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Colpì il compagno a volto provocandone la morte, condannata

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Al culmine di una lite scoppiata in strada e poi continuata in casa, colpì alla testa con un oggetto il compagno, provocandone poi la morte. Per questo motivo il gup del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) Alessia Stadio ha condannato, al termine del processo abbreviato, ad otto anni di carcere per omicidio preterintenzionale la 46enne Rosanna Oliviero. Vittima dell’aggressione, avvenuta a Vairano Patenora il 12 giugno dello scorso anno, il compagno di 44 anni Rino Pezzullo, che morì all’ospedale Cardarelli di Napoli dopo cinque giorni di agonia.

Per la Procura di Santa Maria Capua Vetere – sostituto Giacomo Urbano – che ha chiesto la condanna dell’imputata (difesa da Massimo Caiano), Pezzullo è deceduto per le conseguenze di un violento colpo al volto sferrato dalla donna, che gli provocò la frattura delle ossa nasali e lo fece cadere a terra all’indietro, circostanza che gli causò un forte trauma cranico con emorragia interna; determinante la relazione medico-legale realizzata dal consulente nominato dalla Procura. Dalle indagini realizzate è emerso che la coppia litigò in modo acceso mentre erano in auto per le strade di Vairano, poi la discussione proseguì in casa di Pezzullo. La Oliviero chiamò il 118, e ai sanitari spiegò che il compagno aveva avuto un malore; Pezzullo fu portato in ospedale, decedendo dopo qualche giorno.

Dopo la morte del 44enne, i carabinieri si presentarono a casa della donna, sospettando che le cose non fossero andate come la 46enne aveva raccontato, anche perché la Oliviero presentava un’ecchimosi alla bocca compatibile con un litigio; i militari sequestrarono l’abitazione della vittima e l’auto dove i due avevano litigato, acquisirono immagini da telecamere di videosorveglianza e testimonianze e ricostruirono l’accaduto. Al processo si sono costituite come parte civile le cinque sorelle di Pezzullo, assistite da Ernesto De Angelis.

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Trump attacca Putin e annuncia nuove armi difensive per Kiev: “Deluso da Mosca”

Donald Trump si dice deluso da Putin e annuncia nuovi invii di armi difensive all’Ucraina durante una cena alla Casa Bianca con Netanyahu. Il presidente USA alza la voce contro Mosca.

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Non sono affatto contento del presidente Putin. Se posso fermare una guerra, sapete, perché ho la capacità di farlo… sono deluso, francamente, che il presidente Putin non si sia fermato“. Così il presidente americano Donald Trump ha risposto ai cronisti durante la cena ufficiale alla Casa Bianca con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, tornando a parlare della guerra in Ucraina e del ruolo del Cremlino nel conflitto.

Nuove armi difensive per Kiev

Durante lo stesso incontro, Trump ha confermato l’intenzione degli Stati Uniti di inviare nuove armi all’Ucraina. “Invieremo altre armi. Dobbiamo farlo. Devono essere in grado di difendersi. Ora vengono colpiti molto duramente”, ha spiegato ai giornalisti. Il presidente ha poi precisato che si tratterà di armi difensive, sottolineando l’impegno americano a sostenere Kiev senza però alimentare l’escalation.

Il contesto della dichiarazione

Le parole di Trump arrivano in un momento di forte tensione internazionale, mentre la guerra in Ucraina prosegue con attacchi sempre più intensi nelle regioni orientali. Le dichiarazioni del presidente americano, riferite dalla CNN, segnano un ulteriore irrigidimento della posizione statunitense nei confronti di Mosca, ma anche la volontà di mantenere un equilibrio tra il sostegno militare e l’obiettivo di evitare un conflitto diretto con la Russia.

Al fianco di Israele, ma con lo sguardo su Kiev

La cena con Netanyahu, di forte valore simbolico e politico, è servita anche a rilanciare l’asse Washington-Tel Aviv. Tuttavia, il dossier ucraino ha preso il centro della scena, confermando che la guerra in Europa resta una delle priorità dell’agenda internazionale americana.

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Nasce la Scuola per le operatrici dei centri antiviolenza

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“Ci sono tante donne che vorrebbero aiutare i centri antiviolenza, ma ci vogliono le competenze perché ogni donna ha la sua storia. I problemi sono tanti e nessuno ci aiuta, allora dobbiamo aiutarci tra di noi, tra amiche”. Fiorella Mannoia, presidente onoraria della Fondazione Una Nessuna Centomila, racconta così le ragioni della nascita della prima Scuola nazionale permanente per le operatrici dei Centri antiviolenza, oggi alla Casa internazionale delle donne, a Roma.

“Non è più tempo di lavorare da soli – spiega la presidente, Giulia Minoli -, bisogna stare insieme per costruire progetti permanenti, portando dentro pure persone che ci sembrano a una distanza siderale rispetto a noi”. L’obiettivo del corso, che sarà gratuito e diviso in otto moduli in formula mista in presenza (alla Casa internazionale delle donne) e da remoto, è quello di fornire una formazione strutturata sui saperi e sulle strategie acquisite in anni di lavoro nei centri antiviolenza, così che le competenze siano uniformate a livello nazionale e vi sia la capacità di rapportarsi con autorevolezza ed efficacia con le istituzioni. Il progetto è a cura di Teresa Bruno, Lella Palladino, Delia Saffioti e Giovanna Zitiello.

La data di partenza della prima sessione, dedicata alla ‘Matrice culturale e strutturale della violenza maschile contro le donne’, è il 10 ottobre. Seguiranno approfondimenti su informazione, intersezionalità, servizi socio-sanitari e lavoro sociale, aspetti legislativi, lavoro nelle case rifugio e nei centri. E si parlerà pure di violenza verso i bambini e modalità di accoglienza delle vittime della tratta. “Le operatrici devono essere pronte a questo – ha spiegato la vicepresidente, Lella Palladino -: ci saranno dei laboratori esperienziali nei quali faranno un lavoro di consapevolezza, perché la violenza impatta fortemente su chi ascolta le storie e chi ci lavora deve saper gestire le reazioni emotive, oltre che capire come parlare con donne con culture diverse dalla nostra”.

“Vogliamo che sia una scuola permanente perché da quando siamo nate abbiamo cercato di rendere strutturali strumenti che servono per affrontare un problema che nel nostro Paese è a sua volta strutturale”, ha ricordato l’altra vicepresidente della Fondazione, Celeste Costantino. Tra le docenti confermate ci sono insegnanti di università di tutta Italia, rappresentanti di associazioni e collettivi, ma anche la filosofa Mara Gancitano, l’autrice e giornalista Giulia Siviero, la consulente per i diritti umani e digitali Pegah Moshir Pour e l’economista Azzurra Rinaldi. “Le donne hanno bisogno di soldi – ha commentato Rinaldi – e quelle che escono da un percorso di violenza ne hanno ancora più bisogno. Una delle cose che dobbiamo potenziare con questa scuola è la capacità di chiedere, e in particolare chiedere soldi senza vergognarci. Non ce lo insegna nessuno”. L’incontro è stato inoltre un’occasione per ricordare il concerto di raccolta fondi della Fondazione, che quest’anno sarà a piazza del Plebiscito, a Napoli, il 25 settembre. “Abbiamo scelto di andare a Sud – ha detto Mannoia – magari la prossima volta scenderemo ancora di più. E abbiamo voluto che un’ala della piazza fosse dedicata alle operatrici. Glielo dobbiamo” -.

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Mafia: sequestro di 30 milioni di euro a 2 legali a Messina

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La Guardia di Finanza di Messina ha eseguito un decreto di sequestro di beni per 30 milioni di euroe emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Messina, nei confronti dell’ex avvocato Andrea Lo Castro e del legale Francesco Bagnato, ritenuti contigui alla criminalità organizzata. Lo Castro è attualmente affidato in prova ai servizi sociali, Bagnato è originario della provincia di Vibo Valentia, ma attivo nel comprensorio peloritano. L’avvocato di Messina – dice la Gdf – la cui pericolosità sociale risulta chiaramente dalle evidenze giudiziarie emerse nell’indagine “Beta”, risalente al 2013 e condotta dalla Procura di Messina, con la quale è stato accertato, il concorso esterno nel delitto di associazione mafiosa per aver fornito un contributo ad una consorteria collegata al clan Santapaola Ercolano.

E’ stato possibile ricostruire il profilo di pericolosità del legale grazie alle risultanze emerse dalla più recente operazione “Default, eseguita nel 2019 che ha fatto emergere “un’associazione a delinquere costituita da una serie di professionisti, compresi i destinatari della misura, creata allo scopo di commettere più delitti contro il patrimonio, quali, tra gli altri, bancarotta, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, riciclaggio e auto-riciclaggio, falso ideologico in atto pubblico e appropriazione indebita”. La misura di prevenzione patrimoniale ha riguardato 7 compendi aziendali comprensivi dei relativi beni patrimoniali, una partecipazione di capitale sociale, una polizza, un conto corrente, 49 beni immobili, un motociclo. Tra i beni sequestrati anche un podere nobiliare, immerso nel verde della Toscana, appartenuto alla famiglia Chigi.

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