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Cinema

Paolo Sorrentino si racconta in “È stata la mano di Dio’: Amarcord felliniano dedicato al suo idolo D10S

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Ci vuole vero coraggio a mettersi totalmente a nudo come fa Paolo Sorrentino in E’ STATA LA MANO DI DIO, film Netflix in corsa per l’Italia al Festival di Venezia. Perche’ questo non e’ solo un film intimo, come piu’ volte annunciato, ma il racconto doloroso nei particolari della sua infanzia, dei suoi genitori, dei suoi parenti, della sua citta’ e, apparentemente, con davvero poche licenze poetiche.

Un film-autoanalisi che e’ un omaggio dichiarato a Federico Fellini, quasi un Amarcord sorrentiniano, un omaggio alla sua Napoli e, manco a dirlo, a Maradona che lo avrebbe salvato dalla morte. Nel 1987, infatti, per assistere a una partita di calcio del Napoli e vedere in azione il Pibe de Oro, il regista va in Toscana a seguire il match, mentre i suoi genitori restano a casa dove, quella stessa notte, una perdita di monossido di carbonio li uccide entrambi, lasciandolo orfano a diciassette anni.

E qui la scena piu’ forte di tutto il film: la corsa di Fabietto Schisa (alias Sorrentino, interpretato da Filippo Scotti) insieme al fratello (Marlon Joubert) all’ospedale per scoprire, dopo un lungo imbarazzo dei medici, che entrambi i genitori (Toni Servillo e Teresa Saponangelo) sono morti. E per il giovane Sorrentino e’ furia di fronte al fatto che gli si nega di vedere i loro corpi. Prima della tragedia la felliniana famiglia del regista da’ il meglio di se’: l’amatissimo padre e’ un uomo pieno di spirito ed e’ sempre presente (ma, si scoprira’, ha una storica collega come amante), la madre e’ una donna che ama fare gli scherzi, il fratello e’ invece un aspirante attore e, infine, c’e’ una sorella, Daniela, sempre chiusa in bagno.

E ancora, la zia Patrizia (Luisa Ranieri) bellissima, sexy ed esibizionista, sposata con il legittimamente geloso Franco (Massimiliano Gallo), l’anziana Baronessa Focale vicina di casa (Betti Pedrazzi), l’amico contrabbandiere e tanti altri personaggi. Cosa accade nelle oltre due ore del film? Tra realta’ e finzione, di tutto. Si parte da splendide sequenze di Napoli dal mare, c’e’ un inseguimento tra finanzieri e contrabbandieri nel golfo, un San Gennaro in una Rolls Royce d’epoca, un Munaciello (spiritello leggendario del folclore napoletano) in carne e ossa, Federico Fellini (solo in voce) alle prese con dei provini, lui in vespa con entrambi i genitori sul sellino (impossibile non pensare a Nanni Moretti), il suo incontro con Antonio Capuano che, senza nessuna grazia, gli da’ indicazioni rispetto alla sua confusa volonta’ di fare il regista. In un film sicuramente molto bello, ma del tutto inedito nella produzione del regista napoletano, sono di scena piu’ emozioni che estetica.

Il regista questa volta non guarda, ma si fa guardare. E questo senza il narcisismo morettiano, ma nella sua umanita’, senza nascondere nessuna fragilita’. Infine, cosa animava Sorrentino giovane nel voler fare il regista? La stessa visione che aveva spinto Fellini, ovvero il fatto che “la realta’ e’ scadente”.

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Cinema

Cristina Comencini: il cinema delle donne è una nuova ricchezza. Io dalla parte delle donne sempre

Cristina Comencini racconta al Corriere della Sera il successo de “Il treno dei bambini”, la sua visione sul cinema delle donne, la politica e il suo nuovo amore.

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Cristina Comencini (le foto sono di Imagoeconomica), con il suo ultimo film “Il treno dei bambini” tratto dal romanzo di Viola Ardone e disponibile su Netflix, ha raggiunto quasi trenta milioni di visualizzazioni. «Mi sembra incredibile», racconta, «ma credo che il tema profondo del dopoguerra, del trauma che la guerra lascia sui sentimenti, abbia colpito il pubblico di tutto il mondo».

Il cinema tra piattaforme e sale

«Portare la gente in sala è bellissimo, ma difficile. Le piattaforme e il cinema possono coesistere. L’importante è, come diceva mio padre Luigi Comencini, mantenere sempre la massima verità e bellezza in quello che si crea», afferma Cristina, riflettendo sulla trasformazione del mondo cinematografico.

Il successo e la nuova generazione di registe

Comencini riconosce l’importanza del successo ma non lo vive come un punto di arrivo: «È un mestiere da montagne russe». È felice dell’affermazione di tante donne nel cinema italiano, come Paola Cortellesi, sottolineando: «Il cinema si è finalmente aperto alle storie delle donne, arricchendosi di nuove prospettive».

Il rapporto con la famiglia e il film di Francesca Comencini

Cristina racconta il forte legame con le sorelle e commenta il film di Francesca Comencini su loro padre Luigi: «Una scelta giusta. Ognuno vive un padre a modo suo». Nessuna gelosia, ma un affetto profondo che ha sempre unito la famiglia.

CRISTINA COMENCINI REGISTA

Politica, femminismo e il ruolo di Giorgia Meloni

Comencini ribadisce la sua radice di sinistra e il suo impegno per il femminismo: «Il sostegno reciproco tra donne non deve mai venir meno». Sul premier Giorgia Meloni, pur nella distanza politica, riconosce: «Per la sua parte politica sta facendo bene».

I cambiamenti nell’estetica e il coraggio delle attrici

Parlando di Giovanna Mezzogiorno, Cristina denuncia il problema della discriminazione estetica nel cinema: «Finalmente si inizia a dare meno peso all’apparenza e più al talento».

La maternità precoce e l’amore ritrovato

Diventata madre a 18 anni, Cristina confida di non aver rimpianti: «Mi ha dato la ricchezza di tutto ciò che ho scritto». Oggi vive una nuova fase felice della sua vita con il documentarista francese François Caillat, tra Roma e Parigi.

Il futuro: un nuovo romanzo in arrivo

Cristina annuncia anche il suo prossimo romanzo, “L’epoca felice”, che uscirà a ottobre per Feltrinelli: «Parlerà dell’adolescenza e della capacità della vita di sorprenderci anche quando meno ce lo aspettiamo».

 

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Cinema

Morto a 65 anni l’attore americano Val Kilmer

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È morto all’età di 65 anni l’attore americano Val Kilmer. Lo rende noto la famiglia, citata dal New York Times. Il decesso è avvenuto a Los Angeles a causa delle complicazioni di una polmonite, ha spiegato la figlia Mercedes Kilmer. All’attore era stato diagnosticato un cancro alla gola nel 2014, da cui era riuscito a guarire. Tra le sue tante interpretazioni si ricordano in particolare quella Jim Morrison in ‘The Doors’ del 1991 di Oliver Stone, quella di Iceman in ‘Top Gun’ del 1986 di Tony Scott e quella di Bruce Wayne in ‘Batman forever’ del 1995 di Joel Schumacher.

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Cinema

Giovanni Bagnasco e “il mostro”: “Ho imparato a non essere vittima. La felicità è una responsabilità”

Nella serie L’arte della gioia è Ippolito, il “mostro” che conquista il cuore dello spettatore. Nella vita, Giovanni Bagnasco è un ragazzo di 25 anni con il volto segnato dalla sindrome di Treacher Collins e un’anima limpida che illumina ogni sua parola. In un’intervista al Corriere della Sera racconta la sua storia fatta di sfide, consapevolezza e rinascita.

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«Potrei scrivere un libro sugli sguardi. Da piccolo anche il non detto faceva male», racconta Giovanni Bagnasco. Il suo volto racconta una storia rara, segnata dalla sindrome di Treacher Collins, una malattia congenita che colpisce ossa e cartilagini del volto. Eppure, Giovanni ha imparato presto a distinguere tra due tipi di persone: «i cuori buoni e i cuori ciechi».

Cresciuto nella quiete di Chianciano Terme, tra campagna e spazi aperti, ha coltivato sogni artistici tra un lavoro da casellante e un corso di lingua dei segni mai concluso a causa del Covid. Fino all’improvviso incontro con il mondo del cinema, che lo ha accolto attraverso due provini superati: uno per Finalmente l’alba, l’altro con Valeria Golino per il ruolo di Ippolito.

“Il mostro” che racconta la forza interiore

«Il personaggio non è stupido, è solo stato isolato», gli dice Golino. E lui in quel ruolo riversa tutto: «la parte docile e quella vulcanica». Nessuna scuola di recitazione, ma la forza di una vita vissuta senza filtri. «Sul set, mentre giravo le scene più violente, pensavo ai momenti difficili vissuti», confessa.

E quando si parla d’aspetto, Giovanni è disarmante: «La parola ‘mostro’ non mi ferisce più, è solo una componente della mia vita». Da piccolo piangeva, si chiedeva “perché a me?”, ma oggi si è dato una risposta che lo guida: «Dovevo nascere così e basta. Fare la vittima non ti renderà felice».

L’amore, la musica, il futuro

Oggi è un attore emergente, ma anche un ragazzo che ha vissuto l’amore, che ha scritto testi rap, che ha lottato contro il dolore. «Ho ricevuto tanto e ho dato tanto», racconta. Sui social ci sta poco: solo per progetti artistici o per sostenere la onlus del suo chirurgo, la Smile House. «Da ragazzino, i social mi facevano male. Era una vita parallela».

La sua forza più grande è quella di saper vedere oltre: «Sembrerei più brutto se stessi sempre a disperarmi. Siamo tutti belli, se troviamo la nostra bellezza interiore».

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