portuali estoni hanno rilasciato oggi la petroliera Kiwala appartenente alla cosiddetta flotta ombra russa sequestrata due settimane fa nel golfo di Finlandia dopo aver constatato la presenza di oltre 40 infrazioni alla normativa sulla navigazione dell’Estonia. Lo comunica il ministero dei Trasporti estone. Secondo quanto comunicato dalle autorità estoni, la nave è stata dissequestrata in seguito alla risoluzione di tutte le infrazioni rilevate. La petroliera era già stata sottoposta a sanzioni da parte dell’Unione europea, del Canada, della Svizzera e del Regno unito.