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Cronache

Parla il rapinatore complice del baby criminale ucciso dal carabiniere: tentammo la rapina perchè ci servivano soldi per andare a ballare

Che cosa ha raccontato il complice di Ugo Russo ai carabinieri? Come ha spiegato il tentativo di rapinare il carabiniere? Ecco che cosa ha detto questo giovane balordo di 17 anni Interrogato dal pm Francesco Cerullo. Lui si chiama F.D.C. è difeso da un eccellente penalista, Mario Bruno, e non ha avuto difficoltà a raccontare la suavita strafottente e spericolata tra i vicoli “in mezzo a una strada e lontano da scuola”. Alla domanda del perchè hanno tentato la rapina, ha risposto candidamente: “Avevamo bisogno di soldi per andare a ballare, volevamo andare in discoteca, ci serviva denaro. Abbiamo notato una macchina bella, l’ abbiamo seguita, poi il mio complice è sceso dallo scooter che guidavo e si è avvicinato al militare…”.

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Parla il carabiniere di Napoli: ho sparato solo quando ho percepito di essere in pericolo di vita e solo dopo essermi qualificato

Ugo Russo, 15 anni e 10 mesi, e il so complice F.D.C., 17 anni, erano in giro a mezzanotte per Napoli perché avevano bisogno di soldi per entrare in discoteca. E i soldi li avrebbero trovati facendo rapine. Sono due ragazzi ma già due violenti rapinatori. Sabato notte è andata male a loro perchè hanno incontrato un carabiniere. Ma avrebbero potuto rapinare (e forse l’hanno fatto) chiunque, anche usando violenza nascondendosi dietro quella pistola imitazione di quelle vere e chissà cos’altro. La rapina mortale di via generale Orsini è stata raccontata dal carabiniere. È stata raccontata dalla fidanzata del carabiniere. E poi c’è la versione del complice di Ugo Russo.

Ugo Russo. Il ragazzo rimasto ucciso nel corso di una rapina

Lui, il secondo rapinatore, quello rimasto vivo, si è costituito poco dopo in caserma. A lui viene contestato la responsabilità di concorso in tentata rapina e di ricettazione della targa del mezzo usato. Tra poche ore sarà dinanzi al gip del Tribunale per i Minori di Napoli per la convalida del fermo. Lui, F.D.C. ha confessato al magistrato inquirente, il pm Francesco Cerullo, il suo pezzo di  verità. Ha raccontato la sua versione dei fatti. L’incipit del racconto della sua vita è tutto in poco parole. “Sono iscritto a scuola, ma non frequento. Passo tutto il mio tempo in strada, tra i Quartieri e il Pallonetto, abbiamo fatto una rapina, perché ci servivano i soldi per andare a ballare”. F.D.C. ha raccontato la sa vita di balordo, delinquente sempre per strada, senza andare a scuola, che vive di espedienti e reati e che “se ne fotte”. O meglio se ne fotteva. Ora ha molte cose da rivedere e ripensare. Al pm Cerullo questo 17enne dice che la notte della rapina lui e Ugo Russo sono usciti e sono andati in quelle strade a ridosso del lungomare perchè dovevano fare soldi con rapine. “Avevamo bisogno di soldi per andare a ballare, volevamo andare in discoteca, ci serviva denaro. Abbiamo notato una macchina bella, l’abbiamo seguita, poi il mio complice è sceso dallo scooter che guidavo e si è avvicinato al militare…” spiega F.D.C.. Fin qui è il racconto della serata balorda dei due giovani delinquenti. Il resto del racconto sarà poi verificato e confrontato con gli altri racconti e contestualizzato sul luogo della morte di Ugo Russo (il rapinatore di 15 anni) e con i filmati delle telecamere di sorveglianza. Ma cruciali saranno  gli esiti della autopsia sul cadavere del giovane rimasto ucciso durante il colpo  e le altre attività di indagine tecniche come la perizia balistica sull’arma usata dal carabiniere che ha sparato.

In ventiquattro la Procura di Napoli ha già inquadrato la morte del rapinatore e avviato sui suoi binari l’inchiesta per la morte del rapinatore. L’inchiesta è nelle mani del pm Cerullo, del pm Simone De Roxas, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Rosa Volpe. Ma l’inchiesta è seguita direttamente anche dal Procuratore Gianni Melillo. Al momento al carabiniere la procura contesta il reato più grave: omicidio volontario. È bene precisare però che trattasi di una ipotesi di reato che consente ai magistrati di svolgere ogni accertamento utile a chiarire quanto accaduto.
Occorrerà trovare prove, verifiche, riscontri ai racconti dei protagonisti di questa storiaccia. La contestazione del reato potrebbe e dovrebbe presto cambiare. Più passa il tempo, più si fanno indagini, più si chiarisce il fatto e più è probabile che gli inquirenti bambini il reato in  eccesso colposo di legittima difesa.

Il militare indagato ha piena fiducia nella magistratura. Difeso dal penalista Enrico Capone, il carabiniere ha fornito piena collaborazione agli inquirenti. È giovane, ha appena 23 anni, è una persona molto provata. È addolorato per la morte del giovanissimo rapinatore. Ma ha spiegato che il suo comportamento nella vicenda è stato umanamente e “professionalmente corretto”.

Il militare sostiene di non aver sparato subito. Di essersi qualificato come carabiniere. E che comunque la sua reazione è stata corretta anche perchè ha agito di fronte ad una persona dal volto completamente travisato (non poteva sapere che aveva 15 anni) da un casco integrale e da uno scaldacollo che copriva per intero il volto. E di aver sentito scarrellare la pistola, come per tenerla pronta a sparare col colpo in canna. Quel rapinatore era armato e il carabiniere, questa è la spiegazione, dato il contesto e il pericolo immediato, non poteva sapere che la pistola fosse una imitazione di quella originale. DI sicuro era priva del tappetto rosso delle cosiddette scacciacani. Ma torniamo al racconto reso dal 17enne. Questo ragazzo, difeso dal penalista Mario Bruno ha ammesso l’accusa di tentata rapina in concorso con il 15enne ammazzato. Ed ha confessato le modalità della rapina finita nel sangue.


Ha negato però di aver fatto quella notte altre rapine prima di provarci col carabiniere. Ma qui la versione si fa un po’ controversa. Nelle tasche dei pantaloni di Ugo Russo, al pronto soccorso poi devastato, c’erano una collana d’oro e un rolex. Certamente provento di altra rapina. Ma per ora nessuno si è presentato a denunciare la rapina di quegli oggetti. Gli inquirenti hanno  fermato il 17enne perchè ritengono che ci sia il rischio di inquinamento probatorio e il pericolo di fuga. Questo l’hanno dedotto dal comportamento del giovane dopo la morte del complice. Dopo il primo interrogatorio-confessione ai carabinieri è scappato dalla nonna e per molte ore di domenica mattina, almeno fino alle 13 è stato irreperibile. I parenti potrebbero aver cercato di proteggerlo, di tenerlo al riparo da nuove indagini, dopo aver fornito una primissima confessione in merito alla rapina in cui era rimasto vittima l’amico.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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