Corporate America mugugna per i dazi di Donald Trump, che in due giorni hanno bruciato oltre 5.000 miliardi a Wall Street. Da Elon Musk a Jeff Bezos, da Mark Zuckerberg a Tim Cook, tutti hanno visto volatilizzarsi una fetta rilevante della capitalizzazione dei loro colossi sui mercati, che lunedì riaprono col fiato sospeso nel timore di una recessione. Ed ora il mondo della finanza e della Silicon Valley che ha sostenuto il tycoon medita un pressing per riportarlo a più miti consigli e spiegargli che forse la sua cura shock rischia di uccidere il paziente malato. Mentre anche lo stesso Musk sembra rompere col presidente picconando il suo consigliere commerciale Peter Navarro, il regista delle tariffe.
La giornalista tech Kara Swisher ha rivelato sui social che, secondo diverse sue fonti, “un gruppo di leader di alto profilo della tecnologia e della finanza si sta dirigendo a Mar-a-Lago per leggergli il Riot Act” sui suoi dazi. Swisher ha tradotto con “parlare di buon senso” ma l’espressione “leggere il Riot Act” significa rimproverare severamente qualcuno, spesso con un duro avvertimento e la minaccia di punizione, come prevedeva l’omonima legge britannica del 1715 che consentiva alle autorità di disperdere la folla leggendo un proclama. “Le loro donazioni da milioni di dollari all’inaugurazione – prosegue la giornalista – si stanno trasformando in miliardi e presto in trilioni di perdite.
Anche Elon è nel mirino, a quanto pare, per le sue buffonate come la ‘motosega idiota’ (quella regalatagli da Javier Milei ed esibita sul palco di un comizio, ndr) e altro ancora”. “Buona fortuna ragazzi: voi l’avete comprato, lui vi ha fatto a pezzi”, conclude sarcastica. Non ci sono conferme dell’indiscrezione ma il mal di pancia tra gli “oligarchi” di Trump sembra diffuso, anche se nessuno osa uscire allo scoperto. L’unico finora, almeno apparentemente, è stato Musk, dopo che la sua stella ha cominciato a non brillare più come un tempo nel firmamento trumpiano.
Prima ha auspicato zeri dazi con l’Europa, in videocollegamento con il congresso della Lega, poi ha attaccato su X Navarro, uno degli architetti della politica dei dazi. Lo ha preso di mira per un video in cui spiegava la logica dell’amministrazione Trump nell’ imposizione delle tariffe. “Un dottorato di ricerca in economia ad Harvard (Navarro ne ha conseguito uno negli anni ’80, ndr) è una cosa negativa, non una cosa positiva”, ha scritto evocando un problema di ego.
Il capo del Doge ha risposto anche al commento di un altro utente sul video che elogiava la spiegazione di Navarro, scrivendo di lui: “Non ha costruito un c…”. Musk ha inoltre replicato ad un altro utente che ha pubblicato una citazione attribuita al noto economista conservatore Thomas Sowell dicendo “in ogni disastro nella storia americana, sembra sempre esserci un uomo di Harvard in mezzo”. “Sì”, ha scritto Musk sotto il post, apparentemente riferendosi a Navarro.
Ma i dirigenti dell’amministrazione Trump, dal suo consigliere economico Kevin Hassett alla segretaria all’Agricoltura Brooke Rollins, dal segretario al Commercio Howard William Lutnick a quello del Tesoro Scott Bessent, fanno quadrato. E domenica hanno difeso i dazi facendo il giro delle tv, dove hanno giurato che le linee telefoniche della Casa Bianca sono roventi e che oltre 50 Paesi hanno chiesto di negoziare, senza dire quali. “Spetta al presidente decidere, ma non è il genere di cose che si possono negoziare in giorni o settimane”, ha pero’ avvisato Bessent, minimizzando anche i timori di una maggiore inflazione e di una recessione. Intanto, mentre l’America protesta in piazza e brucia miliardi, The Donald continua a giocare a golf e a postare i suoi colpi tra le buche del Jupiter Club.