Continua il muro contro muro fra maggioranza e opposizioni sulla Rai. Ma ora il centrodestra non contempla altri rinvii, e Giorgia Meloni sta cercando una sintesi con alleati e avversari su un presidente di garanzia, per risolvere lo stallo prima del 26 settembre, quando è previsto il voto dei quattro membri di nomina parlamentare, già più volte slittato. In mattinata la premier e gli altri leader della coalizione, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi, in una nota congiunta hanno proposto di aprire il “confronto” su una nuova legge dell’editoria e della tv pubblica, procedendo però intanto con l’elezione dei consiglieri e il rinnovo della governance. Nelle intenzioni era “un ramoscello d’ulivo”, ma le risposte sono state gelide. Elly Schlein ha ribadito la posizione del Pd: nessuna nomina prima della riforma.
Linea identica da Avs. E il M5s chiede di mettere “gli Stati Generali per la riforma della legge sulla governance – contraria ai principi del Media Freedom Act europeo – prima dei nomi”. Manca, per ora, la voce di Italia viva, e nella maggioranza c’è chi spera da tempo che siano loro a rompere il fronte dell’opposizione. Ma anche dal partito di Matteo Renzi sarebbe emersa una certa chiusura. Nel frattempo uno dei componenti della commissione di Vigilanza, Mariastella Gelmini, ha lasciato Azione, dovrebbe approdare a Noi moderati e al momento non avrebbe intenzione di dimettersi. Vuol dire un voto in più per il centrodestra, a cui ne mancano due per la maggioranza qualificata, necessaria al parere vincolante senza cui si blocca la nomina del presidente della Rai.
Per quella casella Forza Italia ha indicato da settimane agli alleati Simona Agnes, e non intende fare passi indietro in questo momento. Ma in quella direzione va la moral suasion di Meloni su Tajani- si racconta in ambienti della coalizione – affinché si possa individuare un profilo di presidente di garanzia che vada bene agli azzurri e anche alle opposizioni. Il nome di Giovanni Minoli continua a rimbalzare, oltre a quello di un altro giornalista come Antonio di Bella. Per ora persiste lo stallo dopo la nota dei leader di centrodestra. Meloni, Salvini, Tajani e Lupi ritengono “opportuno avviare in Parlamento il confronto” su “una nuova legge di sistema”, su editoria e audiovisivo, anche “per arginare e regolare il dominio di giganti del web e piattaforme”. E sulla Rai, “in attesa” della riforma richiesta dal Media Freedom Act entro il 2025, chiedono siano “applicate le norme vigenti senza indugi, a tutela delle prerogative del Parlamento, del pluralismo e della funzionalità del servizio pubblico”. Le opposizioni retano decisamente fredde.
“Finalmente si dicono pronti al dibattito sulla riforma del servizio pubblico nel solco del Media Freedom Act europeo. È il momento di passare ai fatti attraverso Stati Generali del servizio pubblico che gettino le basi per una riforma condivisa che possa procedere spedita in Parlamento”, commenta la presidente della Vigilanza, Barbara Floridia, del M5s, che per le prossime ore ha convocato i capigruppo in commissione per “definire uno schema di lavoro”: l’orizzonte è un disegno di legge il più possibile condiviso nel nuovo anno. Intanto, però, il governo vuole sbloccare la questione nomine. “Vedremo se la sinistra coglierà il senso della nostra apertura. Noi ora procediamo comunque”, è l’indicazione che arriva dalla maggioranza. Senza intese, ci si potrebbe trovare con un cda in cui il componente più anziano (Antonio Marano, in pole nelle scelte leghista) diventerebbe presidente protempore. È lo scenario più complesso. Per Agnes c’è chi ricorre al precedente di Marcello Foa, presidente nel 2018: bocciato una volta dalla Vigilianza e poi dopo un mese promosso, grazie al ‘patto di Arcore’ tra Salvini e Silvio Berlusconi.