In un’intervista al Corriere della Sera, Paolo Ruffini (foto Imagoeconomica in evidenza), attore, regista e comico, racconta la sua visione dell’arte e della vita, spaziando dalla sua infanzia ribelle al rapporto con il cinema, fino ai progetti teatrali e alla sua riflessione sulla cultura contemporanea.
L’icona di Topo Gigio e l’infanzia anticonformista
Il profilo WhatsApp di Paolo Ruffini ha un’icona particolare: Topo Gigio.
“Considero la sua ideatrice, Maria Perego, un genio al pari di Fellini. Da piccolo mi dicevano che gli assomigliavo. Forse per lo sguardo… o per il sex appeal”.
Sin da bambino ha sempre avuto un animo ribelle e anticonformista. Cresciuto a Livorno, il suo spirito vivace lo ha portato a interpretare la scuola a modo suo:
“Mi avevano mandato dalle suore per mettermi in riga, ma quella riga è diventata il mio riferimento: devo camminarci sempre sopra”.
Anche al liceo classico la sua presenza si fece notare:
“Ero il producer delle occupazioni scolastiche e delle feste. Mi hanno persino dedicato un bagno, perché passavo lì intere mattinate. Non mi sono mai fatto una canna, ma ci cucinavo con un fornelletto”.
Il cinema come salvezza e la nostalgia della volgarità
Il cinema per lui è stato una vera ancora di salvezza.
“I miei amici erano appassionati di calcio, io di cinema. Vedevo quattro film al giorno. Mi drogavo di cinema”.
Ha partecipato a diversi cinepanettoni, un genere spesso criticato dalla critica ma che Ruffini difende con orgoglio:
“Se domani Aurelio De Laurentiis mi proponesse un altro cinepanettone, lo farei subito. Mi manca tantissimo la volgarità, quella vera, quella del popolo. Non la parolaccia fine a sé stessa, ma il linguaggio diretto e senza filtri di Fantozzi o della Wertmüller”.
Secondo lui, oggi c’è troppa censura sociale:
“Se girassi un film su un serial killer che uccide chi indossa i bermuda, dovrei giustificarmi e dire che non ce l’ho con chi li porta”.
Il libro su Mussolini bambino e la paura di Musk
Il suo nuovo libro, Benito, presente!, esplora l’infanzia di Mussolini:
“Mi sono chiesto: se avessimo potuto incontrarlo a 7 anni, cosa avremmo fatto? Lo avremmo educato o eliminato?”.
Non teme un ritorno del fascismo, ma è preoccupato per l’influenza della tecnologia nella politica moderna:
“Mussolini con TikTok avrebbe vinto ancora di più. Però non mi spaventa Trump, mi spaventa di più Elon Musk, un miliardario che può comprare tutto e tutti”.
Il rapporto con i bambini e l’assenza di figli
Nonostante lavori spesso con i bambini, Ruffini non ha figli:
“Non li ho, ma li ho noleggiati! Lavorando con loro ho fatto esperienza sul campo. I bambini credono ancora nella magia, negli unicorni, in Dio. Noi adulti, invece, non crediamo più nemmeno alla realtà”.
Il teatro e il riconoscimento nel suo lavoro
Il suo spettacolo teatrale Din don Down ha registrato il tutto esaurito:
“Racconto storie di persone bellissime, pure, che non iniziano mai una guerra. Hanno uno spirito pacifista innato”.
Sul riconoscimento del suo lavoro da parte della critica, Ruffini è critico:
“Una volta un critico ha scritto che il mio film era ‘per deficienti’. Ma conosco tanti intellettuali che guardano film considerati di basso livello”.
Per lui, la vera arte è quella che riesce a far dimenticare i problemi per qualche ora:
“Mi definiscono giullare? Lo prendo come un complimento”.