Noemi compie 4 anni tra qualche giorno. È una bambina con un proiettile che le ha perforato un polmone e si è fermato a pochi millimetri dal cuore. Preghiamo perchè esca presto guarita dall’ospedale e dimentichi quello che le è successo. Noemi era con la nonna (ferita) e la mamma (illesa). Passeggiavano in un pomeriggio di un venerdì qualunque per una strada qualunque di una città, Napoli. Siamo nel cosiddetto mondo civile.
In Italia, dunque a Napoli, non c’è alcuna guerra civile in atto, e non risulta al momento che una organizzazione criminale, mafiosa o terroristica abbia mai dichiarato apertamente guerra allo Stato. Certo tra scorrerie criminali di piccoli assassini in erba nel centro storico (le stese, così piace chiamarle a certa pubblicistica), sicari cocainomani che sparano e uccidono fuori le scuole o che non si pongono il problema di rischiare di assassinare anche innocenti quando devono eseguire le loro missioni di morte, parlare di civiltà a Napoli e di Italia come Paese civile lo si fa con apprezzabile difficoltà. Ma ci proviamo sempre. C’è un eccellente giornalismo a Napoli.
Questa città è, per fortuna, vivisezionata ogni giorno. Non c’è magagna, porcheria, atto criminale o vile che non venga raccontato dai giornalisti. Una cosa però la trovo sempre insopportabile in alcuni racconti. E lo è ancora di più quando si racconta di agguati in cui vengono uccise persone innocenti o feriti bambini. È insopportabile leggere sui giornali, sul web o ascoltare in radio o peggio ancora vedere in tv, quella litania stanca, inutile, dannosa di certo giornalismo stanco che continua a rimasticare e sputare quelle espressioni banali come “la povera bambina si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato”, “la povera vittima è stata centrata da un proiettile vagante”. La bambina, intendo Noemi (ma vale per vicende terribili come gli assassinii di Silvia Ruotolo, Dario Scherillo, Attilio Romano e decine di altri innocenti), era al posto giusto, con le persone giuste (mamma e nonna), nel momento giusto, nella città giusta, nel Paese giusto. Noemi era con la mamma e la nonna. Passeggiava con la mamma e la nonna. Era andata a prendere un gelato con la nonna. Era a piazza Nazionale di Napoli, non a Kabul, Bagdad, Tripoli o altre città dove si vive con l’incubo della guerra. A Napoli non c’è la guerra. Nessuno ce l’ha ancora dichiarata.
Chi non era al posto giusto e andrebbe portato nel posto giusto e lasciato nel posto giusto a vita è quello che ha sparato. Quello che ha ferito Noemi, la nonna e il pregiudicato presunto obiettivo dell’assassino. Assassino che è ancora oggi, mentre scriviamo, libero mentre dovrebbe essere in carcere. E poi i “proiettili vaganti”. A Napoli come altrove i proiettili non vagano. C’è qualcuno che li spara. Da soli, i proiettili non vagano.
C’è chi gira con una pistola e la usa per ammazzare. Dunque, Noemi e la nonna non sono state ferite da “proiettili vaganti” ma da colpi di pistola sparati da un assassino che si trovava tra piazza Nazionale e via Polveriera invece di essere rinchiuso nel carcere di Poggioreale.
Dice: ma che cosa si può fare? Chi fa il giornalista può raccontare. È un eccellente servizio che si rende alla società il racconto onesto del reale. Magari si posson evitare queste espressioni (proiettili vaganti, posti giusti, momenti giusti) che annacquano (non restituiscono una immagine reale) la gravità di quello che succede.
Che cos’altro si può fare? Ognuno può fare il suo dovere di bravo cittadino collaborando con lo Stato nel fermare queste bestie. Non è facile, ma lo possiamo fare. Oggi polizia e carabinieri (proprio oggi) hanno fermato alcune presunte belve che a San Giovanni, quartiere della periferia orientale di Napoli, quattro settimane fa uccisero il nonno di un bambino davanti alla scuola Vittorino da Feltre. Scene allucinanti di morte davanti a decine di bambini cin grembiulini che entravano a scuola. È stata determinante la collaborazione della gente stufa di questi assassini. E però in quel quartiere, in quella strada (via Sorrento), ogni giorno c’erano sparatorie. Quella strada era un posto dove i camorristi esercitavano il loro controllo del territorio. Passavano armati e pretendevano che in quelle strade comandasse un clan piuttosto che un altro. Che cosa vuole dire: che una città difficile come Napoli non può essere lasciata in balìa di orde di assassini armati per mancanza di personale in divisa.
Nelle prossime ore sarà a Napoli il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Una vista già prevista. Andrà a San Giuseppe Vesuviano, un centro alle falde del Vesuvio con un sindaco leghista (è la democrazia, bellezze) dove sono state chiuse le scuole per motivi di sicurezza. E questa già è una sconfitta dello Stato: chiudere una scuola per la visita di un ministro accampando motivi di sicurezza è l’inizio della abdicazione ad ogni principio di normalità. Poi Salvini doveva andare (forse ci andrà lo stesso) nella scuola Vittorino d Feltre del Rione Villa. Una foto, un video per mostare il Capitano (così lo chiamano Salvini) che porta ordine a Napoli. C’erano pure gli arresti (quelli degli assassino fuori la scuola) da celebrare. Arresti che avrebbero fatto lunedì mattina (all’arrivo del ministro), ma hanno dovuto anticipare per placare gli animi di chi invocherà in queste ore controlli seri del territorio e maggiore serietà contro questa camorra sempre più stracciona e sanguinaria. Ma tanto è, questo passa il convento a Napoli.
Dice: ma il ministro Salvini ha promesso, anzi ha mandato 150 carabinieri e 100 poliziotti, anzi 150 poliziotti. Sì, lui li ha promessi ma poi non sono mai arrivati. Non solo, nel frattempo, in questi mesi di bla bla bla sull’invio di rinforzi per carabinieri e polizia e di camorristi che sparano e uccidono, qualcuno ha contato un bel po’ di uomini in divisa che sono andati in pensione. Non per la famosa quota 100 ma perchè le norme in materia di previdenza per polizia e militari permettono in realtà di lasciare il servizio molto prima, in alcuni casi anche a 53 anni. È un lavoro molto usurante. E allora? E allora la cosa già bella che potrebbe fare Salvini è non venire a Napoli a promettere l’invio di altri uomini ma di arrivare con loro. Venisse a Napoli, anche lui in divisa (gli piace), tra qualche settimana, assieme a 300 uomini in divisa: con auto, risorse, strumenti tecnici di indagine e altro per il comparto sicurezza. Per la prevenzione sarebbe un bel passo avanti riuscire a controllare il territorio.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.
Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.
“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.
A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.
Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.
Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.
La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.
Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.
Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.