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Economia

Nissan taglia 9 mila posti nel mondo per la grave crisi del settore auto

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La crisi del settore auto si aggrava. Nissan, sesta casa automobilistica più grande del mondo, avvia una drastica riorganizzazione che prevede il taglio di 9.000 posti di lavoro a livello mondiale e la riduzione del 20% della sua capacità produttiva. Nel frattempo l’azienda giapponese ha rivisto al ribasso i target dell’esercizio sia per gli utili sia per i ricavi. Nissan (foto Imagoeconomica in evidenza), che ha subito un calo delle vendite a 1,6 milioni e ha visto i suoi utili crollare, definisce grave la situazione e sottolinea la necessità di adottare “misure urgenti” per rendere di nuovo il gruppo competitivo sul mercato. Intanto rivenderà a Mitsubishi Motors il 10,02% della sua quota, attualmente al 34%.

E’ l’ennesimo annuncio negativo che arriva da un costruttore mondiale di auto, dopo il taglio dei posti di lavoro e degli stabilimenti previsto da Volkswagen, gli esuberi di Ford in Germania, l’aggiornamento al ribasso delle previsioni finanziarie 2024 di Stellantis, Porsche, Bmw, Aston Martin. Il gruppo italofrancese guidato da Carlos Tavares avrebbe allo studio – secondo i media americani – la riduzione di di circa 1.000 unità della sua forza lavoro nell’impianto di Toledo, in Ohio, dove vengono prodotte le Jeep.

Non naviga in buone acque neppure Toyota, leader nel mondo per volumi, che ha registrato nel terzo trimestre del 2024 il primo calo dell’utile operativo degli ultimi due anni e un crollo dell’utile del 20% a 1,16 trilioni di yen (circa 7,6 miliardi di dollari) contro 1,44 trilioni di yen nello stesso periodo dell’anno precedente, a causa di difficoltà produttive e di mercato in due regioni chiave, Giappone e Stati Uniti. Le difficoltà del settore non modificano la strategia dell’Unione Europea che conferma lo stop nel 2035 delle auto a benzina e diesel.

“Penso che ci sia un futuro luminoso per i biocarburanti, ne abbiamo bisogno di più, ma non possiamo riaprire gli impegni presi su come procedere nell’automotive” spiega il commissario europeo designato per il Clima, Wopke Hoekstra, durante la sua audizione di conferma al Parlamento europeo. “Il primo pilastro per l’automotive è la prevedibilità. Molti ceo delle case automobilistiche ci hanno detto che possono raggiungere gli obiettivi e l’elettrificazione, ma hanno bisogno di investimenti nelle colonnine. E’ giusto, dobbiamo fare di più”, ha sottolineato l’olandese. Secondo Hoekstra, “i biocarburanti non possono far parte del mix” di transizione dell’automotive “perché è eccessivamente difficile renderli completamente neutrali dal punto di vista delle emissioni”.

In Italia il tavolo automotive è convocato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso per il 14 novembre. “Ci attendiamo – spiega Urso – risposte concrete da parte di Stellantis sul destino degli stabilimenti italiani e dei lavoratori. Nel frattempo siamo impegnati a definire nuovi strumenti di sostegno alla componentistica, la vera forza del Made in Italy, che auspichiamo di poter annunciare già in quella occasione” Stellantis conferma che “sarà presente e ribadisce la sua disponibilità a dialogare con tutte le parti interessate nelle sedi che i rappresentanti del governo riterranno opportune”.

Resta però centrale il taglio di 4,6 miliardi al Fondo Automotive previsto dalla manovra economica del governo, che Giorgetti ha difeso:””noi non tagliamo i fondi alle imprese che vogliono riconvertire, tagliamo i fondi per le rottamazioni e incentivi all’acquisto di auto elettriche prodotte in Cina o altri paesi. Questo sì”. Per Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile del settore mobilità, “il tempo delle dichiarazioni di intento è finito. Il ministro deve ripristinare almeno le risorse tagliate dell’80% dalla manovra sul fondo automotive; e impegnarsi con la presidente del Consiglio Meloni per l’apertura del tavolo a Palazzo Chigi”.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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Banco Bpm boccia ancora l’Ops di Unicredit, ‘inadeguata’

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Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.

Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.

La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.

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