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Qatargate, Giorgi e Figà-Talamanca restano in carcere

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La giustizia belga spacca il Qatargate e porta gli accusati su strade sempre più distanti, individuali e contrapposte. La moglie e la figlia di Antonio Panzeri riscuotono i favori dell’accordo da pentito dell’ex eurodeputato socialista e tornano libere in Italia, mentre in Belgio ad attendere il braccio destro del politico italiano, Francesco Giorgi, e il responsabile dell’Ong ‘No Peace Without Justice’, Niccolò Figà-Talamanca, c’è almeno un altro mese nel vecchio e malandato carcere brussellese di Saint-Gilles. Una decisione ferma da parte della giustizia belga, nel segno della linea dura del magistrato Michael Claise, convinto sin dall’inizio che “puntare la pistola alle tempie” degli indagati li porterà prima o poi a confessare tutta la verità nei minimi dettagli. Dettagli che lo stesso Claise sta cercando di raccogliere direttamente a Milano, quartier generale delle attività finanziarie della famiglia Panzeri, scandagliando ormai da due giorni carte, pc, telefoni cellulari e dispositivi informatici sequestrati nelle residenze italiane degli arrestati, compresa la commercialista della famiglia dell’ex sindacalista, Monica Rossana Bellini, finita ai domiciliari il 18 gennaio scorso.

Tra i corridoi del Palais de Justice di Bruxelles, la conferma della custodia cautelare nei confronti di Giorgi e Figà-Talamanca ha iniziato a farsi via via più probabile al termine di una doppia udienza durata nel complesso quasi tre ore. Un tempo insolitamente lungo usato dalla legale del responsabile della Ong, Barbara Huylebroek, per tentare di scagionare il suo assistito che risulta fin qui il personaggio con meno evidenze a suo carico nella trama di corruzione euro-marocchina-qatariota che all’inizio del dicembre scorso ha travolto il Parlamento europeo. Un tentativo che tuttavia non ha sortito l’esito sperato nemmeno nella richiesta di una scarcerazione sotto sorveglianza elettronica: Figà-Talamanca dovrà restare ancora in carcere lontano da moglie e figli con le accuse comuni a tutti gli indagati di associazione criminale, corruzione e riciclaggio. Accuse che per lui si basano su presunti – a differenza di Giorgi – contatti avuti per organizzare audizioni con la sua Ong quando il pentito Panzeri vestiva i panni di presidente della sotto-commissione diritti umani dell’Eurocamera.

Una linea difensiva portata avanti dalla legale belga che, assiepata dai giornalisti fuori dall’aula, è corsa via descrivendo come “complicata” una situazione che per ora non lascia intravedere spiragli a maggior ragione nemmeno al factotum di Panzeri e compagno dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili – anche lei in carcere -, trovato con valigie piene di contanti in casa. Primo ad ammettere il proprio coinvolgimento nel giro di soldi sporchi, Giorgi sembra ora scontare l’effetto del pentimento del suo vecchio protettore. Anche se il suo avvocato, Pierre Monville, ha cercato di fare buon viso a cattivo gioco, senza distribuire colpe a nessuno: la posizione del portaborse, stando al legale belga, “corre su binari diversi” rispetto a quella di Panzeri e non sarebbe ora precipitata a causa del memorandum da collaboratore di giustizia firmato dall’ex capo.

Un accordo che oggi ha comunque portato la figlia di Panzeri, Silvia, e la moglie Maria Dolores Colleoni a essere “libere” dopo un mese e mezzo ai domiciliari seppur, nella descrizione offerta dal loro legale Angelo De Riso, “prostrate a livello psicologico”. Scampate all’estradizione, le due donne sono pronte a dirigersi de plano in Belgio per farsi ascoltare dagli inquirenti certificando così uno scenario stravolto in due settimane. Uno scenario che vede i due binari sui quali Panzeri e Giorgi prima viaggiavano tra Bruxelles, Doha e Rabat insieme, allontanarsi sempre più. Come lontana resta anche la fine del tunnel per Eva Kaili, detenuta nella prigione di Haren e impegnata tramite il suo avvocato ellenico Mihalis Dimitrakopoulos a difendersi anche dalle accuse di “relazioni mercenarie” con Mosca mosse dall’eurodeputato polacco di estrema destra Jacek Saryusz-Wolski. La nuova chiamata davanti alla giustizia sarà per tutti tra metà e fine febbraio.

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Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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Media Houthi, 2 morti e 42 feriti nell’attacco israeliano

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E’ di almeno due morti e 42 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco israeliano lanciato oggi alla fabbrica Ajal nella provincia di Hodeida, nello Yemen. Lo riporta il canale al Masirah, affiliato agli Houthi, citato da Ynet e dall’agenzia russa Tass. E’ la prima reazione di ISraele all’attacco degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion dei giorni scorsi.

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Perù, coprifuoco a Pataz dopo la strage dei 13 minatori rapiti

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La presidente del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato il coprifuoco nella distretto di Pataz, nella regione settentrionale di La Libertad dopo che ieri la polizia ha ritrovato in un tunnel i corpi dei 13 lavoratori rapiti il 26 aprile scorso da minatori di oro illegali. Lo rendono noto i principali media peruviani.

Oltre al coprifuoco a Pataz, dalle 18 di sera alle 6 del mattino, Boluarte ha annunciato anche la sospensione dell’attività mineraria per 30 giorni in tutta la provincia oltre ad accogliere la richiesta delle autorità locali di aprire una base militare a Pataz, vista l’assenza della Polizia peruviana nella regione. La decisione segue di poche ore la diffusione di un video sui social media, registrato dai sequestratori, in cui si mostra come ciascuno dei minatori sia stato giustiziato a bruciapelo. Le 13 vittime erano lavoratori assunti dall’azienda R&R, di proprietà di un minatore artigianale che svolge attività di sicurezza per la miniera Poderosa, una delle principali compagnie aurifere della provincia, sempre più sovente bersaglio di attacchi da parte di minatori illegali e gruppi criminali. (

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