Pur essendo catturati da problematiche ben più gravi, questa tragedia ci porta a fare i conti anche con faccende sicuramente “minori” ma che hanno comunque la capacità di incidere negativamente sulla nostra quotidianità. Nulla rispetto al pericolo del contagio o della morte, ma sempre più Italiani sono costretti a cimentarsi con l’interruzione delle normali attività e quindi con tutte le conseguenze che esse comportano.
Dato il particolare periodo dell’anno, in queste settimane da più parti si pongono richieste di chiarimenti soprattutto in merito al pagamento di rette scolastiche pur a fronte di interrotte frequenze presso istituti privati, così come la facoltà di disdire abbonamenti TV legati prevalentemente al mondo del calcio quanto la possibilità di ottenere rimborsi per biglietti ed abbonamenti già acquistati per partecipare, dal vivo, alle competizioni della propria squadra del cuore.
Proviamo quindi ad analizzare, senza avere alcuna pretesa di esaustività o insindacabilità data la vastità della materia, quantomeno gli aspetti generali con qualche “incursione” nei sopracitati casi specifici, ponendoci da parte del privato cittadino anche meglio identificabile nella figura delcd. “consumatore”.
Dunque, mediante l’istituto del “recesso” e della “risoluzione”, che trovano principale fondamento negli articoli del Codice Civile e del cd. “Codice del Consumo” (D. Lgs. 206/2005) si delineano modalità e tempi per interrompere un determinato vincolo contrattuale ed ottenere sia la liberazione dai pagamenti futuri sia l’ottenimento di restituzioni per quanto già eventualmente sborsato. Sono previste altresì anche possibilità risarcitorie qualora emergessero specifiche responsabilità di una parte contrattuale, in tale contesto individuabile principalmente nella figura del fornitore o dell’imprenditore.
Il recesso consente di svincolarsi da un contratto secondo criteri prestabiliti dalle parti o dalla legge, solitamente esercitabile in un determinato tempo anche a fronte del pagamento di penali,che possono variare da un tipo all’altro (Art. 1373 Codice Civile). Sicuramente nel contesto in cui ci troviamo trova interessate rilievo, tra gli altri, il disposto dell’art. 2119 del Codice Civile, che consente a ciascuno dei contraenti di recedere con preavviso prima della scadenza del termine se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non ne consenta la prosecuzione, anche provvisoria.
La risoluzione contrattuale (art. 1453 Codice Civile) dal suo canto consente di sciogliere il rapporto a prestazioni corrispettive in corso allorquando si rileva: l’inadempimento della controparte, l’impossibilità sopravvenuta di una prestazione o l’insorgere di “eccessiva onerosità”.
Già dall’enunciazione di tali disposizioni generali, da declinare ovviamente secondo la miriade di specifiche norme di settore e competenza, possiamo comunque già intuire come a fronte della sottoscrizione di un contratto di una certa durata, proprio come nel caso dell’abbonamento TV o dell’iscrizione dei propri figli presso una scuola dell’infanzia privata, sia sicuramente consentito di anticipare lo scioglimento del rapporto e quindi essere liberati dai pagamenti dei canoni non ancora maturati.
L’esercizio di tali facoltà appare ampiamente riconosciuto nel caso di abbonamenti TV, laddove è generalmente prevista la clausola di recesso anticipato salvo un preavviso solitamente pari ad un mese.
Meno pacifica appare invece la questione delle rette scolastiche. Ovviamente per quanto riguarda la scuola dell’obbligo bisogna rilevare che qualora il servizio venga comunque garantito attraverso la cd. “didattica a distanza”, non si pongano particolari problemi, soprattutto in regime di gratuità, salvo analizzare residuali ipotesi di riduzione della eventuale retta legata ad una diminuzione dei servizi “correlati”, come ad esempio quello della mancata fruizione della mensa o dell’utilizzo di dormitori. In tal caso, continuerebbe a sussistere l’obbligo del solo pagamento del prezzo della retta per servizio didattico, se a pagamento, che verrebbe comunque garantito seppur con metodi alternativi (telematici, elettronici ecc.).
In merito invece alla scuola dell’infanzia e degli asili nido privati, ove non vige l’obbligo scolastico ( a parte quindi ogni ovvia deduzione a fronte del servizio reso dal settore pubblico in forma sostanzialmente gratuita ) ci si trova di fronte a contratti stipulati tra utenti ed imprese commerciali private. In tal caso, a prescindere dalla durata prefissata e stante l’assenza di un servizio inerente la didattica obbligatoria, appare pertanto possibile confermare lo scioglimento del vincolo qualora il servizio venga sospeso o comunque interrotto per causa non imputabile all’utente. Pertanto l’impresa o l’associazione privata sopporterà le conseguenze anche della causa di forza maggiore che grava sull’imprenditore in termini negativi, come appunto nel caso della sopportazione delle perdite d’azienda imposte per la lotta alla diffusione del “Covid19”.
Proprio a tal riguardo si rammenta come il nostro Ordinamento prevede l’accollo delle perdite dell’azienda in capo all’imprenditore così come, in contesti opposti, ne giustifica anche un profitto illimitato.
Qualora ci si dovesse imbattere in clausole contrattuali tese ad escludere l’esercizio di tali facoltà in capo all’utente o “consumatore”, esse saranno da considerare come “vessatorie” e quindi non potranno spiegare alcuna efficacia. La retta in tali casi non potrebbe essere pretesa in pagamento in modo legittimo.
In merito all’acquisto di abbonamenti o biglietti per assistere a partite delle squadre di calcio, si segnala come l’Antitrust abbia recentemente avviato un’attività finalizzata all’imposizione del recupero integrale, in favore dei tifosi, di quanto già pagato per le partite non più disputate a causa della pandemia da“Covid19” tutt’ora in drammatico corso.
Anche il tal caso graverebbe sulle singole società il peso economico dell’interruzione dell’attività calcistica, seppur per causa non direttamente imputabile alle medesime ma appunto generata dall’imprevisto evento pandemico. Tuttavia la “F.I.G.C.”, attualmente impegnata in una miriade di attività legali connesse al recesso ed alla risoluzione dei contratti inerenti le attività confluenti nell’universo calcistico, ivi compresi gli ingaggi dei calciatori ed i diritti televisivi, auspicherebbe soluzioni diverse, più mitigate o quantomeno “compensative”, al fine di ammortizzare l’accollo integrale di tutti gli effetti negativi della vicenda in corso in capo alle Società calcistiche. Ma a parte un non imprevedibile intervento legislativo ad hoc, anche in tal caso il “consumatore” dovrebbe ottenere il rimborso di quanto già pagato non dovendo né potendo sopportare il rischio d’impresa che anche in tal caso va assunto dalle imprese sportive.
Ad ulteriore conferma di quanto prospettato si consideri anche la condivisibile scelta, da parte del Governo, di concedere vantaggi fiscali e specifiche misure di sostegno a favore di imprenditori e professionisti, che potranno così vedere attenuati i gravi effetti del “Covid19” sulle loro finanze.
La conclusione di quanto rappresentato dovrà trovare ovviamente conferma anche nella futura Giurisprudenza, ossia nella somma dei provvedimenti che saranno adottati nei nostriTribunali qualora tali questioni non si risolveranno pacificamente, in un futuro contesto giuridico che sarà sicuramente adeguato e rinnovato dalla portata innovativa e dirompente del“Covid19” sulle nostre vite.
Una situazione simile potrebbe essere rintracciata forse nella pandemia della cd. “Spagnola”, diffusasi circa un secolo addietro, quando però la stessa Repubblica Italiana non era che una lontana visione. Anche per tali motivi il futuro non appare certamente roseo ma è proprio per questo, che si manifesta oggi più che mai necessario, mantenere la massima allerta su tutti i fenomeni di potenziale sfruttamento e speculazione, perché quando l’emergenza sarà passatadovremo farci trovare pronti a combattere anche su questi nuovi fronti di minacciata Legalità.
Se avete curiosità da esaudire, problemi che non sapete come risolvere, consigli da chiedere, potete scrivere all’avvocato Giovanni Mastroianni. Questa la sua mail:giovanni.mastroianni@libero.it
In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .
In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.
Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.
Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.
Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.
“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.
Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet(foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.
Affluenza e composizione del voto
L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.
Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022
La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.
Il nuovo consiglio d’amministrazione
Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.
Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti
A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.
Donnet: «Ha vinto Generali»
«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.