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Più del 60% della popolazione mondiale è sui social

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Il numero dei socionauti si avvicina a quello degli internauti. Nel mondo quasi cinque miliardi di persone, poco più del 60% della popolazione mondiale, sono attive su queste piattaforme. Oltre il 64% invece utilizza Internet globalmente. Chi naviga nel recinto dei social ci sta sempre più tempo e ne utilizza in media sette. A indagare sulla propagazione di queste bolle dove oramai si può fare tutto e chiunque può essere raggiunto in appena sei gradi di separazione, è uno studio di Kepios. Secondo la ricerca il numero di utenti attivi dei social è di 4,88 miliardi, il 60,6% della popolazione mondiale che secondo una stima ufficiale delle Nazioni Unite all’inizio del 2023 ha raggiunto 8,01 miliardi di individui.

Il numero degli utenti dei social è ad un passo dai 5,19 miliardi di persone che utilizzano Internet nel mondo, pari al 64,5% della popolazione globale. E mentre gli utenti dei social crescono, del 3,7% nell’ultimo anno, l’aumento degli internauti è rimasto al di sotto dell’1%, effetto del rallentamento post pandemia dopo che il Covid-19 aveva dato una spinta all’online, con lo smart working e la didattica a distanza. Sull’uso dei social media ci sono grandi differenze tra le diverse aree del mondo. Ad esempio, solo una persona su 11 nell’Africa orientale e centrale utilizza i social media (un’area dove è bassa anche la diffusione di Internet). In India, tra le nazioni più popolose del mondo, la cifra è di uno su tre.

Per la ricerca, è aumentata di due minuti la quantità di tempo trascorso sulle piattaforme social, arrivando ad una media di 2 ore e 26 minuti al giorno. Anche in questo caso ci sono grandi disparità, con i brasiliani che trascorrono in media 3 ore e 49 minuti al giorno sui social mentre i giapponesi meno di un’ora. Più della metà (53,6%) degli utenti globali dei social network sono uomini, rileva inoltre il rapporto, che riconosce tuttavia una certa inesattezza dovuta in particolare alle persone registrate con identità diverse o agli account automatizzati, i cosidetti bot, una piaga di tutte le piattaforme. Gli utenti dei social network frequentano in media più di sette piattaforme.

Meta, di proprietà di Mark Zuckerberg, possiede tre delle app preferite dagli utenti e sono WhatsApp, Instagram e Facebook. La Cina ha tre app WeChat, TikTok e la sua versione locale che si chiama Douyin. Twitter, Messenger e Telegram completano la lista delle piattaforme più seguite. La prima, secondo il Pew Reasearch Center americano, dopo l’acquisto da parte di Elon Musk ha perso utenti negli Stati Uniti. Nonostante il moltiplicarsi delle bacheche virtuali l’intera rete dei social network sembra però poggiare sul modello matematico del ‘piccolo mondo’. Una recente ricerca pubblicata su Physical Review X ha dimostrato infatti che su queste piattaforme vale la teoria dei sei gradi di separazione elaborata nel 1967 dallo psicologo americano Stanley Milgram, per cui bastano sei passi virtuali per raggiungere una persona.

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Fini condannato a 2 anni e 8 mesi per casa a Montecarlo

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Una operazione immobiliare dai contorni opachi e dietro la quale, secondo il tribunale di Roma, si nascondeva una attività di riciclaggio di denaro. Dopo sette anni dalla richiesta di rinvio a giudizio arriva la sentenza di primo grado per la vicenda legata all’acquisto di un appartamento a Montecarlo, al numero 14 di Boulevard Princesse Charlotte. I giudici della quarta sezione collegiale, dopo circa due ore di camera di consiglio, hanno condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, a 5 anni la sua compagna Elisabetta Tulliani. Il tribunale ha inoltre inflitto 6 anni a Giancarlo Tulliani, 5 anni al padre Sergio e 8 anni a Rudolf Theodor Baetsen. Il tribunale ha sostanzialmente recepito l’impianto accusatorio della Procura di Roma che ai cinque muove l’accusa riciclaggio.

A Fini, che era presente in aula, i magistrati contestano “la condotta relativa all’autorizzazione alla vendita dell’appartamento” escludendo l’aggravante e riconoscendogli le attenuanti generiche. “Non ho autorizzato la vendita dell’abitazione di Montecarlo ad una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l’ok non sapevo chi fosse l’acquirente” ha commentando l’ex presidente della Camera lasciando la cittadella giudiziaria della Capitale che ha poi aggiunto: “me ne vado più sereno di quello che si può pensare dopo 7 anni di processo. Ricordo a me stesso che per analoga vicenda una denuncia a mio carico fu archiviata dalla procura di Roma. Dopo tanto parlare, dopo tante polemiche, tante accuse, tanta denigrazione da un punto di vista politico sono responsabile di cosa? Di aver autorizzato la vendita. Non mi è ben chiaro in cosa consista il reato”. La difesa dell’ex parlamentare annuncia il ricorso in appello sostenendo che il tribunale ha riconosciuto nei suoi confronti una sorta di “concorso morale” nell’attività illecita.

L’accusa prevista dall’articolo 648 bis del codice penale era l’unica fattispecie contestata nel processo dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici avevano dichiarato prescritta l’associazione a delinquere, reato che coinvolgeva altri imputati ma non Fini. La prescrizione era legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. Nel corso del procedimento è intervenuta anche la compagna di Fini che nel corso di brevi dichiarazioni spontanee aveva di fatto scaricato le colpe sul fratello Giancarlo.

“Ho nascosto a Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna nel corso dell’udienza del 18 marzo scorso-. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita”. Inizialmente il processo vedeva imputate, come detto, anche altre ‘posizioni’, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta, per le quali è stata riconosciuta la prescrizione. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere hanno messo in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.

Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità di Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai da latitante. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani. Quest’ultimi per gli inquirenti avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco.

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“L’avvocato del D10S”: Angelo Pisani e la battaglia giudiziaria per Maradona

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Il libro “L’avvocato del D10S” di Angelo Pisani non è solo un tributo a Diego Armando Maradona, ma anche una narrazione intensa e appassionata delle battaglie legali che hanno segnato la vita del leggendario calciatore. L’opera, pubblicata da LOG edizioni e lunga 159 pagine, è disponibile al prezzo di 14,90 euro e si rivela un testo cruciale per chi desidera comprendere a fondo le vicende giuridiche e umane del “pibe de oro”.

Angelo Pisani, che ha rappresentato Maradona nelle aule di giustizia, descrive con fervore la sua lotta per dimostrare l’innocenza del calciatore di fronte alle accuse di evasione fiscale e altri gravi addebiti mossi dalla giustizia italiana. Attraverso un lavoro legale che si è esteso per decenni, Pisani è riuscito a infrangere il “muro di titanio” di Equitalia, sancendo giuridicamente l’innocenza di Diego.

Il titolo del libro, “L’avvocato del D10S”, è una chiara dichiarazione di stima e devozione verso Maradona, e il sottotitolo “Un’arringa in difesa di Diego Armando Maradona” stabilisce inequivocabilmente il tono dell’opera. Le prefazioni e le postfazioni scritte da noti esponenti del tifo calcistico partenopeo e figure chiave dell’ambiente sociale latino, come Maurizio de Giovanni, Gianni Minà e Nicola Graziano, arricchiscono ulteriormente il testo, aggiungendo diverse prospettive sulla figura di Maradona.

Il libro offre un ritratto inedito di Maradona, non solo come sportivo eccezionale ma anche come eroe umano e difensore dei più deboli, costantemente in lotta contro figure potenti come i presidenti della FIFA, Joao Havelange e Sepp Blatter. Inoltre, evidenzia il supporto di Maradona ai governi di sinistra in America Latina, una posizione che lo ha reso un bersaglio politico tanto quanto una stella del calcio.

Pisani non manca di ricordare il sostegno di Fidel Castro a Maradona durante i suoi momenti più bui, come la lotta contro la tossicodipendenza, un periodo durante il quale Maradona stesso riconoscerà il suo debito verso il leader cubano tatuandosi l’immagine del Che Guevara.

Il culmine del libro si raggiunge nel racconto del 25 maggio 2014, quando la giustizia italiana, dopo una lunga serie di battaglie legali, ha finalmente scagionato Maradona da ogni accusa di evasione fiscale. Questo evento non solo ha rappresentato una vittoria legale, ma ha anche simboleggiato la riscossa di un uomo contro un sistema che sembrava schiacciarlo.

“L’avvocato del D10S” di Angelo Pisani è quindi molto più di un semplice racconto giuridico; è un’affascinante biografia che intreccia diritto, sport e politica, mostrando come la vita di uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi sia stata incessantemente intrecciata con le dinamiche del potere a livello mondiale.

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Il richiamo di Mattarella, non dividere il sud dal nord

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I sindacati hanno un ruolo “insopprimibile” per lo sviluppo della società; il welfare non deve perdere il suo carattere “universalistico”; anche se è “un’ottima notizia” che l’occupazione stia crescendo, le istituzioni non devono mai sentirsi “appagate” perchè “l’ascensore sociale” si è bloccato; ogni morte sul lavoro è “inaccettabile” per uno stato moderno; ed infine porre rimedio allo “sfruttamento” degli immigrati. C’è tutto questo e tanto altro nel primo maggio del presidente della Repubblica che ha scelto di passare la vigilia della Festa del Lavoro tra gli operai del distretto agro-industriale nella provincia di Cosenza. Inevitabilmente però sono le sue preoccupazioni sul distacco del Mezzogiorno dal nord del Paese, sulla perdurante questione meridionale – invincibile nel tagliare il Paese in due – a raccogliere gli applausi convinti dei lavoratori calabresi che erano accorsi ad ascoltarlo.

Sergio Mattarella non pronuncia mai le parole “Autonomia differenziata” ma nella platea, inevitabilmente, tutti pensano alla riforma a motrice leghista. “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”, premette il presidente che quindi argomenta la sua riflessione spiegando quanto risolvere la questione meridionale sarebbe utile per l’intero Paese. Al contrario, relegarla nel cassetto dei “problemi non urgenti” è una scelta che frena il pil dell’Italia. “Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. E’ appena il caso di sottolineare come una crescita equilibrata e di qualità del Sud d’Italia assicuri grande beneficio all’intero territorio nazionale”, spiega Mattarella raccogliendo pieno consenso dall’uditorio.

“Il mezzogiorno è parte dell’Europa”, incalza il presidente chiedendo di uscire da una logica di “analisi semplificate”. Il problema è complesso e va affrontato dalla politica, insiste elencando le differenze insostenibili tra nord e sud: redditi sensibilmente più bassi; servizi e sanità meno efficienti; tasso di occupazione inferiore; donne svantaggiate; ed infine troppi giovani costretti a lasciare la loro terra per cercare fortuna altrove. Chiuso questo passaggio che in tanti hanno letto come un grido d’allarme rispetto ai pericoli di un’Autonomia mal applicata, il capo dello Stato ha avuto molto da dire sul lavoro in senso stretto. Durissime le sue parole sui continui incidenti nei cantieri e nelle fabbriche: “non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile”.

Altrettanto secco il richiamo del Quirinale sulle condizioni nelle quali vengono tenuti in Italia i migranti che, regolari o irregolari, spesso vivono il lavoro ai confini della schiavitù: “i lavoratori migranti sono parte essenziale della produzione agricola e delle successive trasformazioni dei suoi prodotti. Ma, in alcuni casi, aree grigie di lavoro – che confinano con l’illegalità, con lo sfruttamento o addirittura se ne avvalgono – generano ingiustizia e, inoltre, insicurezza, tensioni, conflitti. E offrono spazi alle organizzazioni criminali. Vigilare sulle delinquenziali forme di capolarato è, quindi, un preciso dovere. Così come – aggiunge Mattarella – bisogna vigilare sulle condizioni inumane in cui vengono, in alcuni casi, scaraventati i lavoratori stagionali, talvolta senza nome né identità”. Ed ancora, mentre non si spengono le polemiche sulle parole del generale Vannacci sulla disabilità nelle scuole, Mattarella mostra di pensarla diversamente: purtroppo “perdurano le difficoltà di chi sopporta una disabilità, il peso degli oneri di assistenza che non di rado spingono nel bisogno anche famiglie di chi un lavoro ce l’ha”. Non poteva mancare quindi il consueto augurio per la buona riuscita del Concertone di Roma, quest’anno accompagnato da un invito ai giovani a “preparare il futuro senza cedere alla paura o alla sfiducia”.

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