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Economia

Panetta, ‘il pil 2024 sotto l’1%, l’economia rallenta’

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 L’economia europea e italiana segnano il passo, con il nostro Paese che, anche nel 2024, non crescerà più dell’1% dopo lo 0,6-0,7% del 2023. Ad appesantire il Pil è la stretta monetaria della Bce e delle altre banche centrali e un modello di sviluppo il cui motore rappresentato dalla domanda estera si è inceppato e va ripensato riportando indietro parte della produzione industriale. Il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta sceglie il comitato esecutivo dell’Abi, riunito a Milano, per il suo primo discorso dell’anno. Al grande tavolo rettangolare siedono i principali banchieri del Paese, ben conosciuti da Panetta per via del suo passato di dg della Banca d’Italia e del suo ruolo in Bce, dove più volte si spese a favore del comparto bancario nazionale.

“Nei rispettivi ruoli” intendo “lavorare con un rapporto di collaborazione e cooperazione franco e costruttivo” esordisce il governatore dopo il ‘ben tornato’ scandito dal padrone di casa, il presidente Antonio Patuelli. Nei 40 minuti del suo intervento a braccio, trasmesso ‘in chiaro’ su streaming e aiutandosi con qualche slide, il governatore ha così esaminato punti di forza e debolezze dell’economia italiana ed europea, spronando gli istituti di credito a non perdere il treno dell’innovazione. Al termine il governatore, affiancato dal capo della vigilanza Siani, ha risposto alle domande da parte di alcuni dei presenti nella parte dei lavori non pubblici.

Per Panetta quindi stiamo vivendo una fase “di rallentamento ciclico”. Difficoltà riconosciute anche dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, che a Davos rileva come “se scoppia una guerra al mese sarà difficile” raddoppiare la stima di crescita dell’anno scorso”. Il governo prevede per il 2023 una crescita dello 0,8% e nel 2024 una crescita dell’1,2%, Certo la Bce sta vincendo la sua battaglia contro l’inflazione che in Italia è “sotto controllo”, inferiore alla soglia del 2% dove si manterrà, sebbene elementi di rischio geopolitico, ultimo gli attacchi alle navi del Mar Rosso, non mancano e potrebbero avere conseguenze su prezzi e Pil. Per il ministro della difesa Guido Crosetto “l’economia italiana” è la più colpita dalle vicende del Mar Rosso e “il problema si prolunga “può avere ripercussioni”.

Un quadro globale in trasformazione e al quale l’Europa deve adeguarsi sfruttando le opzioni che si aprono ad esempio nel ritorno della produzione industriale, o reshoring. Un Italia “abbiamo un terzo del Paese con un costo del lavoro più basso, una domanda non soddisfatta” e la possibile creazione “di energia” rinnovabile “a buon mercato”, condizioni adatte per il reinsediamento della manifattura (o servizi) visto che ora “delocalizzare in Cina è difficile”. “L’Europa è un mercato di 400 milioni di consumatori”. “Prima le auto, i forni e le lavatrici le vendevamo in Cina e Russia e ora dobbiamo venderli in Europa”, suggerisce.

Un cambio di passo per uscire dalla fase di stancamento dell’economia che peraltro, sottolinea Panetta, potrebbe intaccare la buona salute delle banche italiane. Da quando è diventato governatore, spiega, ha esaminato i numeri del comparto che ha guadagnato molto in salute. E però “senza voler fare il profeta di sventure”, Panetta ha anche elencato le minacce possibili: in primis la liquidità abbondante è destinata ad assottigliarsi vista la stretta della Bce quindi se l’economia proseguirà debole, le sofferenze torneranno a crescere e “i primi segnali” già si vedono. Come ha riconosciuto il presidente Abi Patuelli a fine riunione “nel 2024 dovremo guadagnarci più di sempre giorno per giorno la solidità prospettica dei bilanci bancari”.

E il governatore, che alla Bce ha seguito il progetto dell’euro digitale, sprona poi le banche ad “attrezzarsi” alla sfida delle big tech nella gestione dei dati e della finanza. Fino a ora fermate dalla regolamentazione internazionale, le grandi compagnie (Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft) hanno una potenza di fuoco tale da sovvertire il settore se questo si aprirà alla concorrenza. Le banche possono e devono sfruttare la tecnologia. E racconta che lui stesso, in qualità di cliente di una banca tedesca, “è stato profilato” tramite le sue spese che ne hanno individuato gusti e capacità di reddito: ‘A me arrivavano pubblicità di alberghi a 5 stelle, a mio figlio di camping’.

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Economia

Bonus per assumere giovani e donne e 100 euro a gennaio

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Bonus per le assunzioni di giovani, donne e lavoratori svantaggiati, con sgravi per due anni. E un’indennità di 100 euro a gennaio prossimo per i dipendenti con redditi fino a 28mila euro. La premier Giorgia Meloni insieme a metà governo presenta ai sindacati le novità in arrivo sul lavoro e sul fisco, che andranno in Consiglio dei ministri alla vigilia della festa dei lavoratori. Mettendo sul tavolo un nuovo decreto primo maggio – come già ribattezzato – dopo che l’anno scorso in quella data furono approvate le norme sull’inclusione, con l’addio al Reddito di cittadinanza, sulle causali per i contratti a termine e sul taglio del cuneo fiscale fino a 7 punti. Ora le nuove misure sono contenute nel decreto Coesione, che riforma le relative politiche in materia, e in un decreto legislativo, nell’ambito dell’attuazione della delega fiscale, domani all’esame del Cdm.

L’obiettivo, come rimarcato da Meloni al tavolo con i sindacati, è quello di continuare a sostenere la crescita dell’occupazione, la riduzione della disoccupazione e degli inattivi, ovvero di coloro che non hanno un lavoro e neppure lo cercano, per farli rientrare nel mercato. E anche di difendere il potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori, “segnatamente quelli più esposti”. In particolare, per il lavoro sono in arrivo misure per sostenere l’occupazione dei giovani, delle donne e di alcune categorie di lavoratori svantaggiati: con la riduzione degli oneri contributivi per i nuovi assunti per due anni. Accanto a queste sono previste disposizioni ad hoc per favorire l’avvio di nuove attività distinte per il Centro-Nord e il Mezzogiorno, spiega la premier. E inoltre si fanno spazio “azioni per riqualificare” i lavoratori di grandi imprese in crisi per favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Sul fronte fiscale, sarà invece erogata a gennaio 2025 un’indennità di 100 euro per i lavoratori dipendenti, con reddito complessivo non superiore a 28mila euro con coniuge e almeno un figlio a carico, oppure per le famiglie monogenitoriali con un unico figlio a carico.

Da qualcuno già definito “bonus Befana”. Con il decreto Coesione il governo punta ad accelerare l’attuazione delle politiche di coesione che prevedono per l’Italia 75 miliardi di euro, di cui 43 miliardi di risorse europee. Fondi europei che vengono assegnati al Paese ogni sette anni. E che vanno spesi, destinandoli a politiche del lavoro, sociali e di sostegno alle imprese. Poco prima del confronto con le organizzazioni sindacali in vista del primo maggio, sempre a palazzo Chigi, la presidente del Consiglio e una delegazione del governo hanno incontrato Cgil, Cisl e Uil e la confederazione europea e internazionale dei sindacati per una consultazione in vista del vertice G7, in programma in Puglia dal 13 al 15 giugno.

Come di consueto, il Labour7, il formato che riunisce le organizzazioni sindacali delle nazioni G7 e dell’Ue, partecipa ai lavori formulando raccomandazioni ai leader e ai ministri del Lavoro e presentando le priorità dell’agenda: un’agenda che punti – si legge nella dichiarazione – alla crescita dell’occupazione, verde e di qualità, della sicurezza sul lavoro e dei salari. Presenti agli incontri i segretari generali di Cisl e Uil, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, per la Cgil i segretari confederali – non Maurizio Landini a Palermo per un’assemblea contro la mafia. Mercoledì intanto Cgil, Cisl e Uil si preparano a celebrare il Primo maggio sotto lo slogan “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”, che li vedrà prima a Monfalcone (Gorizia) per la tradizionale manifestazione e poi a Roma per il concertone che debutta al Circo Massimo.

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Bilanci di previsione, virtuoso 86% dei Comuni ma non al Sud

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Comuni diventati virtuosi nella presentazione dei bilanci di previsione. Quest’anno sette su dieci già a metà febbraio avevano approvato e trasmesso il documento e alla data del 15 marzo la percentuale di comuni in linea era salita all’84%. Il dato risulta da un’elaborazione dei dati del Mef fatta dal Centro studi enti locali. Il dato, si spiega, è di netta rottura rispetto al passato e testimonia l’efficacia delle misure adottate lo scorso anno dal Ministero dell’Economia per interrompere il circolo vizioso dei posticipi infiniti che aveva caratterizzato gli ultimi decenni.

Ciò che emerge è però, ancora una volta, è “l’esistenza di divari siderali tra varie aree del Paese che vede contrapposti casi come quello siciliano, dove solo 30 comuni su 100 risultano aver approvato e trasmesso il bilancio, e la Valle d’Aosta e l’Emilia Romagna, dove questa percentuale sale al 96%”. Dopo anni di slittamenti nel 2023 un decreto ministeriale, ha riscritto il calendario delle scadenze contabili e anche se è comunque stata necessaria una proroga al 15 marzo quest’anno ben 4.695 comuni, il 59% del totale, hanno iniziato l’anno corrente con un bilancio di previsione già approvato e non si sono avvalsi del tempo aggiuntivo concesso dal Viminale.

Stando a quanto emerso da un’elaborazione di Centro Studi Enti Locali, basata sui dati della Banca dati delle Amministrazioni Pubbliche (Bdap-Mef), sono stati approvati entro il 15 marzo scorso i bilanci dell’84% dei comuni italiani. All’appello mancano quelli di 1.268 comuni. Questi enti hanno un profilo abbastanza preciso: la stragrande maggioranza è di piccole dimensioni. Nove di questi comuni su dieci hanno infatti meno di 10mila abitanti e il 64% è localizzato al sud e nelle isole. Nel nord Italia, nel suo complesso, risulta essere stato già trasmesso al Mef il 92% dei preventivi. In particolare, spiccano per efficienza: Emilia Romagna e Valle d’Aosta (entrambe a quota 96%) e Trentino Alto Adige e Veneto (95%). Ottimi anche i risultati registrati in: Lombardia (93%), Friuli Venezia Giulia (90%) e Piemonte (89%). Chiude il cerchio la Liguria, con l’85% di comuni adempienti.

Scendendo verso sud la percentuale decresce gradualmente, restando comunque buona al centro, dove mediamente sono stati già approvati e trasmessi 89 bilanci su 100. A trainare verso l’alto questo gruppo sono soprattutto Toscana (95%), Marche e Umbria (93%). Più indietro i comuni laziali, fermi a quota 81%. Meno rosea, ma comunque in netto miglioramento rispetto al passato, la situazione del Mezzogiorno dove i comuni più tempestivi sono stati 6 su 10. In particolare, le 3 regioni in assoluto più distanti dalla media nazionale sono – nell’ordine – la Sicilia, la Calabria e la Campania.

Nella banca dati gestita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, alla data del 24 aprile, risultano essere stati acquisiti soltanto 117 bilanci di previsione di comuni siciliani su 391, meno di uno su tre. Al di là dello Stretto ne sono stati trasmessi 236 su 404 (58% del totale), in Campania il 67% dei preventivi sono stati approvati nei tempi. Prima della classe, per quanto riguarda il meridione, è la Basilicata (92% di bilanci approvati), seguita a breve distanza dalla Sardegna (885) e dalla Puglia (86%). Chiudono il cerchio l’Abruzzo e il Molise, rispettivamente con l’80% e il 77% di comuni che hanno già inviato al Ministero il proprio preventivo.

Secondo il Centro Studi Enti Locali questi dati, nel loro insieme, testimoniano un effetto tangibile prodotto dalla nuova programmazione ma preoccupa la distanza abissale che continua a caratterizzare i risultati ottenuti da enti di territori diversi. Il processo di riforma della contabilità e dell’ordinamento degli enti locali, i cui cantieri sono aperti, dovrà necessariamente tenere conto anche delle criticità finanziarie e organizzative, ormai strutturali ed endemiche, di alcuni territori e individuare delle soluzioni efficaci per far sì che queste distanze siano colmate.

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Inflazione, Codacons: con record cacao e caffè rischi rincari

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E’ boom per le quotazioni di cacao e caffè, con i prezzi delle due materie prime che sui mercati internazionali stanno raggiungendo nuovi preoccupanti record, aumenti che potrebbero portare a breve a forti rincari dei listini al dettaglio per una moltitudine di prodotti venduti in Italia. L’allarme arriva oggi dal Codacons, che ha monitorato l’andamento delle quotazioni negli ultimi mesi. A inizio gennaio il prezzo del cacao era pari a circa 4.250 dollari la tonnellata, mentre ieri, mercoledì 24 aprile, le quotazioni sui mercati avevano raggiunto quota 10.800 dollari, con un incremento del +154% da inizio anno, riporta il Codacons. Trend analogo si registra per il caffè, con il Robusta che è passato dai 2.800 dollari la tonnellata dello scorso gennaio ai 4.250 dollari del 24 aprile, segnando un +51,8%, mentre l’Arabica nello stesso periodo sale da 190 a 224 centesimi alla libbra (+18%).

Quotazioni alle stelle che interessano materie prime utilizzate per prodotti molto consumati in Italia, e che rischiano di determinare rincari a raffica per i prezzi al dettaglio di una moltitudine di alimenti, lancia l’allarme il Codacons. Basti pensare che solo per i prodotti a base di cacao e caffè gli italiani spendono oltre 10,2 miliardi di euro all’anno, circa 392 euro a famiglia: il giro d’affari del cioccolato nel nostro Paese è di circa 2 miliardi di euro, con un consumo procapite di circa 2 kg. Cialde e capsule valgono 595 milioni di euro annui, mentre il caffè per moka registra vendite per 640 milioni di euro. 7 miliardi di euro il business del caffè espresso consumato al bar. I prezzi al dettaglio hanno già risentito nell’ultimo periodo dell’andamento delle quotazioni, con i prezzi di prodotti a base di cacao e caffè che sono aumentati sensibilmente rispetto allo scorso anno – aggiunge il Codacons. Ipotizzando un rincaro medio dei listini al dettaglio del +5% come effetto dei rialzi delle materie prime, i consumatori andrebbero incontro ad una nuova stangata da 510 milioni di euro solo per i consumi di caffè e cioccolato.

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