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Mosca risponde ai tank, missili ipersonici sull’Ucraina

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La risposta russa ai tank occidentali forniti a Kiev è una pioggia di attacchi contro il Paese che uccide 11 persone e provoca altrettanti feriti, anche con i temibili missili ipersonici Kinzhal di ultima generazione, il vero segnale che Mosca lancia ad America e Europa. E mentre si discute sui tempi per l’arrivo dei carri armati a Kiev, si chiude ancora una volta la porta del dialogo tra il presidente ucraino Zelensky e lo zar Vladimir Putin, che escludono entrambi un colloquio per una soluzione diplomatica al conflitto. Perché la tensione è alle stelle e il Cremlino accusa l’Occidente di essere ormai direttamente coinvolto nel conflitto. La prova sono proprio i tank a Kiev, secondo il portavoce Dmitri Peskov. Sin dalle prime ore della giornata ha risuonato l’allarme aereo in gran parte dell’Ucraina, comprese Kiev e Odessa, dopo che nella notte sono stati abbattuti 24 droni su tutto il Paese. Esplosioni si sono udite anche nella capitale, sulla quale l’antiaerea ha tirato giù 15 missili russi, secondo il capo dell’amministrazione militare della città Serhiy Popka.

In totale, 47 dei 55 missili lanciati sul Paese dalle forze di Mosca sono stati neutralizzati, ma non è bastato a evitare l’ennesima conta delle vittime: in totale, almeno 11 morti e altrettanti feriti, anche a Kherson, a Zaporizhizhia e Kiev. Ma gli obiettivi principali dei russi restano le infrastrutture vitali, nel 13esimo attacco missilistico e il 15esimo attacco di droni al sistema energetico del Paese, secondo Ukrenergo. In seguito ai raid, anche nella capitale è stata interrotta l’energia elettrica e due infrastrutture sono state colpite vicino a Odessa, dove i blackout potrebbero durare diversi giorni. I nuovi raid sono “l’ennesimo tentativo di un Paese terrorista di intimidirci” ma “ancora una volta è fallito, come presto accadrà per l’intera Russia”, ha denunciato Zelensky. Ma il messaggio di Mosca è chiaro: non c’è alcuna tregua dalle bombe, mentre la fornitura dei tank Nato all’Ucraina non cambia lo status dell’operazione militare russa, secondo Peskov. Sui carri armati occidentali arrivano intanto le prime prospettive sui tempi di consegna, dopo gli appelli di Kiev ad essere rapidi.

La Germania prevede di inviare i suoi Leopard “alla fine di marzo o ad inizio aprile”, ha riferito il governo del cancelliere Olaf Scholz. Di fine marzo si parla anche per i Challenger 2 britannici, mentre la Polonia è convinta che consegnerà i tank “entro poche settimane”, ha detto il viceministro della Difesa Wojciech Skurkiewicz. Gli Abrams statunitensi ci metteranno mesi ad arrivare in Ucraina, ma anche il Canada si aggiunge alla lista dei donatori, annunciando la fornitura di quattro Leopard “nelle prossime settimane”. Con i tank ormai assicurati, per Zelensky è il momento di parlare di caccia e missili a lungo raggio, promettendo in ogni caso di non voler “combattere sul territorio russo”. Secondo il Financial Times, Lockheed Martin è pronta ad aumentare la produzione di F-16 nell’ambito delle discussioni preliminari sulla possibilità di fornire jet a Kiev. Il dibattito interno fra gli alleati dell’Ucraina sul tema è già in corso, secondo Politico, che cita conversazioni con più di sei funzionari militari e diplomatici occidentali.

Ma se la trattativa sui tank è stata difficile, quella sui caccia si rivelerà probabilmente ancora più conflittuale, con Scholz che ieri ha già risposto picche. I caccia aprirebbero infatti un nuovo capitolo nella guerra, mentre Mosca parla di un Occidente direttamente coinvolto nelle ostilità già per l’invio dei tank. “Né la Francia né nessuno dei suoi partner è in guerra contro la Russia”, ha risposto il ministero degli Esteri francese, mentre Parigi valuta una possibile fornitura di carri Leclerc a Kiev. Mandare i tank “nel quadro dell’esercizio della legittima difesa non rappresenta una co-belligeranza”, è stato il commento del Quai d’Orsay.

Di pace invece non parla quasi più nessuno. Putin, ha fatto sapere il Cremlino, considera a questo punto impossibili colloqui con Zelensky, “che da molto tempo si preparava alla guerra”. Della stessa idea è il leader ucraino: “Non sono interessato” a incontrare Putin per colloqui di pace, il capo di Stato russo “non è nessuno”, vive in una “bolla informativa” e non sa cosa stia succedendo sul campo di battaglia, ha tagliato corto in un’intervista a Sky News.

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Esteri

Venezuela, liberato l’italiano Oreste Alfredo Schiavo: era detenuto da quattro anni per presunto golpe

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È tornato finalmente libero Oreste Alfredo Schiavo, imprenditore italo-venezuelano di 67 anni, condannato in Venezuela a 30 anni di carcere con l’accusa di tradimento, finanziamento del terrorismo e associazione a delinquere. Una vicenda che si trascinava dal giugno 2020 e che ha trovato un esito positivo nelle scorse ore, grazie alla mediazione riservata della Comunità di Sant’Egidio, con il supporto della Farnesina e dei rappresentanti diplomatici italiani in loco.

Arrestato per l’operazione “Gedeone”

Schiavo era stato arrestato dagli agenti del Sebin, il servizio di intelligence venezuelano, l’8 giugno 2020. Il suo nome era stato collegato all’operazione “Gedeone”, un presunto tentativo di colpo di Stato ai danni del presidente Nicolás Maduro, che avrebbe previsto lo sbarco di mercenari sulle coste del Paese per prendere in ostaggio funzionari del governo. Insieme a Schiavo furono fermate circa 90 persone. In primo grado, nel maggio 2024, Schiavo era stato condannato a 30 anni di carcere, nonostante le sue gravi condizioni di salute.

L’intervento di Sant’Egidio e il viaggio verso Roma

La svolta è arrivata nella giornata di ieri, grazie a un’operazione diplomatica silenziosa, portata avanti dal docente e dirigente di Sant’Egidio Gianni La Bella, dai funzionari dell’ambasciata e del consolato d’Italia, e con il determinante contributo di Rafael La Cava, ex ambasciatore venezuelano a Roma e attuale governatore dello Stato di Carabobo.
Schiavo è stato scarcerato dal penitenziario di El Helicoide, noto per la presenza di prigionieri politici e denunciato da organizzazioni per i diritti umani per le sue condizioni carcerarie, e successivamente condotto in una clinica per accertamenti sanitari.

“Liberato per motivi umanitari”

In serata, il rilascio si è trasformato in un rimpatrio in Italia, con un volo di linea diretto a Fiumicino partito alle 17 (ora locale). Sant’Egidio ha voluto ringraziare pubblicamente il presidente Maduro, specificando che il rilascio è stato concesso “per ragioni umanitarie, con un atto di liberalità personale”.

Un gesto che apre nuove possibilità

La liberazione di Schiavo potrebbe rappresentare il primo spiraglio per sbloccare anche altre detenzioni italiane in Venezuela, come quella del cooperante Alberto Trentini, arrestato nel 2024, e di due italo-venezuelani: Juan Carlos Marrufo Capozzi, ex militare arrestato nel 2019, e Hugo Marino, investigatore aeronautico che aveva indagato su due misteriosi incidenti aerei accaduti attorno all’arcipelago di Los Roques, nei quali morirono, tra gli altri, Vittorio Missonie sua moglie.

Il carcere e le denunce di tortura

Nel carcere di El Helicoide, dove era rinchiuso Schiavo, numerosi attivisti per i diritti umani hanno documentato casi di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani si era occupato del suo caso, definito emblematico per le gravi violazioni del diritto alla difesa e per l’assenza di prove concrete nel processo.

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Media Houthi, 2 morti e 42 feriti nell’attacco israeliano

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E’ di almeno due morti e 42 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco israeliano lanciato oggi alla fabbrica Ajal nella provincia di Hodeida, nello Yemen. Lo riporta il canale al Masirah, affiliato agli Houthi, citato da Ynet e dall’agenzia russa Tass. E’ la prima reazione di ISraele all’attacco degli Houthi all’aeroporto Ben Gurion dei giorni scorsi.

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Perù, coprifuoco a Pataz dopo la strage dei 13 minatori rapiti

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La presidente del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato il coprifuoco nella distretto di Pataz, nella regione settentrionale di La Libertad dopo che ieri la polizia ha ritrovato in un tunnel i corpi dei 13 lavoratori rapiti il 26 aprile scorso da minatori di oro illegali. Lo rendono noto i principali media peruviani.

Oltre al coprifuoco a Pataz, dalle 18 di sera alle 6 del mattino, Boluarte ha annunciato anche la sospensione dell’attività mineraria per 30 giorni in tutta la provincia oltre ad accogliere la richiesta delle autorità locali di aprire una base militare a Pataz, vista l’assenza della Polizia peruviana nella regione. La decisione segue di poche ore la diffusione di un video sui social media, registrato dai sequestratori, in cui si mostra come ciascuno dei minatori sia stato giustiziato a bruciapelo. Le 13 vittime erano lavoratori assunti dall’azienda R&R, di proprietà di un minatore artigianale che svolge attività di sicurezza per la miniera Poderosa, una delle principali compagnie aurifere della provincia, sempre più sovente bersaglio di attacchi da parte di minatori illegali e gruppi criminali. (

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