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Politica

Papa Francesco: il Covid mostra i mali del mondo ovvero clima, economia, politica

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La pandemia “ci ha messo in crisi, mostrandoci il volto di un mondo malato non solo a causa del virus, ma anche nell’ambiente, nei processi economici e politici, e piu’ ancora nei rapporti umani”. Ha fatto “venire meno comodita’ e certezze consolidate”, “ha messo in luce i rischi e le conseguenze di un modo di vivere dominato da egoismo e cultura dello scarto” e “ci ha posto davanti un’alternativa: continuare sulla strada finora percorsa o intraprendere un nuovo cammino”. La diffusione del Covid-19 e le sue conseguenze recitano la parte del leone nel discorso rivolto oggi da papa Francesco ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede nella tradizionale udienza per gli auguri di inizio d’anno. Un’occasione in cui il Papa ha passato in rassegna le varie crisi “provocate o evidenziate dalla pandemia”, guardando “alle opportunita’ che da esse derivano per edificare un mondo piu’ umano, giusto, solidale e pacifico”. Ecco allora la “crisi sanitaria”, su cui ha rinnovato il suo appello per “una distribuzione equa dei vaccini, non secondo criteri puramente economici, ma tenendo conto delle necessita’ di tutti”, soprattutto dei “piu’ bisognosi”. Ma per Francesco – che comunque in tutta l’udienza nn ha mai indossato la mascherina -, “l’accessibilita’ dei vaccini deve essere sempre accompagnata da comportamenti personali responsabili tesi a impedire il diffondersi della malattia, attraverso le necessarie misure di prevenzione a cui ci siamo ormai abituati in questi mesi”: “sarebbe fatale riporre la fiducia solo nel vaccino, quasi fosse una panacea che esime dal costante impegno del singolo per la salute propria e altrui”. Poi la “crisi ambientale”, in una Terra “fragile e bisognosa di cure”, su cui ha auspicato che “la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP26), prevista a Glasgow nel novembre prossimo, consenta di trovare un’intesa efficace per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico”. “E’ questo il tempo di agire – ha avvertito -, poiche’ possiamo gia’ toccare con mano gli effetti di una protratta inazione”. Quindi la “crisi economica e sociale”, a proposito della quale “oggi meno che mai si puo’ pensare di fare da se’. Occorrono iniziative comuni e condivise anche a livello internazionale, soprattutto a sostegno dell’occupazione e della protezione delle fasce piu’ povere della popolazione”. E in tale prospettiva il Papa ha lodato il piano europeo del Recovery Fund, oltre a ribadire il suo richiamo a condonare – o quanto meno ridurre – il debito dei Paesi poveri. Sulla questione migranti, per Bergoglio “dalla Seconda guerra mondiale il mondo non aveva ancora assistito a un aumento cosi’ drammatico del numero di rifugiati”: e’ dunque “urgente che si rinnovi l’impegno per la loro protezione”, mentre va anche rinegoziato il Patto Ue sulla migrazione e l’asilo. Ma la crisi e’ pure “della politica”. E ovunque, non solo in realta’ come il Myanmar, ma anche “in Paesi di antica tradizione democratica”, la sfida e’ “mantenere viva” la stessa democrazia: il che “esige che si superino i personalismi e prevalga il rispetto dello stato di diritto”. Ribadendo poi l’allarme sulle “troppe armi nel mondo”, il Papa ha chiesto, tra l’altro, pace per la “amata” Siria, per la Terra Santa, per la Libia e il Centrafrica, e stabilita’ per il Libano. E sul perdurare del terrorismo – “violenza cieca, motivata da ideologiche distorsioni della religione” – oltre a esprimere vicinanza alle vittime e ai familiari, ha invocato protezione per i luoghi di culto. Una delle crisi piu’ gravi acutizzate dalla pandemia, per Francesco e’ pero’ la “catastrofe educativa” – con l’isolamento dei giovani e l’aumento della didattica a distanza -, “davanti alla quale non si puo’ rimanere inerti, per il bene delle future generazioni e dell’intera umanita’”. Il Papa ha promesso anche di riprendere a breve i viaggi apostolici: proprio oggi e’ stato diffuso il programma di quello in Iraq dal 5 all’8 marzo, con la conferma anche dell’incontro con l’ayatollah sciita Al-Sistani. Un ultimo pensiero lo ha rivolto “al popolo italiano, che per primo in Europa si e’ trovato a confrontarsi con le gravi conseguenze della pandemia”, esortandolo a “non lasciarsi abbattere dalle presenti difficolta’, ma a lavorare unito per costruire una societa’ in cui nessuno sia scartato o dimenticato”. Lapidaria la conclusione del discorso: “Fraternita’ e speranza sono come medicine di cui oggi il mondo ha bisogno, al pari dei vaccini”.

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Bersani e politica che si fa con l’orecchio a terra: dallo sciopero delle prostitute ai rimpianti sullo ius soli

Pier Luigi Bersani, in un’intervista al Corriere della Sera, ripercorre episodi della sua vita politica e personale: dalle liberalizzazioni allo sciopero delle prostitute, passando per il rimpianto sullo ius soli.

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Pier Luigi Bersani (foto Imagoeconomica in evidenza), ex segretario del Pd, si racconta in un’ampia intervista rilasciata al Corriere della Sera, ripercorrendo episodi personali e politici che hanno segnato la sua vita e l’Italia contemporanea.

Nel suo nuovo libro “Chiedimi chi erano i Beatles” (Rizzoli), Bersani intreccia la politica, le battaglie sociali e i ricordi personali, come l’episodio curioso dello sciopero delle prostitute a Piacenza negli anni Settanta e la protesta dei commercianti sotto casa dei suoi genitori a Bettola, quando da ministro avviò le famose liberalizzazioni.

L’episodio delle prostitute e la lezione sulla politica

Durante la pedonalizzazione di un tratto della via Emilia, le prostitute protestarono. Il giovane Bersani, allora responsabile cultura del Pci locale, seguì l’episodio da vicino: «Un amministratore deve avere a cuore i problemi di tutti, anche quelli più difficili», ricorda.

Le liberalizzazioni e il pullman a Bettola

Nel 1996, da ministro, la sua “lenzuolata” per liberalizzare il commercio suscitò la rabbia dei commercianti. Una delegazione arrivò addirittura sotto casa dei suoi genitori. Ma l’accoglienza calorosa dei suoi — ciambelle e vino bianco — trasformò la protesta in una festa, segnando un inatteso boomerang per i contestatori.

La sfida canora con Umberto Eco

Bersani racconta anche della famosa sfida canora al convegno di Gargonza nel 1997, quando sconfisse Umberto Ecointonando canti religiosi: «Da noi era obbligatorio fare i chierichetti, non iscriversi subito alla Fgci».

Il rimpianto dello ius soli

Se fosse diventato premier nel 2013, Bersani avrebbe voluto introdurre lo ius soli con un decreto legge già alla prima seduta del Consiglio dei Ministri. Un rimpianto che ancora oggi pesa: «Se parti dagli ultimi, migliori la società per tutti».

I 101 e la caduta di Prodi

Bersani ammette di conoscere l’identità di circa «71-72» dei famosi 101 franchi tiratori che affossarono Romano Prodinella corsa al Quirinale. «C’erano renziani e non solo. Alcuni mi confessarono la verità piangendo».

Il rapporto con la morte

Dopo un grave problema di salute nel 2014, Bersani parla della morte con una serenità disarmante: «È più semplice di quanto pensassi. È la vita che si riassume in quell’istante». La sua fede è ora una ricerca continua: «Chi ha già trovato dovrebbe continuare a cercare».

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Giorgia Meloni: Italia protagonista nel mondo, ma serve concretezza e prudenza

In un’intervista al Corriere della Sera, Giorgia Meloni racconta i suoi impegni internazionali, il rapporto con Trump e annuncia nuove misure per la sicurezza dei lavoratori.

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In una lunga intervista concessa al Corriere della Sera, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha raccontato i quindici giorni intensi che l’hanno vista protagonista sulla scena mondiale: dall’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump fino alla gestione dell’imponente cerimonia dei funerali di Papa Francesco a Roma.

Meloni ha sottolineato la perfetta riuscita organizzativa dei funerali, apprezzata da tutti i leader internazionali presenti: “È stato un grande lavoro corale, fatto di tante mani preziose”, ha detto, mantenendo però un approccio umile: “Io non sono mai soddisfatta, penso sempre che si possa e si debba fare di meglio”.

Nessun vertice politico ai funerali del Papa

Meloni ha precisato di non aver voluto trasformare il funerale del Papa in un’occasione di vertici politici: “Non avrei mai voluto distrarre l’attenzione da un evento così solenne”. Tuttavia, ha definito “bellissimo” il faccia a faccia spontaneo tra Trump e Zelensky a San Pietro, considerandolo “forse l’ultimo regalo di Papa Francesco”.

La sfida: riavvicinare Usa ed Europa

Nell’intervista, Meloni ha ribadito la necessità di rinsaldare l’alleanza atlantica e riavvicinare Stati Uniti ed Europa: “Il mondo cambia a una velocità vertiginosa, servono dialogo, studio e preparazione”, ha detto. Ha anche confermato che sono in corso contatti per un possibile incontro tra Trump e i vertici europei, anche se i tempi non sono ancora maturi: “Non importa se sarà a Roma o altrove, l’importante è ottenere un risultato concreto”.

L’amicizia con Trump e l’interesse nazionale

Meloni ha respinto le critiche di chi le rimprovera un rapporto troppo stretto con Trump: “Noi non siamo filoamericani, siamo parte dell’Occidente. Difendiamo il nostro interesse nazionale, indipendentemente da chi governa negli altri Paesi”.

Sul futuro, la premier ha affermato: “La sfida americana può essere un’opportunità anche per l’Europa, per tornare a crescere e innovare”.

L’Italia sulla pace in Ucraina

Meloni ha ribadito il sostegno italiano all’Ucraina e all’ipotesi di un cessate il fuoco incondizionato: “Siamo contenti che Zelensky si sia mostrato disponibile, ora è la Russia che deve dimostrare volontà di pace”. Ha inoltre ricordato la proposta italiana di un modello di garanzia ispirato all’articolo 5 del Trattato Nato, anche al di fuori del perimetro Nato.

Nuove misure per la sicurezza sul lavoro

In vista del Primo Maggio, Meloni ha annunciato nuove iniziative concrete per migliorare la sicurezza dei lavoratori: “Stiamo lavorando a un piano importante, in dialogo con sindacati e associazioni datoriali, per combattere il dramma quotidiano delle morti sul lavoro”.


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Meloni, con morte di Ramelli tutti devono fare i conti

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I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.

“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.

“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.

Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.

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