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Guerra Ucraina

Putin rafforza l’esercito e aumenta i soldati del 15%

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A quasi due anni dall’inizio dell’invasione in Ucraina, Vladimir Putin ha firmato un decreto per aumentare del 15% il numero dei soldati dell’esercito russo a causa delle “crescenti minacce” legate “all’operazione militare speciale e “alla continua espansione della Nato”. Una misura che riguarderà 170 mila nuovi effettivi ma che, si è affrettato a precisare il ministero della Difesa, non si tradurrà in una mobilitazione generale.

“L’aumento del numero del personale militare delle Forze Armate della Federazione Russa verrà attuato gradualmente con i cittadini che esprimono il desiderio di prestare servizio militare sotto contratto”, hanno spiegato da Mosca, accusando l’Alleanza atlantica di “attività aggressive” e di “dispiegare ulteriori armi di difesa aerea e d’attacco” vicino ai confini russi, compreso un potenziamento delle capacità nucleari in Europa e in Turchia. Il documento firmato da Putin fissa ora l’organico delle forze armate a 2.209.130 persone, di cui 1.320.000 militari. Nel precedente decreto, invalidato da questo nuovo documento, la cifra era di 2.039.758 persone, di cui 1.150.628 militari.

Mentre la guerra sul terreno continua a mietere vittime senza grandi avanzamenti da una parte o dall’altra (i russi hanno annunciato che dall’inizio della controffensiva, nel giugno scorso, gli ucraini hanno perso oltre 125 mila soldati), oggi il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha sostenuto che c’era un accordo per porre fine al conflitto ma non se ne fece nulla per l’opposizione dell’allora premier britannico Boris Johnson. Parlando a Skopje in un’affollata conferenza stampa a margine del vertice dell’Osce, Lavrov ha ricordato come alla fine di maggio del 2022 a Istanbul, al termine di varie sessioni negoziali, fosse stata raggiunta un’intesa. “Tre sessioni di trattative in Bielorussia, e l’ultima a Istanbul. L’accordo era stato raggiunto, come ha confermato uno dei partecipanti al negoziato per la parte ucraina, David Arakhamija.

Ma arrivò Boris Johnson che disse: no, dovreste continuare la guerra”, ha affermato Lavrov. David Arakhamija, al quale ha fatto riferimento Lavrov, è capogruppo nel parlamento ucraino del partito Servitore del Popolo del presidente Volodymyr Zelensky. In un’intervista televisiva nei giorni scorsi, Arakhamija ha ammesso effettivamente che la guerra poteva finire nella primavera del 2022 se l’Ucraina avesse accettato la neutralità. “L’obiettivo della Russia era indurci ad accettare la neutralità, sul modello della Finlandia degli anni scorsi, con la promessa di non aderire alla Nato, e su questo Mosca era pronta a porre fine alla guerra”, ha detto Arakhamija. Alla domanda sul perché Kiev non accettò, il politico ucraino ha risposto affermando che per questo serviva modificare la costituzione ucraina, e che inoltre non si fidavano dei russi.

Sulla decisione negativa di Kiev, sempre secondo Arakhamija, influì al tempo stesso il veto posto da Boris Johnson, che si disse contrario alla firma di un qualsiasi documento di accordo con Mosca, mostrandosi invece favorevole alla prosecuzione del conflitto armato. Nell’incontro con i giornalisti Lavrov, sul quale si sono concentrate buona parte delle attenzioni al summit Osce di Skopje, è poi tornato ad accusare Kiev e i suoi sostenitori in Occidente di non mostrare “alcun segnale di disponibilità a una qualche soluzione politica” del conflitto armato in Ucraina, sottolineando che per l’avvio di un processo di composizione politica si debba essere necessariamente in due, “come nel tango”, mentre “dall’altra parte sembra che ballino la breakdance”. Sempre sulla crisi ucraina, il capo della diplomazia del Cremlino ha poi denunciato quelli che ha definito piani dell’Occidente di installare una base militare americana nel Mar Nero e un’altra britannica nel Mar d’Azov.

“Se guardate la mappa potrete capire che si tratta di un qualcosa di inaccettabile per la Russia”, ha affermato, stigmatizzando i tentativi dell’Occidente di creare una minaccia diretta per Mosca proveniente dal territorio ucraino. L’Ucraina resta peraltro tra i temi dominanti dell’agenda europea, con la chiara presa di posizione del premier ungherese Viktor Orban, decisamente contrario alla prospettiva di un’adesione di Kiev all’Ue. “Non coincide con gli interessi nazionali dell’Ungheria”, ha detto oggi Orban, per il quale su questo tema è a rischio l’unità europea. A suo avviso, sarebbe opportuno stralciare dall’agenda del prossimo vertice Ue di metà dicembre la discussione sull’avvio del negoziato con Kiev. Meglio, per Orban, un accordo di partenariato strategico.

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Esteri

Trump: la Crimea resterà alla Russia, Zelensky lo sa

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Donald Trump torna a parlare della guerra in Ucraina e lo fa con dichiarazioni destinate a far discutere. In un’intervista rilasciata a Time, il presidente degli Stati Uniti ha affermato che “la Crimea resterà con la Russia”, aggiungendo che anche il presidente ucraino Zelensky ne sarebbe consapevole.

“La Crimea è andata ai russi, fu colpa di Obama”

«La Crimea è stata consegnata alla Russia da Barack Hussein Obama, non da me», ha ribadito Trump, sottolineando come la penisola fosse “con i russi” ben prima del suo arrivo alla Casa Bianca. «Lì ci sono sempre stati i russi, ci sono stati i loro sottomarini per molti anni, la popolazione parla in gran parte russo», ha aggiunto. Secondo l’ex presidente, se lui fosse stato alla guida del Paese, “la Crimea non sarebbe mai stata presa”.

“Questa guerra non doveva accadere”

Trump ha definito il conflitto in Ucraina “la guerra che non sarebbe mai dovuta accadere”, lanciando un messaggio implicito al presidente Joe Biden e alla gestione democratica della politica estera. A suo avviso, con lui alla presidenza, la situazione in Ucraina si sarebbe sviluppata in modo del tutto diverso, senza l’invasione da parte delle truppe russe.

Le dichiarazioni si inseriscono in un contesto internazionale già molto teso, mentre si continua a discutere del futuro della Crimea e dei territori occupati.

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Esteri

Mosca: generale ucciso in attacco terroristico

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La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha condannato come “un attacco terroristico” l’attentato in cui è morto oggi vicino a Mosca il generale Yaroslav Moskalik, ucciso dall’esplosione di un ordigno posto sulla sua auto. “La questione principale – ha detto Zakharova, citata dall’agenzia Tass – è come fermare la guerra nel cuore dell’Europa e del mondo. Vediamo così tante vittime ogni giorno. Anche oggi, un militare russo è stato ucciso in un attacco terroristico a Mosca”. (

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Esteri

Trump affida il dialogo con Mosca al suo uomo di fiducia Witkoff, uno che fa affari con oligarchi russi

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Donald Trump ha estromesso Keith Kellogg dai contatti sulla guerra in Ucraina. Il generale, pur essendo l’inviato ufficiale della Casa Bianca, è stato considerato in conflitto d’interessi per via del lavoro della figlia, che collabora con un’agenzia impegnata a fornire farmaci a Kiev. La notizia, rilanciata dalla stampa russa e dai servizi d’intelligence di Mosca, ha spinto Trump a escluderlo dalle trattative.

Witkoff entra in scena senza incarichi ufficiali

Al suo posto, Trump ha affidato i contatti con il Cremlino a Steve Witkoff, immobiliarista newyorkese e suo collaboratore personale. Witkoff non ha alcuna esperienza diplomatica né una posizione formale all’interno delle istituzioni americane. Tuttavia, gode della fiducia diretta dell’ex presidente e sembra avere piena libertà d’azione nei rapporti con la Russia.

L’ombra dell’oligarca Blavatnik nei suoi affari

A rendere controversa la scelta di Witkoff è il suo socio d’affari, Leonard Blavatnik, miliardario nato a Odessa, naturalizzato americano e britannico, considerato uno degli oligarchi più influenti. Blavatnik è finito nella lista delle sanzioni dell’Ucraina per i suoi rapporti con l’economia russa. Con Witkoff ha gestito operazioni immobiliari per oltre un miliardo di dollari.

Gli affari miliardari costruiti nell’era post-sovietica

Blavatnik ha fatto fortuna negli anni delle privatizzazioni in Russia. Con Mikhail Fridman e Viktor Vekselberg ha acquisito la compagnia petrolifera TNK e, nel 2003, ha siglato una partnership con British Petroleum. L’operazione si è conclusa nel 2013 con la vendita a Rosneft per 56 miliardi di dollari, con l’appoggio politico del Cremlino.

Trump ignora i rischi e tira dritto

Nonostante la posizione ambigua di Blavatnik — che ha definito la guerra “inimmaginabile” senza mai accusare Putin — Trump continua a considerare valido il canale con Mosca tramite Witkoff. Le attività comuni tra i due sono proseguite anche dopo l’inizio della guerra in Ucraina, con un recente investimento da 85 milioni di dollari. Per Trump, nessun problema. O forse, proprio per questo, un vantaggio.

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