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Cronache

Pregiudizi contro le donne, Cedu condanna l’Italia misogina

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La Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha condannato l’Italia per aver violato i diritti di una presunta vittima di stupro con una sentenza che contiene “dei passaggi che non hanno rispettato la sua vita privata e intima”, “dei commenti ingiustificati” e un “linguaggio e argomenti che veicolano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella societa’ italiana”. La vicenda riguarda l’assoluzione fatta nel 2015 dalla corte di appello di Firenze per sette giovani accusati di violenza sessuale di gruppo. Secondo l’accusa i sette avevano abusato di una ragazza il 26 luglio 2008. Sei di loro in primo grado erano stati condannati ma in appello poi furono assolti tutti. Su questa seconda sentenza adesso la Corte di Strasburgo, accogliendo il ricorso della vittima, ha condannato l’Italia a risarcirle un danno di 12mila euro per aver violato aspetti della sua vita privata. Il pronunciamento della Cedu non entra nel merito dell’assoluzione ma censura i contenuti sessisti delle motivazioni di secondo grado. “Ingiustificato – affermano i giudici europei – il riferimento alla biancheria intima che la ricorrente indossava la sera dei fatti, come i commenti sulla sua bisessualita’, le sue relazioni sentimentali o i rapporti sessuali che aveva avuto prima dei fatti presi in esame”. I giudici di Strasburgo inoltre giudicano “inappropriate le considerazioni fatte sull’attitudine ambivalente rispetto al sesso della ricorrente”. Per l’accusa dopo aver passato la serata insieme al gruppo di giovani che la fecero ubriacare la ragazza venne accompagnata in un parcheggio vicino alla Fortezza da Basso di Firenze dove, in auto, avvenne lo stupro. Dopo la denuncia della ragazza gli imputati vennero arrestati. Il processo di primo grado si concluse il 14 gennaio 2013, con sei condanne a 4 anni e 6 mesi di reclusione e un’assoluzione. Due anni dopo, il 4 marzo 2015, la corte di appello assolse tutti ‘perche’ il fatto non sussiste’. La procura generale di Firenze non presento’ mai ricorso in Cassazione ponendo fine di fatto alla vicenda giudiziaria. Nelle motivazioni i giudici di appello parlarono di una vicenda “incresciosa” e “non encomiabile per nessuno” ma “penalmente non censurabile”. Per la corte di appello, con la sua denuncia la ragazza voleva “rimuovere” quello che riteneva essere stato un suo “discutibile momento di debolezza e fragilita’”. Un giudizio, quello sulle motivazioni dalle quali scaturi’ la denuncia della giovane e che la Corte di Strasburgo definisce “fuori contesto e deplorevole”. Cosi’ come tutti i riferimenti alla “sua vita non lineare”, secondo i contenuti della sentenza che fece molto discutere gia’ all’epoca, provocando numerose proteste anche sui social. La stessa giovane rese pubblica una lettera in cui sosteneva che a essere giudicata era stata lei e non l’episodio che aveva denunciato. La Corte di Strasburgo afferma che questa violazione della vita privata e dell’immagine della ricorrente non puo’ essere considerata “pertinente per vagliare la credibilita’ dell’interessata e la responsabilita’ penale degli accusati”. Ne’ puo’ essere giustificata “dalla necessita’ di garantire il diritto alle difesa degli imputati”. L’avvocato Titti Carrano, che l’ha rappresentata a Strasburgo si e’ detta “soddisfatta” del fatto che sia stato riconosciuto come la dignita’ della sua assistita sia stata “calpestata dall’autorita’ giudiziaria” che emise la sentenza di secondo grado. “La sentenza di appello – ha aggiunto – ha riproposto stereotipi di genere, minimizzando cosi la violenza, e ha rivittimizzato la ricorrente usando anche un linguaggio colpevolizzante. Purtroppo, questo non e’ l’unico caso in cui la non credibilita’ della donna si basa sulla vivisezione della sua vita personale e sessuale. Questo succede spesso nei tribunali italiani”.

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Inchiesta a Genova, interrogatorio Spinelli: gli intricati legami di potere e le promesse mancate

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L’indagine per corruzione che coinvolge importanti figure della politica e dell’economia ligure continua a rivelare dettagli e complicazioni. Durante l’interrogatorio di garanzia, l’imprenditore Aldo Spinelli, posto ai domiciliari insieme al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ha offerto uno spaccato dettagliato delle sue interazioni con le autorità per ottenere favori legati alla proroga trentennale del Terminal Rinfuse.

Spinelli, durante l’interrogatorio guidato dal giudice Paola Faggioni, ha descritto come ha cercato di influenzare le decisioni a suo vantaggio, sottolineando contatti e telefonate con Toti, a cui si rivolgeva per risolvere problemi analogamente a quanto faceva con predecessori come Burlando. L’imprenditore ha ammesso di aver bonificato 40 mila euro al Comitato Toti come riconoscimento per l’interessamento del presidente, anche se sostiene che non ne sia conseguito alcun vantaggio diretto.

La conversazione ha toccato anche la situazione di Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale, a cui Spinelli prometteva un posto di lavoro a Roma da 300 mila euro, illustrando così la rete di promesse e favori che caratterizzano il settore. L’interrogatorio ha anche evidenziato l’accusa verso altri membri influenti dell’autorità portuale, tra cui Rino Canavese, l’unico a votare contro la proroga della concessione, criticato duramente da Spinelli per le sue posizioni.

Le dichiarazioni di Spinelli hanno aperto uno squarcio su una realtà di gestione dei pubblici poteri in cui gli interessi personali e quelli economici sembrano intrecciarsi a discapito della trasparenza e dell’equità. La questione della spiaggia dell’Olmo, che Spinelli sperava di trasformare da libera a privata, è solo un esempio delle molteplici richieste fatte a Toti, tutte rimaste inevasive secondo l’imprenditore.

Questo scenario complesso mostra quanto possano essere intricate le relazioni tra politica, economia e gestione del territorio, soprattutto in contesti dove le risorse economiche si mescolano con le carriere politiche. L’inchiesta, quindi, non solo cerca di fare luce su specifiche accuse di corruzione, ma sottolinea anche la necessità di una maggiore trasparenza e integrità nelle interazioni tra imprenditori e pubblici ufficiali.

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Richiesta urgente di intervento al Ministro della Giustizia per risolvere le disfunzioni del processo telematico a Nola

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Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola ha trasmesso un appello urgente al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, evidenziando gravi disfunzioni nel sistema di processo telematico (PST) utilizzato dai Giudici di Pace nel circondario del Tribunale di Nola. Questa problematica sta impattando negativamente sul regolare svolgimento delle udienze e, di conseguenza, sul diritto di difesa dei cittadini.

La delibera, esecutiva immediata dal 10 maggio, è stata inviata anche a figure chiave nel sistema giudiziario, tra cui il Dirigente CISIA di Napoli, Giovanni Malesci, la Presidente della Corte di Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, e la Presidente del Tribunale di Nola, Paola Del Giudice. La comunicazione segnala la costante e quotidiana inefficienza del sistema, che sta causando notevoli ritardi nelle procedure giudiziarie e aumentando gli arretrati a causa dei continui rinvii d’ufficio.

Il documento illustra una serie di incidenti, tra cui verbali d’udienza irreperibili o caricati solo parzialmente nel sistema, testimonianze non registrate a causa di problemi di connettività, e documenti misallocati nei fascicoli telematici. Tali disfunzioni contrastano con l’obiettivo della riforma “Cartabia” di accelerare i processi e ridurre gli arretrati, rendendo il sistema attuale un ostacolo piuttosto che un facilitatore.

Il Consiglio ha richiesto la formazione di un tavolo tecnico urgente che coinvolga tutti gli operatori del settore giudiziario per formulare un piano d’intervento. Nel frattempo, ha proposto un provvedimento provvisorio che permetta ai Giudici di Pace di gestire le udienze attraverso la verbalizzazione cartacea, come soluzione temporanea al doppio binario, fino a quando le disfunzioni del sistema PST non saranno risolte.

Questo appello sottolinea la necessità di un’immediata revisione delle infrastrutture informatiche nel settore giustizia, per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e il rispetto dei diritti dei cittadini.

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Truffa con ecobonus, la Finanza sequestra 1 miliardo di euro

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I finanzieri del Comando Provinciale di Savona hanno condotto una complessa attività di indagine nel settore dei crediti d’imposta, riconducibili a bonus in materia edilizia ed energetica, con particolare riferimento all’ Ecobonus e al Bonus facciate che ha portato al sequestro preventivo disposto dal gip di un miliardo di euro da eseguire sul cassetto fiscale di 311 soggetti economici coinvolti, detentori dei crediti d’imposta. Durante le indagini Finanza e agenzia delle Entrate hanno accertato come i crediti d’imposta fossero del tutto inesistenti perché con false fatture per lavori ancora da eseguire su immobili di proprietà di residenti nel savonese.

Una truffa replicata su scala nazionale da altre aziende del settore, in molti casi vere e proprie società fantasma oltreché evasori totali o con volumi d’affari inconsistenti, prive di immobili a cui poter associare le lavorazioni edilizie finalizzate all’agevolazione fiscale così come di fatture che comprovassero l’esecuzione dei lavori.

Alcuni dei soggetti coinvolti sono anche risultati percettori del reddito di cittadinanza, altri sono gravati da precedenti penali specifici, tra i quali si annoverano anche reati nel settore della spesa pubblica, altri ancora avevano generato e/o accettato crediti con soggetti con cui avevano un legame di parentela.

Una parte delle persone coinvolte aveva già effettuato la compensazione, conseguendo illeciti e consistenti vantaggi fiscali, mentre un’altra aveva acquistato blocchi di crediti fittizi dal valore nominale di centinaia di milioni di euro a fronte di un corrispettivo irrisorio effettivamente versato. La Gdf ha eseguito 85 perquisizioni nei confronti delle società che dei relativi rappresentanti legali, con l’impiego di oltre 250 militari in Liguria, Piemonte, Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige, Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Puglia.

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