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Omicidio Cucchi, requisitoria del pm Musarò: “Pestaggio da teppisti da stadio e depistaggio scientifico”

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“Pestaggio degno di teppisti da stadio”. Le parole sono quelle usate nella requisitoria del pm Giovanni Musarò per l’omicidio di Stefano Cucchi. Il pm parla del pestaggio subito da parte di carabinieri. Sulla sua morte ci fu un depistaggio “scientifico” a partire dal primo verbale dell’ottobre 2009, quando il geometra trentunenne, a Roma, fu fermato per droga e non tornò mai più a casa.  La requisitoria del pm  Musarò nell’aula bunker di Rebibbia ripercorre la notte del pestaggio e il calvario di Stefano che morì all’ ospedale Pertini una settimana dopo il suo arresto senza aver mai potuto vedere la famiglia o il suo avvocato. “Non fu uno schiaffo – ha detto il pm – ma un pestaggio degno di teppisti da stadio contro una persona fragile e sottopeso”. E ricorda i momenti drammatici dopo il fermo: Cucchi aveva litigato con Alessio Di Bernardo, uno dei carabinieri imputati per omicidio preterintenzionale perché aveva rifiutato il fotosegnalmento, “Di Bernardo gli molla uno schiaffo. Cucchi barcolla indietro. Raffaele D’ Alessandro (altro carabiniere imputato, ndr) gli dà un calcio e Cucchi va in avanti. Poi arriva una violenta spinta e il ragazzo cade indietro, sbattendo a terra sedere e nuca e viene colpito con un calcio in faccia che gli provoca una frattura alla base del cranio. Con la caduta, la cosa più grave, si frattura due vertebre. A quel punto, Francesco Tedesco (imputato di omicidio preterintenzionale e falso) interviene, blocca i colleghi, evita che a Cucchi arrivi un altro calcio, aiuta il ragazzo a tirarsi su e avverte il maresciallo Roberto Mandolini comandante della stazione Appia (imputato di falso e calunnia) per raccontargli quello che era successo”.

Ilaria cucchi. La sorella di Stefano Cucchi

Tedesco è il carabiniere che nei mesi scorsi ha accusato i suoi colleghi del pestaggio. “I carabinieri Di Bernardo e D’ Alessandro – scandisce Musarò – autori di un’aggressione così vile, non è che sono stati sfortunati in quella circostanza. Se la sono presa con una persona sotto peso, di appena 40 chili, che consideravano un drogato”. Ma Cucchi da quel pestaggio avrebbe potuto uscirne vivo se non fosse finito in carcere senza cure adeguate. Il gip che lo mandò a Regina Coeli, però, fu ingannato da un falso verbale, il primo di una lunga serie che porterà a processo, dal 12 novembre, otto alti ufficiali dei carabinieri.
“Stefano Cucchi fu portato in carcere – ricostruisce Musarò – perché il maresciallo Mandolini scrisse nel verbale di arresto che era un senza fissa dimora, lui in realtà era residente dai genitori. Senza quella dicitura forse sarebbe finito ai domiciliari e oggi non saremmo qui in questo processo. Questo giochetto è costato la vita a Cucchi”. Quel verbale “è il primo atto di depistaggio di questa vicenda perché i nomi di Tedesco, Di Bernardo e D’ Alessandro non compaiono nel documento”. A seguire parola per parola la lunga requisitoria i genitori di Cucchi e la sorella Ilaria. Gli occhi lucidi, in particolare durante un passaggio del pm che ricorda l’ importante testimonianza di un detenuto, Luigi Lainà, che vide Stefano “acciaccato di brutto”, con la faccia gonfia e a cui il giovane raccontò del pestaggio dei carabinieri. “Stefano Cucchi non si è potuto sedere in aula a raccontare cosa gli fosse successo ma ha parlato con la voce di Lainà, gli ha lasciato una specie di testamento”.

Ilaria Cucchi. La sorella di Stefano Cucchi è stata felice della requisitoria del pm Musarò

Il pm ha parlato nell’ aula bunker di Rebibbia dove si era celebrato il processo con l’ inganno di uomini delle istituzioni: “Il primo processo, quello che vedeva imputati tre agenti di polizia penitenziaria fortunatamente sempre assolti, è stato un processo kafkiano, con gli attuali imputati seduti all’ epoca sul banco dei testimoni, con cateteri applicati a Cucchi per comodità e fratture lombari non viste apposta da famosi ‘professoroni’. Tutto ciò non è successo per sciatteria, ma per uno scientifico depistaggio cominciato la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 alla stazione Appia dei carabinieri, quando il ragazzo venne arrestato”. Le richieste di pena ci saranno il 3 ottobre.
Al fianco di Musarò, per la prima parte dell’ udienza, c’ era il procuratore reggente di Roma Michele Prestipino. Ilaria Cucchi alla fine dell’ udienza pensa a voce alta al fratello: “Mi piacerebbe che Stefano oggi potesse aver sentito le parole del pm, penso che sarebbe felice”.

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Auto in fiamme, muore una donna

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Tragico pomeriggio a Vado Ligure, in provincia di Savona, dove una donna è morta in circostanze misteriose a causa dell’incendio di un’auto vicino a un distributore di benzina lungo la via Aurelia. Gli eventi hanno destato preoccupazione e confusione nella comunità locale, poiché la dinamica di quanto accaduto rimane ancora avvolta nell’ombra.

Al momento, non è stata fornita alcuna chiarezza sulla natura dell’incidente. Le autorità locali stanno conducendo un’indagine approfondita per determinare se si sia trattato di un gesto deliberato o di un tragico incidente. Ciò che è certo è che la donna è stata trovata senza vita al di fuori del veicolo incendiato, a pochi passi dal distributore di benzina. La sua identità non è stata resa nota pubblicamente, in attesa di informare i familiari più stretti.

L’incidente ha richiamato prontamente l’intervento di diverse squadre di soccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato incessantemente per domare le fiamme, mentre l’automedica del 118 ha tentato di prestare soccorso alla vittima. I carabinieri e i membri della Croce Rossa di Savona si sono mobilitati per garantire il controllo della situazione e fornire supporto alle indagini in corso.

 

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Last Banner, aumentano le condanne per gli ultrà della Juventus

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Sugli ultrà della Juventus la giustizia mette il carico da undici. Resta confermata l’ipotesi di associazione per delinquere, l’estorsione diventa ‘consumata’ e non solo più ‘tentata’, le condanne aumentano. Il processo d’appello per il caso Last Banner si chiude, a Torino, con una sentenza che vede Dino Mocciola, leader storico dei Drughi, passare da 4 anni e 10 mesi a 8 anni di carcere; per Salvatore Ceva, Sergio Genre, Umberto Toia e Giuseppe Franzo la pena raggiunge i 4 anni e 7 mesi, 4 anni e 6 mesi, 4 anni e 3 mesi, 3 anni e 11 mesi. A Franzo viene anche revocata la condizionale.

La Corte subalpina, secondo quanto si ricava dal dispositivo, ha accettato l’impostazione del pg Chiara Maina, che aveva chiesto più severità rispetto al giudizio di primo grado. Secondo le accuse, le intemperanze da stadio e gli scioperi del tifo furono, nel corso della stagione 2018-19, gli strumenti con cui le frange più estreme della curva fecero pressione sulla Juventusper non perdere agevolazioni e privilegi in materia di biglietti. Fino a quando la società non presentò la denuncia che innescò una lunga e articolata indagine della Digos. Già la sentenza del tribunale, pronunciata nell’ottobre del 2021, era stata definita di portata storica perché non era mai successo che a un gruppo ultras venisse incollata l’etichetta di associazione per delinquere. Quella di appello si è spinta anche oltre.

Alcune settimane fa le tesi degli inquirenti avevano superato un primo vaglio della Cassazione: i supremi giudici, al termine di uno dei filoni secondari di Last Banner, avevano confermato la condanna (due mesi e 20 giorni poi ridotti in appello) inflitta a 57enne militante dei Drughi chiamato a rispondere di violenza privata: in occasione di un paio di partite casalinghe della Juve, il tifoso delimitò con il nastro adesivo le zone degli spalti che gli ultrà volevano per loro e allontanò in malo modo gli spettatori ‘ordinari’ che cercavano un posto. Oggi il commento a caldo di Luigi Chiappero, l’avvocato che insieme alla collega Maria Turco ha patrocinato la Juventus come legale di parte civile, è che “il risultato, cui si è giunti con una azione congiunta della questura e della società, è anche il frutto dell’impegno profuso per aumentare la funzionalità degli stadi”. “Senza la complessa macchina organizzativa allestita in materia di sicurezza – spiega il penalista – non si sarebbe mai potuto conoscere nei dettagli ciò che accadeva nella curva”. Fra le parti civili c’era anche Alberto Pairetto, l’uomo della Juventus incaricato di tenere i rapporti con gli ultrà.

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Malore in caserma, muore vigile del fuoco

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Ha accusato un malore nella notte tra domenica e lunedì nella caserma dei vigili del fuoco del Lingotto a Torino ed è morto dopo circa un’ora all’ospedale delle Molinette, dove era stato ricoverato. L’uomo, Samuele Del Ministro, aveva 50 anni ed era originario di Pescia (Pistoia). In una nota i colleghi del comando vigili del fuoco di Pistoia ricordano come Del Ministro avesse iniziato il suo percorso nel corpo nazionale dei vigili del fuoco con il servizio di leva, per poi entrare in servizio permanente nel 2001, proprio al comando provinciale di Torino, da cui fu poi trasferito al comando di Pistoia.

Per circa vent’anni ha prestato servizio nella sede distaccata di Montecatini Terme (Pistoia), specializzandosi in tecniche speleo alpino fluviali e tecniche di primo soccorso sanitario. Ha partecipato a tante fasi emergenziali sul territorio nazionale: dal terremoto a L’Aquila, all’incidente della Costa Concordia all’Isola del Giglio, fino al terremoto nel centro Italia. “Un vigile sempre in prima linea – si legge ancora -, poi il passaggio di qualifica al ruolo di capo squadra con assegnazione al comando vigilfuoco di Torino e a breve sarebbe rientrato al comando provinciale di Pistoia. Del Ministro lascia la moglie e due figli”.

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