Non fu stupro, lei era consenziente anche se aveva bevuto. Dunque “il fatto non costituisce reato”. Per questo sono stati assolti due giovani di 34 e 33 anni, imputati per violenza sessuale di gruppo e per induzione con abuso delle condizioni della vittima, una giovane all’epoca 18enne che aveva bevuto vino e superalcolici. Dopo il collegio penale di Ravenna in primo grado, con decisione e motivazioni che destarono scalpore, la corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza di assoluzione piena.
Per l’accusa, la ragazza era stata stuprata e filmata in un appartamento nel quale nell’ottobre 2017 era stata accompagnata a spalla dopo una serata in un locale di Ravenna durante la quale aveva bevuto molto. Dopo l’assoluzione di primo grado, c’erano state diverse polemiche e anche un corteo organizzato da associazioni contro la violenza di genere. I due imputati di 34 e 33 anni, rispettivamente un ex calciatore del Ravenna calcio, assistito dagli avvocati Francesco Papiani e Raffaella Salsano, e un commerciante d’auto usate, difeso dagli avvocati Silvia Brandolini e Carlo Benini, dovevano rispondere di violenza sessuale di gruppo: il primo era indicato come chi aveva incitato riprendendo la scena con il telefonino e l’altro come chi aveva materialmente abusato della ragazza, all’epoca 18enne.
La Procura Generale aveva chiesto condanne a 4 anni e 7 anni. A suo tempo due differenti Gip, sulla base delle dichiarazioni della ragazza e soprattutto delle immagini, avevano applicato a entrambi i sospettati la custodia cautelare in carcere. Ma la versione dello stupro era stata sconfessata dai successivi giudicanti che si erano susseguiti nel caso, a partire dal Riesame bolognese che aveva scarcerato i due accusati, i quali avevano sempre sostenuto che la ragazza era consenziente. La vicenda era maturata la notte tra 5 e 6 ottobre di otto anni fa. Dopo vari bicchieri di vino e superalcolici in un locale del centro, la 18enne era stata accompagnata in un appartamento dove era stata infilata sotto la doccia e filmata; poi c’era stato il rapporto sessuale. Lei era andata a denunciare assieme al fidanzato qualche giorno dopo ricordando solo frammenti della serata. Secondo le motivazioni di assoluzione dei giudici di primo grado, giusto 15 minuti prima “di avere il rapporto in contestazione”, la 18enne era riuscita a interloquire con gli amici e, al telefono, con la madre, fornendo “risposte congrue alle sue domande”.
Cioè si era dimostrata “pienamente in sé, in grado di esprimere validamente un consenso” che “esprimeva in particolare con la mimica e la gestualità”. Anzi, dai video “non si apprezza costrizione o manovra seduttiva, istigativa o persuasiva” del 33enne, né “passività inerte o incoscienza della vittima”. Quanto al fatto che la ragazza sia stata filmata sotto la doccia e poi nel rapporto, sebbene si tratti di una azione “rozza e deprecabile”, scrivevano i giudici, questo non aveva agevolato “la violenza in contestazione”. Di avviso opposto, la pm Angela Scorza aveva presentato appello, parlando di “scena raccapricciante” e “stato di inconfutabile incoscienza” di una ragazza “completamente indifesa” e in balia del “comportamento denigratorio dei presenti”.