Con l’avvicinarsi della stagione estiva, fioccano le nuove ordinanze nei comuni a vocazione turistica. Il caso più recente arriva da Ischia: il 10 aprile il sindaco Enzo Ferrandino ha firmato un’ordinanza che vieta in modo esplicito l’attività dei cosiddetti “buttadentro” – personale di ristoranti e bar appostato all’esterno per attirare clienti – insieme ad altre forme di promozione commerciale invasive sulle strade pubbliche e sulle aree demaniali dell’isola.
Nel dettaglio, il provvedimento proibisce qualsiasi attività di intermediazione o promozione di beni e servizi in luogo pubblico, inclusa la pubblicità ambulante, e in particolare vieta ai locali di impiegare personale all’esterno per adescare turisti. Anche i venditori ambulanti di articoli turistici non potranno più promuovere la propria merce fuori dalle aree consentite.
L’ordinanza – definita necessaria dal sindaco per contrastare una pratica “odiosa” e ormai dilagante – mira a tutelare l’immagine dell’isola e la qualità dell’esperienza dei visitatori. Ferrandino motiva il giro di vite con l’esigenza di garantire sicurezza e vivibilità ai turisti, ritenendo che certi atteggiamenti assillanti possano rovinare la vacanza e persino scoraggiare le future presenze, con ricadute negative sull’economia locale.
Le sanzioni previste non sono simboliche: chi violerà il divieto rischia una multa amministrativa da 173 fino a 694 euro, e in caso di recidiva è prevista persino la sospensione dell’attività commerciale fino a tre giorni. Insomma, a Ischia si prospetta tolleranza zero verso chi “assale i turisti” fuori dai locali. Ma questo pugno di ferro sulla carta sarà davvero applicato nella realtà quotidiana? L’interrogativo sorge spontaneo: chi materialmente vigilerà sul rispetto di queste regole durante l’affollatissima stagione estiva isolana?
Nord: in spiaggia vietato persino il castello di sabbia
Ischia non è un caso isolato. Dalla Riviera Adriatica alla Liguria, ogni estate molti sindaci emanano ordinanze singolari per disciplinare costumi e comportamenti dei vacanzieri. In Veneto, ad esempio, ha fatto discutere l’ordinanza balneare del Comune di Cavallino-Treporti (Venezia) che, per ragioni di sicurezza, ha vietato di costruire castelli di sabbia o scavare buche sulla battigia. Il provvedimento – in vigore su uno dei litorali più frequentati dell’Adriatico – nasce ufficialmente per non ostacolare l’eventuale passaggio di mezzi di soccorso sulla spiaggia. La misura è parsa a molti villeggianti un eccesso di zelo burocratico, tanto che un nonno in vacanza ha scritto ai giornali lamentando l’impossibilità di far giocare i nipotini sulla riva.
Di fronte alle proteste, il sindaco Roberta Nesto ha precisato che l’ordinanza recepisce norme nazionali e regionali e “va applicata con buonsenso” – in altre parole, i bambini che costruiscono torri di sabbia non saranno inseguiti dai vigili a meno che non creino reali intralci. Non a caso, la Capitaneria di Porto locale ha effettuato solo controlli informativi senza elevare contravvenzioni, intervenendo piuttosto contro situazioni ormai fuori controllo (come gli ombrelloni piantati troppo vicino al bagnasciuga). Anche sulla costa ligure si registrano iniziative curiose: a Bonassola, borgo turistico vicino alle Cinque Terre, a fine dell’estate scorsa il Comune ha addirittura integrato il regolamento di polizia urbana per vietare di camminare a torso nudo o scalzi per le vie del paese, nonché di entrare in negozi, bar o edifici pubblici in costume da bagno. La misura, richiesta da alcuni esercenti per tutelare il “decoro” locale, è stata approvata a stagione praticamente conclusa – suscitando perplessità sia tra chi la considera tardiva e di scarsa utilità, sia tra chi vi intravede un eccesso di severità verso semplici villeggianti in relax.
Centro: crociate contro il “turista cafone” e bivacchi urbani
Nel Centro Italia ritroviamo ordinanze estive improntate al decoro e alla convivenza civile, spesso indirizzate ai cosiddetti “turisti cafoni”. In città d’arte come Firenze, da qualche anno l’amministrazione combatte la mala educazione dei visitatori a colpi di ordinanze anti-bivacco. Il sindaco Dario Nardella ha più volte riproposto il divieto di consumare cibi e bevande seduti per terra o sugli scalini di monumenti e negozi in alcune zone nevralgiche del centro storico (come Piazzale degli Uffizi e Via dei Neri, celebre ritrovo dello street food), nelle fasce orarie di punta. Questo provvedimento – noto come ordinanza “anti-panino” – nasce per impedire picnic improvvisati sui marciapiedi che intralciano il passaggio e sporcano il suolo pubblico. I trasgressori a Firenze rischiano multe salate, fino a 500 euro, e i commercianti della zona sono tenuti a esporre cartelli multilingue che avvisano del divieto. Secondo Palazzo Vecchio, tali misure hanno dato buoni risultati in termini di immagine e gradimento dei residenti. Resta però il dubbio di quanto i vigili urbani riescano effettivamente a sanzionare ogni turista con il panino fuori posto – e infatti l’ordinanza viene riproposta annualmente, segno che il problema tende a ripresentarsi ciclicamente.
Anche lungo la costa adriatica centrale si assiste a una fioritura di regole “anti-trasgressione estiva”. In Abruzzo, il Comune di Giulianova (Teramo) – nota località balneare – ha da tempo adottato un’ordinanza per proibire l’abbigliamento da spiaggia in città, e negli ultimi quattro anni non ha mai revocato tali norme sul decoro pubblico. Segno che, nonostante i divieti formali, c’è bisogno di continui “richiami” ai vacanzieri distratti. Un caso singolare riguarda poi il Parco Nord di Milano (pur non essendo località balneare, è meta di tintarelle estive): qui il regolamento dei parchi urbani è stato aggiornato per vietare di prendere il sole in modo indecoroso, ad esempio in topless o con il solo perizoma, pena sanzioni dai 300 euro in su. Si tratta di un contesto diverso – un grande parco cittadino – ma conferma la tendenza dei pubblici amministratori italiani a intervenire fin nei dettagli del “dress code” estivo, ovunque ci siano flussi di persone da gestire.
Sud: niente bikini in centro e stretta sulla movida
È però nel Sud turistico che spesso si registra la concentrazione maggiore di ordinanze singolari, specie nei luoghi di mare. Diversi comuni costieri impongono ai turisti di coprirsi adeguatamente quando lasciano la spiaggia. Il caso di Tropea, perla calabrese affollata ogni anno da migliaia di visitatori, è emblematico. Qui dal 2019 vige un’ordinanza del sindaco (riconfermata ogni estate) che vieta di circolare o sostare per le vie cittadine in costume da bagno, a torso nudo o persino scalzi al di fuori delle aree balneari. Chi trasgredisce al dress code può incorrere in una multa compresa tra 125 e 500 euro, con possibilità per la polizia locale di intimare l’allontanamento immediato dal centro storico. Le motivazioni ufficiali riprendono un copione noto: tutelare il decoro e la decenza percepiti dalla maggioranza dei cittadini e turisti perbene, evitando “comportamenti contrari al normale convivere civile”. Insomma, a Tropea il bikini lontano dalla spiaggia viene equiparato a un oltraggio al pudore locale. Provvedimenti analoghi si ritrovano in molte altre località del Mezzogiorno: in Campania ad esempio Sorrento ha introdotto divieti praticamente identici contro chi passeggia seminudo per le strade del centro, così come varie città pugliesi (Margherita di Savoia, Barletta, Andria) e località del litorale laziale e toscano non sono state da meno. Persino nelle isole maggiori ci si muove su questa linea: il sindaco di Cagliari ha messo nero su bianco il divieto di stare in costume fuori dalle spiagge urbane, e analoghi ordinanze sono state firmate a Villasimius (Sardegna) e a Praia a Mare (Calabria) limitatamente alla scorsa stagione estiva. In alcune zone ad altissima vocazione turistica si è adottato un approccio “misto”: a Riccione, in Romagna, la restrizione vale solo per le vie centralissime più affollate, creando di fatto una sorta di “ZTL del bikini” dove chi entra senza maglietta rischia una sanzione (massimo 50 euro); a Trieste, invece, l’amministrazione comunale si è limitata a posizionare cartelli di cortesia sul lungomare di Barcola, raccomandando un abbigliamento adeguato quando si lascia la spiaggia per andare al bar – un invito più che un divieto, nato dopo polemiche sui media locali. Questa varietà di approcci, dal più severo al più bonario, rivela un fatto importante: le regole spesso dipendono dall’enfasi comunicativa del sindaco di turno, più che da un’effettiva emergenza di ordine pubblico.
Il paradosso italiano: le leggi ci sono, i controlli un po’ meno
Viene quindi da chiedersi quale sia l’efficacia reale di queste ordinanze balneari e “pseudo-civiche”. L’Italia dispone già di codici di comportamento (regolamenti di polizia urbana, norme igienico-sanitarie, codice della strada, etc.) che coprono molti dei problemi che si vorrebbero arginare: dal disturbo alla quiete pubblica, all’occupazione indebita di suolo, fino agli atti contrari alla pubblica decenza. Eppure ogni anno, con l’arrivo dell’estate, assistiamo al rito tutto italiano della nuova ordinanza estiva: divieti spesso ridondanti, annunciati con enfasi dalla giunta comunale, che fanno il giro dei media e danno l’idea di un’azione decisa.
Il vero nodo, tuttavia, è farle rispettare. Le spiagge e i centri storici brulicano di visitatori e richiederebbero un impegno costante di polizia locale, guardia costiera o forze dell’ordine per vigilare su ogni “infrazione da costume da bagno” o su ogni buttadentro che importuna i passanti. Quante amministrazioni possono permettersi pattuglie dedicate a multare chi gira a torso nudo o chi costruisce un castello di sabbia fuori posto? Spesso queste norme restano sulla carta o vengono applicate in modo sporadico, magari solo per qualche caso eclatante, giusto a mo’ di esempio. Non a caso, perfino nei comunicati ufficiali si ammette che certe regole vanno applicate con discernimento, e in molti luoghi le sanzioni sono rare o lasciate al buon senso degli agenti.
Alcuni osservatori sottolineano poi un altro paradosso: invece di emanare nuovi divieti “simbolici”, i sindaci potrebbero concentrare energie sul rispetto delle leggi già esistenti (ad esempio contrastando l’abusivismo commerciale, l’inquinamento acustico, il degrado urbano con gli strumenti normativi già a disposizione) e sul miglior impiego delle risorse derivanti dalla tassa di soggiorno pagata dai turisti. Ogni estate, infatti, milioni di euro affluiscono nelle casse comunali attraverso l’imposta di soggiorno, denaro che per legge dovrebbe essere reinvestito nel turismo, nella sicurezza e nel decoro delle città ospitanti. Quanti comuni rendicontano in modo trasparente l’uso di questi fondi per potenziare i controlli o i servizi ai villeggianti? Invece di assumere vigili stagionali, installare servizi igienici o pulire le strade, molte amministrazioni sembrano preferire la via più facile dell’ordinanza “spot”, che fa notizia ma spesso non cambia la realtà dei fatti. È più semplice firmare un divieto di balneazione notturna che organizzare pattugliamenti in spiaggia dopo il tramonto; più rapido vietare per decreto i venditori ambulanti che combattere realmente il commercio abusivo con operazioni congiunte.
In conclusione, le ordinanze estive rappresentano un curioso rito all’italiana: proliferano divieti a volte bizzarri – dal gelato sui gradini al bikini fuori luogo – emanati in nome del decoro e della sicurezza, ma che rischiano di rimanere lettera morta se non si affronta il vero problema, ovvero la costante e credibile applicazione delle regole. Un turismo sostenibile e di qualità si tutela con investimenti, pianificazione e rispetto delle normative (vecchie e nuove) sul campo, non solo con proclami estemporanei. Finché si continuerà con ordinanze spot senza adeguati controlli, resteremo con il dubbio che a certi sindaci interessi più poter dire di aver “messo ordine” sulla carta, che assicurarsi che quell’ordine si materializzi davvero tra i vicoli affollati e sulle spiagge affollate delle nostre estati italiane. In altre parole, il mare di divieti annunciati ogni anno rischia di infrangersi, come un’onda effimera, contro gli scogli eterni della nostra proverbiale capacità di arrangiarci – scalzi o in costume che sia – quando mancano veri guardiani a far rispettare le regole.