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Nordio: Cospito è pericoloso, orienta gli anarchici

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Alfredo Cospito resta pericoloso e lo confermano il “moltiplicarsi” delle azioni intimidatorie della galassia anarchico-insurrezionalista” che lui è ancora in grado di “orientare”. Le sue condizioni di salute sono in miglioramento in un quadro che resta comunque critico. Ma il suo stato di salute precario dipende da una libera scelta, quella dello sciopero della fame, da cui non si può far discendere una deroga al 41 bis.

Perchè se ci si comportasse ora così con lui un domani si aprirebbe la strada a “centinaia di mafiosi che sono al 41 bis”, e che potrebbero adottare la sua stessa strategia. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio non ha nessun ripensamento sulla scelta che ha compiuto il 9 febbraio scorso di respingere la richiesta dell’anarchico di revocargli il 41 bis. E lo conferma senza esitazioni alla Camera anche dopo che la procura generale della Cassazione ha chiesto alla Corte, in vista della pronuncia del 24, di annullare con rinvio l’ordinanza con la quale il tribunale di sorveglianza di Roma ha confermato il carcere duro per Cospito. “Ho letto che avrei emanato il rigetto, disattendo il parere del Procuratore generale. Ma di questo atto non ne abbiamo avuto conoscenza” assicura Nordio che invece sottolinea la convergenza con la procura nazionale antimafia nel ritenere non fondate le ragioni per la revoca del 41 bis indicate come novità dalla difesa di Cospito.

Alla Camera in realtà il ministro era stato chiamato a chiarire il caso dei colloqui tra Cospito e alcuni boss della criminalità organizzata nel carcere di Sassari ,il cui contenuto, appreso da un documento del Dap, è stato comunicato dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro al vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli che ne ha parlato in un intervento in Aula. Si tratta delle conversazioni in cui i boss incoraggiavano Cospito ad andare avanti nella battaglia contro il 41 bis. Donzelli le aveva utilizzate per attaccare il Pd , dopo che una delegazione ‘dem’ aveva fatto visita in quegli stessi giorni all’anarchico. Ma poi era stata l’intera opposizione a reagire chiedendo le dimissioni dei due esponenti di FdI. Anche su questo fronte il Guardasigilli non fa nessun passo indietro. E conferma quello che aveva già messo per iscritto in una nota diffusa nelle scorse settimane all’esito di una verifica interna: l’atto citato da Donzelli è una scheda del Nic, il nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, “un appunto” , che “non rientra nella categoria degli atti classificati, né rileva o disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo” “. E “non è stata divulgata alcuna intercettazione” perchè quelle conversazioni non sono state captate ma sono il frutto di “una mera attività di vigilanza amministrativa”.

Una posizione che non convince affatto l’opposizione che insiste sulla richiesta di dimissioni per i due esponenti di Fratelli d’Italia, a partire dalla capogruppo del Pd Debora Serracchiani, che attacca: “rivelando le conversazioni tra Cospito e i camorristi nel penitenziario di Sassari, avete messo a rischio la sicurezza nazionale”. Il clima si fa presto teso: quando Luana Zanella di Avs insiste che è stato violato il segreto, Tommaso Foti le risponde urlando. Urla arrivano anche da Nicola Fratoianni e quando il capogruppo di FdI fa per andare verso i banchi della sinistra la seduta viene sospesa. Intanto sulle condizioni di Cospito, il suo avvocato Flavio Rossi Albertini, delinea un quadro diverso da quello prospettato da Nordio, parlando di condizioni “prossime al tracollo. Alfredo deambula a fatica, la sua salute non può attendere ulteriori rinvii” .

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Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: 14 morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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Esteri

Hamas offre ostaggi in cambio di 5 anni di tregua

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Hamas mette sul piatto dei negoziati una nuova proposta: la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle sue mani in cambio del ritiro dell’Idf e di un cessate il fuoco della durata di 5 anni. Ma le notizie che arrivano dal Cairo, dove è arrivata una delegazione del movimento integralista palestinese per discutere con i mediatori egiziani, non fermano raid e combattimenti, con un bilancio che nelle ultime 24 ore è costato la vita a quasi 50 palestinesi e alcuni soldati israeliani. Un funzionario di Hamas, che ha chiesto l’anonimato, ha detto all’Afp che il gruppo “è pronto a uno scambio di prigionieri in un’unica soluzione e a una tregua di cinque anni”.

La proposta arriva dopo il no all’offerta di Tel Aviv, 45 giorni di tregua e 10 ostaggi liberati, motivata dal fatto che Hamas punta alla fine della guerra, e al ritiro di Israele dalla Striscia, e non vuole “accordi parziali” con il governo di Benyamin Netanyahu. Altri responsabili di Hamas, sempre in forma anonima, hanno sottolineato a diversi media arabi anche la disponibilità a “lasciare il governo della Striscia all’Autorità nazionale palestinese, oppure a un comitato di tecnocrati indipendenti scelti dall’Egitto”.

E, pur rifiutando di abbandonare le armi, a “far uscire da Gaza combattenti in cambio della loro incolumità”. Tesi e proposte a cui si è aggiunta la pubblicazione di un video che mostrerebbe i miliziani delle brigate Qassam che scavano sotto le macerie di un tunnel bombardato dall’Idf, per trarre in salvo con successo un ostaggio israeliano. Da Tel Aviv per il momento non arrivano commenti, ma a quanto si apprende il capo del Mossad David Barnea sarebbe arrivato già giovedì in Qatar per incontrare il premier Mohammed bin Abdulrahman al-Thani e discutere nuovamente di una base di accordo per il rilascio degli ostaggi. Fonti militari citate dai media hanno però ammonito che l’esercito si prepara a “incrementare la pressione e stringere il cappio su Hamas”.

A Gaza intanto il bilancio dell’ultima giornata di raid è di almeno 49 morti, afferma il ministero della Salute mentre i soccorritori “scavano ancora sotto le macerie”.

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che nei combattimenti di terra “il prezzo è alto”, dopo l’uccisione nelle ultime ore di un riservista e il ferimento di altri quattro soldati in un attacco con esplosivi e armi automatiche. Nel nord di Israele sono invece risuonate le sirene per il lancio di un “missile ipersonico” rivendicato dagli Houthi che aveva come obiettivo Haifa. E’ la prima volta che i ribelli yemeniti tentano di colpire così lontano, il missile è stato intercettato e distrutto.

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Zelensky: da Meloni una posizione chiara, la apprezzo

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“Oggi a Roma ho incontrato la Presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni. Abbiamo discusso dell’importanza delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina e degli sforzi per ripristinare la pace e proteggere le vite umane”. Lo ha scritto su X Volodymyr Zelensky. “46 giorni fa l’Ucraina – scrive – ha accettato un cessate il fuoco completo e incondizionato e per 46 giorni la Russia ha continuato a uccidere il nostro popolo. Pertanto, è stata prestata particolare attenzione all’importanza di esercitare pressioni sulla Russia”. Ed ha aggiunto: “Apprezzo la posizione chiara e di principio di Giorgia Meloni”.

Il leader ucraino ha aggiunto di aver “informato” la premier italiana “degli incontri costruttivi tenuti dalla delegazione ucraina con i rappresentanti di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania a Parigi e Londra. C’è una posizione comune: un cessate il fuoco incondizionato deve essere il primo passo verso il raggiungimento di una pace sostenibile in Ucraina”.

(la foto in evidenzaè di Imagoeconomica)

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