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Politica

Regionali Campania, Maria Rosaria Boccia si ritira: “Non ho la forza di affrontare un nuovo calvario giudiziario”

Maria Rosaria Boccia, imprenditrice di Pompei e candidata alle Regionali campane con la lista Dimensione Bandecchi, annuncia il ritiro dopo aver ricevuto un secondo avviso di garanzia in poco più di un anno.

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Maria Rosaria Boccia, imprenditrice di Pompei nota alle cronache per il caso Sangiuliano, ha annunciato il ritiro dalla corsa alle Regionali della Campania, dove era candidata come consigliera con la lista “Dimensione Bandecchi”.

La decisione è stata comunicata attraverso una lettera indirizzata al presidente del movimento, Stefano Bandecchi, in cui la Boccia spiega le ragioni personali che l’hanno spinta a rinunciare.


“Ferita e stanca, non ho la forza di affrontare un altro avviso di garanzia”

“Caro Presidente, nella serata di ieri ho ricevuto il mio secondo avviso di garanzia in poco più di un anno. È stata una notizia che mi ha profondamente ferita”, scrive Boccia nella lettera.

“Sono giunta alla conclusione che non avrei la forza di affrontare nuovamente un simile calvario. Per questo motivo ho deciso di ritirare la mia candidatura al Consiglio Regionale della Campania”.


Il passo indietro dopo settimane di polemiche

La scelta arriva a pochi giorni dalla definizione delle liste e dopo settimane di attenzione mediatica attorno alla figura di Maria Rosaria Boccia, che negli ultimi mesi era stata al centro di polemiche per il suo presunto coinvolgimento nel cosiddetto caso Sangiuliano.

Con il suo ritiro, la lista “Dimensione Bandecchi” perde una delle sue candidate più note in provincia di Napoli. Boccia ha preferito fare un passo indietro per motivi personali e giudiziari, in un momento in cui — ha scritto — “la serenità e la dignità vengono prima di qualsiasi ambizione politica”.

La rinuncia, accompagnata da toni di amarezza e di stanchezza, chiude così una breve ma intensa parentesi nella corsa elettorale campana.

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Politica

Caso Almasri, Palazzo Chigi difende la decisione: “Il mandato di cattura era noto, l’espulsione giustificata”

Dopo le polemiche sul caso Almasri, Palazzo Chigi replica alle opposizioni: l’espulsione del generale libico fu giustificata perché esisteva già un mandato di cattura emesso dalla Procura di Tripoli.

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Dopo una giornata di silenzi e polemiche, Palazzo Chigi rompe il riserbo e difende la decisione del governo sul caso Almasri, il generale libico espulso dall’Italia lo scorso gennaio nonostante un mandato di cattura internazionale.

Secondo fonti dell’esecutivo, l’operazione era pienamente nota alle autorità italiane, che avevano ricevuto una richiesta di estradizione dalla Procura Generale di Tripoli già il 20 gennaio 2025, in contemporanea con il mandato emesso dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia.


“Tutto noto fin dall’inizio”

“Era tutto noto, nulla di nuovo rispetto a quanto deciso nei mesi scorsi”, ribadiscono da Palazzo Chigi, giudicando “singolare l’affondo delle opposizioni”.

Il governo sostiene di aver giustificato alla CPI la mancata consegna di Almasri proprio alla luce della richiesta di cattura proveniente dalla Libia, che aveva formalmente chiesto di poter procedere in via autonoma.


Le critiche dell’opposizione

Le opposizioni parlano invece di una pagina vergognosa per l’Italia.
La segretaria del Pd Elly Schlein attacca:

“È evidente che per la procura libica il diritto internazionale vale solo fino a un certo punto”.

Durissimo anche il leader M5S Giuseppe Conte, che accusa il governo di aver “umiliato il Paese”, mentre il deputato Francesco Silvestri ironizza:

“Chissà se ora Meloni chiederà la separazione delle carriere anche in Libia”.

Il vicepresidente di Italia Viva Enrico Borghi parla di “imbarazzo che si taglia a fette”, mentre Matteo Renzi definisce la vicenda “una vergogna per l’immagine internazionale dell’Italia”.

Più cauto Matteo Richetti di Azione, che definisce “imbarazzante” anche l’atteggiamento dell’opposizione, accusata di incoerenza:

“Poche ore prima avevano votato contro l’accordo Italia-Libia, e ora difendono Tripoli come un modello di democrazia”.


Il silenzio di Tajani e la replica del governo

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, interpellato in Parlamento, ha scelto di non commentare la vicenda, limitandosi a un “non me ne sto occupando” al termine del question time alla Camera.
Un silenzio che, per le opposizioni, rappresenta un segnale di “forte disagio” dell’esecutivo.

Ma da Palazzo Chigi ribadiscono che tutte le informazioni erano “ampiamente illustrate” al Tribunale dei ministri, alla Giunta per le autorizzazioni e in Aula, sottolineando come le accuse dell’opposizione “non rivelino alcuna novità”.


Un contesto politico mutato in Libia

Secondo fonti governative, la vera novità è rappresentata dalla situazione interna libica.
Da maggio, gli scontri armati a Tripoli hanno infatti indebolito la Forza Rada, la potente milizia a cui apparteneva Almasri, rendendo “materialmente possibile e politicamente utile” il suo arresto per il governo di unità nazionale libico.

Per l’esecutivo italiano, dunque, la linea resta ferma: nessuna violazione delle norme internazionali, ma una decisione coordinata con le autorità libiche e pienamente giustificata dai fatti.

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Economia

Firmato il nuovo contratto scuola 2022-2024: aumenti fino a 185 euro per i docenti e 240 per i ricercatori

Firmato all’Aran il contratto scuola 2022-2024: aumenti medi di 150 euro mensili per i docenti e fino a 240 per i ricercatori. Soddisfazione dei sindacati, tranne la Flc Cgil.

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Dopo mesi di incontri e trattative, è arrivata la firma sul contratto collettivo nazionale 2022-2024 del comparto Istruzione e Ricerca, che riguarda 1 milione e 286mila lavoratori, tra cui 850mila docenti. La firma è avvenuta nel pomeriggio all’Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni).


Gli aumenti: da 150 a 240 euro mensili

Il nuovo contratto prevede aumenti medi di circa 150 euro mensili per 13 mensilità, con punte fino a 185 euro per gli insegnanti, in base all’anzianità di servizio, e 240 euro mensili per ricercatori e tecnologi.

Sono previsti anche arretrati che, per i docenti, potranno arrivare a circa 2.000 euro. I sindacati hanno chiesto di avviare subito la trattativa per il rinnovo del contratto 2025-2027, con l’obiettivo di consolidare gli incrementi salariali e recuperare il potere d’acquisto eroso dall’inflazione.


Le posizioni dei sindacati

La firma è stata accolta con soddisfazione da Cisl, Uil, Gilda, Anief e Snals, mentre Flc Cgil ha scelto di non firmare, ritenendo insufficienti gli aumenti:

«Gli incrementi coprono meno di un terzo dell’inflazione del triennio – ha dichiarato il sindacato – e sanciscono la riduzione programmata dei salari del comparto».


Valditara: “Rispetto e dignità per chi lavora nella scuola”

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha definito l’accordo «un risultato storico»:

«Gli stipendi erano fermi da anni, dal 2009 al 2018. Oggi diamo rispetto e dignità a chi lavora per l’istruzione dei nostri giovani».

Valditara ha ricordato che, tra i contratti 2019-2021 e 2022-2024, gli aumenti medi per i docenti sono stati rispettivamente di 123 e 150 euro, mentre per il personale Ata di 89 e 110 euro. Con il prossimo rinnovo 2025-2027, il totale dei rialzi raggiungerà 416 euro lordi mensili per gli insegnanti e 303 euro per il personale Ata.

Soddisfatto anche il ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, che ha parlato di “un segnale concreto di attenzione verso un comparto fondamentale dello Stato”.


Un impegno economico da 4,1 miliardi di euro

Il presidente dell’Aran, Antonio Naddeo, ha sottolineato che con la firma dei contratti di Enti Locali e Istruzione e Ricerca, si completa un percorso che coinvolge oltre 1,6 milioni di dipendenti pubblici, pari a metà della platea del pubblico impiego, per un impegno complessivo di 4,1 miliardi di euro a regime.


Verso il rinnovo 2025-2027

L’Aran ha già anticipato che il nuovo contratto 2025-2027 potrebbe prevedere ulteriori incrementi medi di 135 euro mensili, con 142 euro per i docenti e 104 euro per il personale Ata, a partire dal 1° gennaio 2027.

Con la firma di oggi, il governo e i sindacati segnano una tappa fondamentale per la valorizzazione del personale scolastico e universitario, ponendo le basi per una stagione di rinnovi contrattuali all’insegna della stabilità e del riconoscimento professionale.

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Politica

Antimafia, Ranucci chiede la segretezza e conferma pressioni: “Pedinato da un agente dei servizi segreti a Palermo”

Audizione ad alta tensione in Commissione Antimafia: Sigfrido Ranucci chiede la segretezza e conferma di essere stato pedinato da un agente dei servizi segreti. Fazzolari replica duramente a Scarpinato.

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Una svolta destinata a far discutere quella emersa durante l’audizione del giornalista Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, davanti alla Commissione parlamentare Antimafia.
Dopo appena tredici minuti dall’inizio dell’audizione, la seduta si è accesa con le domande dell’ex magistrato e senatore del M5s Roberto Scarpinato, che ha chiesto conto a Ranucci delle dichiarazioni rese a Bruxelles lo scorso 25 marzo.

In quell’occasione il giornalista aveva sostenuto che, in seguito alla preparazione di una puntata sul padre della premier Giorgia Meloni e di Arianna Meloni, il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari avrebbe coinvolto i servizi segreti per ottenere informazioni sulla trasmissione.


La richiesta di segretezza e la conferma del pedinamento

Ranucci, presente a Palazzo San Macuto anche in seguito all’attentato subito il 16 ottobre davanti alla sua abitazione di Pomezia, ha chiesto immediatamente la segretezza della seduta, rivolgendo la richiesta direttamente alla presidente Chiara Colosimo.
La diretta dell’audizione è stata interrotta e i consulenti allontanati dall’aula.

Secondo fonti parlamentari, a microfoni spenti Ranucci avrebbe sostanzialmente confermato quanto dichiarato a Bruxelles, pur non collegando i fatti all’attentato contro la sua auto.
Nel corso dei trenta minuti secretati, il giornalista avrebbe raccontato di pressioni e attenzioni anomale, alcune segnalate anche dalla sua scorta.

Tra gli episodi riferiti, uno in particolare risalirebbe ai giorni tra il 12 e il 13 maggio, a ridosso di una puntata dedicata alla strage di Capaci e all’omicidio di Piersanti Mattarella.
Ranucci avrebbe raccontato di essere stato pedinato da un agente dei servizi segreti mentre si trovava a Palermo e Bagheria per la presentazione di un libro.
Il presunto 007 lo avrebbe seguito anche sul volo da Roma a Palermo e durante il ritorno nella Capitale.


Fazzolari replica a Scarpinato: “Insinuazioni deliranti”

A infiammare ulteriormente la giornata sono state le domande pubbliche di Scarpinato, che hanno provocato la reazione immediata del sottosegretario Fazzolari, che ha definito le affermazioni «insinuazioni deliranti».
«Ho sempre avuto una bassissima considerazione di Scarpinato – ha aggiunto – e mi rincuora constatare che il mio non era un pregiudizio immotivato».

Lo stesso Scarpinato ha replicato poco dopo:

«Non ho fatto alcuna insinuazione tra il sottosegretario e l’attentato, ho solo posto delle domande per chiarire i fatti».


La posizione della presidente Colosimo

La presidente della Commissione, Chiara Colosimo, ha annunciato che la Commissione Antimafia approfondirà le dichiarazioni di Ranucci, mentre lo stesso giornalista sarà ascoltato anche dalla Commissione di Vigilanza Rai.

Un’audizione che, partita come un atto di routine dopo l’attentato di Pomezia, si è trasformata in un passaggio politico delicato, con nuove ombre su presunte interferenze e attività di intelligence attorno al lavoro giornalistico di Report.

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