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Cronache

‘Ndrangheta ai mercati generali di Torino, 5 indagati

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Una bancarella ai mercati generali di Torino, l’attuale Centro agroalimentare del torinese che si trova sul territorio della vicina Grugliasco, ottenuta senza pagare e evadendo le tasse, ma soprattutto attraverso un’estorsione. I fatti riguardano dunque il mercato ortofrutticolo e sono stati ricostruiti dalla guardia di finanza di Torino in un’operazione denominata Timone, che ha portato a eseguire un’ordinanza del gip per misure cautelari nei confronti di cinque persone, di cui tre in carcere e due con obbligo di dimora. Le accuse sono estorsione e intestazione fittizia di beni aggravate dal metodo mafioso, truffa ai danni dello stato e bancarotta fraudolenta. Gli indagati, secondo l’accusa, sono riusciti ad acquisire un’ulteriore attività nel Centro agroalimentare senza alcun corrispettivo tramite l’estorsione, eliminando così un concorrente. Prima di acquisire i nuovi spazi, i cinque avrebbero intestato in modo fittizio a dei prestanome delle quote della società acquirente.

I sodali avrebbero poi operato all’interno del mercato con la società, instaurando anche legami e scambi con altri esponenti della ‘ndrangheta, procedendo a distrarne e dissiparne progressivamente il patrimonio, senza onorare i debiti e con sistematica evasione fiscale e contributiva. Questo ha portato al fallimento della società e le relative quote sono state trasferite a un cittadino extracomunitario e privo di mezzi finanziari, il quale in cambio di un esiguo compenso, si sarebbe addossato tutte le connesse responsabilità civili e penali. Lo spunto per le indagini è partito dai risultati delle precedenti operazioni Carminius e Fenice, che, nel corso del 2019, portarono a decapitare una cellula di ‘ndrangheta attiva nel Torinese. Gli indagati, con la complicità di liberi professionisti e ricorrendo a prestanome, avrebbero creato delle finte aziende, utilizzate per ottenere erogazioni pubbliche durante la pandemia del Covid.

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Cronache

L’omicidio di Fausto e Iaio, il gip riapre le indagini

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Si riparte, dopo 47 anni, seguendo la pista della destra eversiva romana e da una nuova comparazione di volantini che ha portato a collegamenti con attentati dinamitardi a Roma, nelle nuove indagini sul duplice omicidio mai risolto di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, conosciuti come Fausto e Iaio, i due giovani uccisi il 18 marzo del ’78 vicino al centro sociale Leoncavallo, a Milano. La gip Maria Idria Gurgo di Castelmenardo, il 29 aprile scorso dopo una decina di giorni di valutazioni, ha deciso di riaprire, come chiesto dai pm Francesca Crupi e Leonardo Lesti, il fascicolo archiviato nel 2000 a carico dell’ex Nar ed esperto di esplosivi Massimo Carminati, del cognato Claudio Bracci e di Mario Corsi, detto ‘Marione’, pure lei ex militante dei Nuclei Armati Rivoluzionari e negli ultimi anni noto nella Capitale per le radiocronache delle partite della Roma.

“Dopo 50 anni si è deciso che si può fare, ma gli atti sono sempre stati lì, vuol dire che i tempi son maturi, la verità storica c’è sempre stata ed è che due ragazzi sono stati uccisi da mano identificata e rivendicata come fascista”, ha commentato Maria, sorella di Iaio. Anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa, si è detto “contento che la magistratura abbia deciso di riaprire le indagini per fare chiarezza e individuare i colpevoli degli omicidi di Fausto e Iaio”. Già 25 anni fa la gip Clementina Forleo, archiviando l’indagine, aveva messo nero su bianco “significativi elementi” a “carico della destra eversiva e in particolare degli indagati” Carminati, Bracci e Corsi. Che restavano, però, indizi senza diventare prove.

La Procura, poi, nel gennaio 2024, prima di arrivare all’istanza di riapertura, ha iscritto un nuovo fascicolo conoscitivo, dopo una lettera inviata dal sindaco Sala, e ha delegato una serie di approfondimenti. Si è arrivati a nuove analisi dattilografiche, ossia su tecnica di scrittura e macchine per scrivere, tra il volantino che venne fatto trovare a Roma il giorno dopo i funerali dei due ragazzi e un altro che rivendicava un attentato contro la sezione del Pci del quartiere Balduina a Roma, il 29 maggio 1978. Entrambi erano siglati “Esercito nazionale rivoluzionario-Brigata combattente Franco Anselmi”.

Un altro legame era già comparso in un provvedimento del ’97 dell’allora giudice istruttore Guido Salvini, che ha sempre ribadito che si può indagare ancora, e riguardava “l’attentato all’Armeria Centofanti” di Roma, sempre del maggio ’78. Proprio durante una rapina a quell’armeria, tra l’altro, dodici giorni prima dell’uccisione dei due leoncavallini, era stato colpito a morte il Nar Franco Anselmi. “Il volantino di rivendicazione dell’attentato all’armeria – si legge negli atti dell’epoca – è analogo, per toni e semplicità dell’impostazione, a quelli con cui vennero rivendicati il duplice omicidio di Milano”, commesso mentre era in corso il rapimento Moro, “e l’attentato alla Sezione del Pci”. Il giudice descriveva quella sigla, mai più comparsa nel mondo dell’estremismo di destra, come “aggregazione temporanea di persone senza formare un vero e proprio gruppo e finalizzata alla commissione di singole azioni di ritorsione”.

Elementi, si legge, “dell’estrema destra romana in ‘trasferta’ a Milano, mossi dall’intento di vendicare alcuni loro camerati caduti, colpendo due giovani non personalmente conosciuti ma comunque sicuramente appartenenti all’area dell’estrema sinistra”. L’inchiesta ricomincia da qua, puntando non direttamente sui Nar, pare, ma sulla galassia collegata. Formalmente i pm devono iscrivere un nuovo procedimento ripartendo, di fatto, da quei tre nomi. Dai documenti acquisiti, tra cui il materiale cartaceo dei vecchi archivi e carte di recente desegretate e una rilettura di tutte le testimonianze. Gli investigatori hanno già effettuato ricerche, con scarso esito, per recuperare reperti dell’epoca, come gli otto proiettili che erano stati trovati sui corpi. Sul luogo dell’omicidio era stato rinvenuto un berretto blu che, però, non fu mai sottoposto ad accertamenti e non venne più ritrovato. Si punta a nuovi accertamenti balistici e di altro genere, con nuove tecniche scientifiche. “Questa è l’ultima occasione”, ha detto il legale dei familiari, Nicola Brigida, che ha dato impulso alla nuova inchiesta, depositando documenti.

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Arresti per rissa stadio di Bari, anche padre bimbo

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Le immagini dell’uomo picchiato davanti al figlio piccolo all’uscita delle stadio di Bari domenica scorsa raccontavano solo il secondo tempo di una storia violenta. Il primo tempo si era consumato pochi minuti prima, quando lo stesso uomo aveva picchiato un’altra persona. Per questo oggi in tre, e tra loro il padre del bimbo, sono stati arrestati in flagranza differita dalla polizia dopo che la digos ha ricostruito grazie alle immagini delle telecamere di sicurezza, tutta la sequenza della violenta rissa verificatasi in occasione della partita di Serie B Bari-Pisa.

I tre arrestati di 33, 41 e 49 anni sono finiti in carcere ed erano stati immortalati nel video divenuto virale sui social. Pochi minuti prima di quella sequenza, però, in un’area del parcheggio della curva nord le immagini mostrano un’altra lite in cui sono coinvolti due dei tre arrestati di oggi, il padre del bambino poi picchiato e un altro tifoso. Il primo, secondo quanto ricostruito dalla Digos che ha visualizzato le immagini delle telecamere della zona, avrebbe colpito il secondo con un violento pugno al viso, continuando a picchiarlo anche mentre era a terra e fermandosi solo dopo l’intervento di alcuni presenti.

Circa due minuti dopo, l’aggressore sarebbe stato circondato da un gruppetto di almeno quattro persone e a sua volta picchiato con calci e pugni. Un’aggressione di pochi secondi, dalla quale l’uomo si libera quasi subito e si avvicina al figlio, come si vede dalle immagini diffuse sui social. Poi, viene nuovamente aggredito con calci e pugni da altre due persone, tra cui il tifoso picchiato in precedenza. La rissa si ferma solo dopo l’intervento della polizia che ha dovuto usare anche i manganelli per fermare i violenti. Ma altre fasi di violenza si sono susseguite, tanto che le indagini continuano e ci sono almeno altre due persone da identificare.

Il tutto era cominciato dopo la decisione dei gruppi organizzati del tifo barese, da tempo in polemica con la proprietà dei De Laurentiis per gli scarsi risultati della squadra, di abbandonare la curva nord in segno di protesta. Le aggressioni avvenute senza remore dinanzi a bimbi piccoli che assistevano atterriti alle violenze, sono state immortalate in video che subito sono stati diffusi sul web. Dopo la diffusione delle immagini, il sindaco di Bari, Vito Leccese, ha definito i responsabili della “sconcertante aggressione” persone “ignobili”.

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Medico muore sul lavoro, sequestrato ambulatorio nel Lodigiano

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Lo studio medico di medicina generale di Senna Lodigiana è stato posto sotto sequestro oggi dalla Procura della Repubblica di Lodi dopo che uno dei medici che vi operava, il piacentino 61enne Giovanni Marchionni, è stato trovato ieri in gravissime condizioni all’interno, con una grave emorragia e diverse fratture e oggi è morto all’ospedale Niguarda di Milano. A trovarlo incosciente la sua segretaria, che aveva le aveva le chiavi dei locali. L’ipotesi prevalente è che il professionista, mentre si trovava da solo nello studio che si ritiene fosse stato chiuso dall’interno da lui stesso, sia stato colpito da un ictus e, cadendo al suolo, abbia riportato alcune fratture al cranio e alle vertebre ma sono in corso indagini e è stata disposta l’autopsia sul cadavere.

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