Marciscono al sole. Ci passano i cani bradi, ad annusarli. Sono rovesciati a faccia in giù nei campi di maggese, buttati sulla scarpata, stracci sul bordo della strada 234. Tre corpi gonfi, viola. Denudati, le mutande abbassate. Un altro più avanti è torto come un tronco seccato, la postura innaturale. E ancora uno, vicino a una Peugeot traforata di spari, i finestrini frantumati. Quanti sono? Undici. No, dodici… Guarda, ce ne sono altri due là sopra… Le auto scorrono veloci sulla statale. Qualcuno rallenta e li guarda come vedesse un gatto spiaccicato sull’asfalto. Nessuno che li raccolga, li porti via, li seppellisca. Passa un militare, ma solo per esaminare una sacca nera: “Certo che sono terroristi!…”. Sono quelli del rave, che han fatto 260 morti? Il soldato non dà informazioni. Ma perché restano qui? La risposta è negli occhi: che restino a marcire dove sono.
Questo è l’orrore che si svela lungo la strada 234, che costeggia la Striscia di Gaza, nel corso del tragico mese di ottobre. Il conflitto tra Hamas e Israele ha sfondato tutti i record del dolore e della sofferenza. La Striscia è stata teatro della peggiore mattanza di civili israeliani mai vista, con duecento morti, tra cui quaranta neonati e bambini. E le stragi continuano a mietere vittime.
Kfar Aza, un tranquillo villaggio stile kibbutz degli anni ’50, è stato trasformato in un macabro campo di battaglia. Il generale Itai Veruv paragona la scena alla visione degli orrori nei campi di concentramento nazisti. Le strade sono ora insanguinate, le case sono state incendiate, e il terrore ha costretto la popolazione a fuggire, solo per essere uccisa una volta fuori.
Si spara ancora, e le forze di difesa israeliane si preparano per un grande assedio. Ma il terrore persiste, e le trincee scavate dai terroristi rendono difficile il recupero dei corpi dei giovani del rave. Hamas ha pianificato attentamente questo attacco, con tunnel sotterranei che spiegano la rapidità e l’efficacia dei terroristi.
Oltre il sito del tragico party, si vedono solo distruzione e caos. Le sedie di plastica sono rovesciate, il tavolo delle birre è frantumato, e le auto abbandonate lungo la strada testimoniano il terrore che ha colto tutti. Ma c’è anche un senso di unità tra il popolo israeliano, con ebrei laici che si uniscono agli ultraortodossi per difendere il loro paese.
L’ottobre nero di Hamas non ha precedenti nella storia dei conflitti in Medio Oriente. Le morti di civili israeliani sono innumerevoli, e la rappresaglia israeliana su Gaza è pesante. La popolazione di Gaza è costretta a fuggire, e questo è il più grande esodo dai tempi della Nakba del 1948.
La situazione è disperata, e c’è il timore che la guerra possa continuare. Un residente di Netivot, a 12 km da Gaza, fa scorta di cibo, temendo che il conflitto possa prolungarsi. La paura è palpabile, e la gente è costretta a barricarsi in casa, pregando per la fine del terrore.
Chi può, scappa, cercando rifugio lontano da questa zona dilaniata dalla guerra. Ma ci sono anche coloro che rimangono, pronti a difendere il loro paese e a chiudere la questione di Gaza una volta per tutte.
Mentre il conto delle vittime continua a salire, l’odio e la disperazione crescono in entrambi i fronti. Questo conflitto, che sembra non avere fine, sta portando morte e distruzione in una regione già martoriata da decenni di violenza. La comunità internazionale deve fare tutto il possibile per porre fine a questa tragedia e cercare una soluzione pacifica che metta fine a tanto dolore e sofferenza.