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Cultura

“Raiola. Per i nemici Mino”, la biografia non autorizzata del procuratore più discusso e più temuto del dorato e opaco mondo del calcio

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Avete presente quando uno dice “qui succederà un casino?”. Ecco, il libro “Raiola. Per i nemici Mino” (Log Edizioni) farà molto discutere. Molto. A scrivere la prima biografia non autorizzata di Mino Raiola sono Giovanni Chianelli e Angelo Pisani, giornalista il primo, avvocato (anche di Diego Armando Maradona) e leader di un battagliero movimento di consumatori (Noi Consumatori) il secondo. Un libro che, spiegano gli autori,  “svela affari e segreti del super procuratore” che tiene in mano il bel mondo del calcio che conta e guadagna milioni di euro trasferendo da mane a sera calciatori celebrati che oggi giurano amore eterno per una squadra e pochi mesi dopo quello stesso amore, a chiacchiere, lo celebrano indossando un’altra maglia e baciando altre teche e pile. È il potere dei soldi. I calciatori, certi calciatori, si fanno guidare da procuratori “bravi” e aldilà e oltre alla loro bravura a prendere a calci in mutande un pallone, guadagnano una marea di soldi siglando contratti di ingaggio da capogiro. Chi riesce a fare di un buon calciatore anche un milionario, questo è Mino Raiola. “Figura anomala in un mondo patinato, Mino Raiola parla sette lingue, non indossa mai una cravatta e termina gli accordi in bermuda e camicia hawaiana. Alieno, scorbutico, ferino, guizzi geniali e zero fronzoli, zero padroni e, fino ad oggi, nessun libro che parli di lui” scrivono i due autori che per la prima volta un libro lo scrivono” così lo descrivono Pisani e Chianelli.

Angelo Pisani. Avvocato

Il segreto dello “gnomo ciccione” (vezzeggiativo usato dal suo amico Zlatan lbrahimović), l’agente dei calciatori più noto e discusso d’Italia e d’Europa, fa di tutto per guidare i giornali quando si tratta di condizionare una trattativa, per poi sparire quando la stampa vuole parlare di lui. 

Nasce in un paese della provincia di Salerno ma presto emigra ad Haarlem, Olanda. Qui, dai tavoli della pizzeria di famiglia, ottiene la procura di alcuni giocatori olandesi. È solo l’inizio di una storia di successo. 

Tutti conoscono gli affari conclusi, le dichiarazioni sopra le righe, le illazioni maligne dei detrattori, ma in pochi sanno, ad esempio, che possa essere discendente di Al Capone. Oppure che ami in modo morboso il cibo e che sia tremendamente divertente. E che da bullo davanti alle telecamere diventi un tenerone con gli amici: Galliani, Moggi, Moratti. Persino Zeman. E tanti altri, che i lettori incontreranno nelle pagine di questa biografia, insieme ad aneddoti al limite del dicibile, dettagli comici e, soprattutto, le trattative spericolate e i segreti che lo hanno reso il numero uno (o dieci?) degli agenti sportivi. 

Giovanni Chianelli. Giornalista

La vicenda di Carmine Raiola da Nocera Inferiore è ricostruita Pisani e Chianelli grazie ad un lavoro di ricerca fra notizie e fonti ufficiali. E poi ci sono anche ricostruzioni dell’attività di  Raiola liberamente ispirate a fatti accaduti “o talvolta completamente costruite per un gioco narrativo utile alla comprensione di passaggi e personaggi” spiegano i due autori. 

Il racconto corre dall’infanzia di Mino Raiola, passando per la nascita della sua prima società, la Intermezzo, fondata a 19 anni e termina con il suo rapporto con Donnarumma e il Milan. In questi oltre 20 anni di attività frenetica c’è il super procuratore che fa tremare società e mercati, ma anche la persona capace di offrire gesti di umanità, esprimere fascino anticonformista e far pesare un intuito micidiale.

“Raiola. Per i nemici Mino”  

di Giovanni Chianelli e Angelo Pisani
Log Edizioni

Il 28 settembre 2018, alle 18,30, la presentazione del libro sulle gradinate della libreria “Iocisto” al Vomero, in via Cimarosa 20, Napoli. Vicino all’uscita della funicolare di piazza Fuga.  Gli autori dialogheranno con Raffaele Auriemma, giornalista, Eduardo Cardillo, avvocato, Marco Lombardi, giornalista, Angelo Petrella, scrittore.

Letture e intrattenimento di Alessandro Bolide e Luca De Lorenzo. Le musiche sono di Giovanni Block

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Cultura

Ritrovato il 145/o manoscritto del Milione di Marco Polo

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Proprio nell’anno che celebra i 700 anni dalla morte di Marco Polo, è stato ritrovato un manoscritto del Devisement dou monde/Milione presente nei cataloghi, ma ignoto agli studi su Marco Polo (è assente da tutti i censimenti del Milione) che risulta essere l’ultimo dei codici oggi noti in ordine di tempo del testo del grande viaggiatore veneziano. Sono 145 raggruppati in diverse famiglie.

Il ritrovamento, che si inserisce nel più ampio lavoro sul Milione coordinato da Eugenio Burgio, Marina Buzzoni e Samuela Simion dell’Università Ca’ Foscari Venezia e Antonio Montefusco dell’Università di Nancy, riveste notevole interesse perché aggiunge nuove importanti informazioni riguardo alla trasmissione del testo e alle sue varie versioni. La storia della diffusione del Milione è in effetti una delle più intricate e appassionanti della letteratura medievale: il successo dell’opera determinò una fioritura di traduzioni, riscritture, adattamenti, riflesso dei numerosi ambienti in cui il testo fu letto.

Il manoscritto è un testimone quasi ignoto di una traduzione realizzata mentre Marco era ancora vivo, ed è da questa traduzione che derivano le versioni con cui il Milione venne conosciuto e letto. Il manoscritto è conservato nella Biblioteca Diocesana Ludovico Jacobilli di Foligno, con segnatura Jacobilli A.II.9, e trasmette la traduzione che gli studiosi chiamano VA, realizzata entro il primo quarto del Trecento nell’Italia nord-orientale.

L’importanza di questa traduzione risiede soprattutto nell’ampiezza della sua diffusione: il testo di VA venne infatti sottoposto a numerose traduzioni, sia in latino che in volgare, tanto che gran parte dei manoscritti superstiti è, direttamente o indirettamente, una sua emanazione. È quindi la versione in cui il libro di Marco Polo venne più letto e conosciuto in Europa.

Solo nei prossimi mesi si potrà aggiungere qualche informazione sulla posizione del manoscritto all’interno della tradizione manoscritta del Milione, in attesa di uno studio più ampio che sarà pubblicato su una delle riviste principali del settore. Tra le attività dell’anno dedicato a Marco Polo anche la pubblicazione della prima edizione digitale dell’opera di Marco Polo, resa disponibile agli studiosi di tutto il mondo e pubblicata da Edizioni Ca’ Foscari in open access e open source.

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Cultura

John & Yoko, amore musica e politica nel docu da Oscar

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John Lennon fa fare l’aeroplanino al figlioletto Sean appena nato e poi lo porta a spasso mentre Yoko Ono gli dà la pappa nella cucina dell’appartamento nel Dakota Building con vista su Central Park: un quadretto familiare tenero che è una delle tante scoperte di ‘One to One: John & Yoko’, il documentario dello scozzese Kevin MacDonald con Sam Rice-Edwards che è una vera e propria immersione negli anni newyorkesi di Lennon ormai separato dai Beatles. Il film è in anteprima mondiale fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia e poi andrà al festival di Telluride.

Il regista ha potuto accedere all’archivio Lennon e alla Lennon’s Estate e ricostruire l’esperienza della coppia che tra musica, concerti benefici, manifestazioni partecipava alla vita culturale della città e soprattutto a quella politica. Erano gli anni della guerra in Vietnam, dei cortei dei giovani che chiedevano stop the war e peace now – scene e frasi drammaticamente attuali – del presidente Nixon da boicottare ma che invece veniva rieletto, del governatore razzista dell’Alabama George Wallace oggetto di un attentato che infiammò l’America.

Cosa non si è detto, visto, scritto dei FabFour, del loro addio – The Beatles: Get Back di Peter Jackson nel 2021 è solo l’ultimo degli approfondimenti – di Yoko Ono rovina Beatles eccetera eccetera? Eppure One to One: John & Yoko getta nuova luce. Innanzitutto il periodo non troppo indagato: siamo nel 1971-1972, la coppia innamoratissima era arrivata dall’Inghilterra, aveva preso casa al 496 di Broome Street a Soho e al 105 di Bank Street al Village, trascorreva giornate a letto, il famoso periodo peace and love, strimpellando, cantando, intervenendo nei programmi tv, ma cominciava di fatto una nuova vita. Fu allora che John e Yoko si impegnarono pesantemente in cause politiche e realizzarono Some Time in New York City, passato alla storia come il peggior album di Lennon e soprattutto il concerto di beneficenza per la famigerata Willowbrook State School per bambini con disabilità intellettive, che un’inchiesta tv aveva svelato come un istituto in pratica di detenzione pediatrica.

Lennon e Ono (la cui figlia Kyoko avuta dall’ex marito Anthony Cox, le era stata sottratta con grande dolore) si buttano con generosità nella realizzazione del concerto così come in altre cause, spesso insieme all’attivista sociale Jerry Rubin e al padre beatnik Allen Ginsburg, tentando di coinvolgere anche un recalcitrante Bob Dylan e quegli slanci sono forse una delle belle scoperte del documentario. One to One ebbe luogo al Madison Square Garden il 30 agosto 1972, l’unico concerto completo che Lennon tenne dopo aver lasciato i Beatles e prima che venne ucciso da un fan squilibrato sotto casa l’8 dicembre 1980. Il film è il racconto di anni irrequieti per l’America, per Lennon e Yoko (femminista della prima ora partecipa alla prima storica riunione, 1971), tra pubblico e privato.

E poi però c’è la musica Imagine, Looking over from my hotel window, Hound Dog, Come together, 39, Mother e tante altre. “L’idea del film – ha detto il regista – è stare con loro, come seduti nella loro casa, c’è intimità, c’è la storia del dolore di Yoko che cercava la figlia e c’è anche la loro vulnerabilità di famosi, ricchi, generosi e idealisti che volevano fare la rivoluzione ma poi disillusi pensarono alle piccole cose da cambiare, come far star meglio i bambini della Willowbrook School”. E poi, se pure è un tema divisivo dagli anni ’60, c’è Yoko Ono “questo film ha dato a Yoko la possibilità di essere vista, uguale a John”.

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Il mare delle Egadi restituisce un rostro in bronzo

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Fu l’arma letale nella Battaglia delle Egadi, combattuta a nord-ovest dell’isola di Levanzo nel 241 avanti Cristo, che segnò la fine della prima guerra punica con la vittoria dei Romani sui Cartaginesi. Era il rostro a tre fendenti che si allungava a prua dell’imbarcazione. La trireme, lanciata a velocità sulle navi nemiche determinava, con il colpo del rostro, squarci micidiali nelle navi nemiche causandone il loro affondamento. L’ultimo importante reperto archeologico di questo tipo è stato appena restituito dal mare delle Egadi.

La campagna di ricerche di agosto ha, infatti, consentito di recuperare un rostro in bronzo che si trovava su un fondale a circa 80 metri di profondità. Il reperto è stato recuperato dai subacquei della “Society for documentation of submerged sites” (Sdss) con l’ausilio della nave oceanografica da ricerca “Hercules” che negli anni ha permesso, grazie alle sofisticate strumentazioni presenti a bordo, l’individuazione e il recupero di numerosi reperti riguardanti l’importante evento storico del III secolo a.C. Il rostro è stato trasferito nel laboratorio di primo intervento nell’ex Stabilimento Florio di Favignana ed è già al vaglio degli archeologi della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana.

Le sue caratteristiche sono simili a quelle degli altri già recuperati nelle precedenti campagne di ricerca: nella parte anteriore una decorazione a rilievo che raffigura un elmo del tipo Montefortino con tre piume nella parte superiore, mentre le numerose concrezioni marine non consentono ancora di verificare la presenza di iscrizioni. Le attività di ricerca nel tratto di mare tra Levanzo e Favignana sono condotte da circa 20 anni da un team formato dalla Soprintendenza del Mare, dalla statunitense Rpm Nautical Foundation e dalla Sdss.

“I fondali delle Egadi sono sempre una fonte preziosa di informazioni per aggiungere ulteriori conoscenze sulla battaglia navale tra la flotta romana e quella cartaginese. L’intuizione di Sebastiano Tusa continua ancora oggi a ricevere conferme sempre più puntuali, avvalorando gli studi dell’archeologo che avevano consentito l’individuazione del teatro della battaglia” ha commentato l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato. “Con quest’ultimo rostro – sottolinea l’assessore -, salgono a 27 quelli ritrovati a partire dai primi anni Duemila. Negli ultimi 20 anni sono stati individuati anche 30 elmi del tipo Montefortino, appartenuti ai soldati romani, due spade, alcune monete e un considerevole numero di anfore”. La battaglia delle Egadi, descritta da Polibio e da molti altri storici antichi, concluse la lunga prima guerra punica grazie ad una svolta impressa dall’audace ammiraglio Lutazio Catulo che sbloccò una situazione di stallo anche grazie a un’arma micidiale come quella rappresentata dal rostro.

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