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Cronache

Morto in montagna il biker influencer Andreas Tonelli

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Andreas Tonelli, 48 anni, biker estremo ed influencer con oltre 120.000 follower su Instagram è morto dopo una caduta in bici nella zona di Vallelunga, in val Gardena, in Alto Adige. Tonelli è precipitato per circa 200 metri mentre stava affrontando in solitaria un tratto molto impervio. Difficile quindi ricostruire con esattezza la dinamica dell’incidente, di cui si stanno occupando i carabinieri. Tonelli era uscito per un giro nel tardo pomeriggio e l’allarme è scattato poco dopo le 21 perché il ciclista non è rientrato. Alle 19.15 di martedì l’ultima ‘storia’ su Instagram, un video al termine di un’ascesa a 2.905 metri sul Piz Duleda, sorridente, la bici in spalla e uno sguardo vertiginoso sulla valle. A chiamare i soccorsi un amico che aveva già iniziato le ricerche. Il Soccorso alpino e l’elicottero dell’Aiut Alpin hanno battuto la zona fino a tarda notte, quando, verso l’1, è stato avvistato il corpo senza vita dell’uomo in un canalone, in una zona difficilmente raggiungibile dai soccorritori di notte. Le ricerche sono state complicate anche per le condizioni meteo, con la pioggia battente e le temperature rigide. Le operazioni di recupero della salma si sono quindi svolte questa mattina.

A supporto sono intervenuti anche i vigili del fuoco volontari di Selva di Val Gardena, i carabinieri e il servizio di sostegno psicologico d’emergenza, che ha assistito gli amici della vittima. In Val di Fassa invece un base jumper australiano di 42 anni ha perso la vita dopo essersi lanciato dalla cima del Sass Pordoi: si è schiantato lungo un tornante della strada statale 48, ad una quota di circa 1.700 metri e a 400 metri di altezza dal punto di atterraggio forse per un problema tecnico che gli ha impedito di aprire tempestivamente la vela. Tonelli organizzava anche viaggi in bicicletta in diverse zone del mondo ed era un grande appassionato di fotografia e splitboard. Era nato a Fiè allo Sciliar, un piccolissimo villaggio ai piedi dello Sciliar, una delle montagne più famose delle Dolomiti. “La zona in cui sono cresciuto e vivo si chiama Alto Adige, la provincia più settentrionale d’Italia. Ma poiché trascorro 7 mesi all’anno in viaggio, chiamo casa mia anche tutti gli altri luoghi del mondo in cui mi sento felice e libero”, scriveva. In una sorta di autobiografia scritta per la Norrona Adventure, con cui collaborava dal 2023, Andreas ricordava, tra i momenti salienti della sua vita, quando ha “lasciato il suo noioso lavoro d’ufficio per diventare una guida ciclistica a tempo pieno (nel 2014, ndr) e un organizzatore di viaggi sportivi in tutto il mondo”.

La salita dell’Ojos de Salado (6.893 metri) in Cile, il vulcano attivo più alto del mondo e la prima volta sull’Onda di Hokusai, una delle più lunghe vie di arrampicata su ghiaccio delle Dolomiti, sono tra le avventure che teneva nel cuore. In questi giorni, da sabato 11 a sabato 18, secondo il calendario pubblicato sul sito di Norrona Adventure, Tonelli doveva essere impegnato nell’impegnativo (livello di rischio 4 su 6) Dolomites Enduro Mountain Biking Adventure con un gruppo di 4-6 persone dalla Val Gardena per poi intraprendere la traversata ovest-est delle Dolomiti

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Ambiente

La Gaiola resta a numero chiuso: il Tar boccia il ricorso, tutela ambientale prioritaria

Il Tar respinge il ricorso contro il numero chiuso alla Gaiola: tutela ambientale prevale. Il Centro Studi Gaiola esulta. Intanto, a Posillipo scoppia il caso concessioni

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La Gaiola non si tocca. L’area marina protetta di Posillipo continuerà ad essere accessibile solo su prenotazione e a numero chiuso, come stabilito dalla gestione del Centro Studi Interdisciplinari Gaiola Onlus, guidato da Maurizio Simeone. Lo ha deciso il Tar della Campania, respingendo il ricorso promosso da alcune associazioni, in particolare Mare Libero, che chiedevano l’accesso libero e illimitato alla piccola baia partenopea.

I giudici danno ragione al sistema di contingentamento

La settima sezione del Tar, presieduta da Maria Laura Maddalena, ha stabilito che il contingentamento degli accessi non lede il diritto al mare libero. Anzi, rappresenta un «delicato e ben adeguato bilanciamento tra diritti costituzionali e tutela del patrimonio collettivo». In particolare, la sentenza sottolinea la specificità della Gaiola come area marina protetta, un luogo in cui la pressione antropica rischia di danneggiare in modo irreversibile ecosistemi, paesaggio e beni culturali.

I giudici chiariscono che «un accesso indiscriminato e senza limitazioni» comprometterebbe la vivibilità e la sicurezza dell’area, con effetti negativi anche sulla fruizione futura del sito. Da qui il via libera alla linea seguita dal CSI, che ha sempre promosso un modello di fruizione sostenibile e regolata.

Simeone: “Una vittoria per tutta Napoli”

Grande soddisfazione da parte di Maurizio Simeone, direttore del Parco Sommerso della Gaiola: «Questa sentenza è una vittoria per tutta la città. Dopo anni di lavoro per recuperare e proteggere questo luogo unico, oggi possiamo proseguire con maggiore serenità il nostro impegno di tutela, garantendo accessi ordinati, sicuri e rispettosi dell’ambiente».

La decisione del Tar rafforza il modello della Gaiola come laboratorio virtuoso per una gestione intelligente del patrimonio naturale, dimostrando che la difesa del mare passa anche attraverso il limite.

Posillipo e le spiagge: la battaglia si sposta sulla costa

La sentenza sulla Gaiola arriva nel pieno di un’estate caldissima, non solo per le temperature. Anche il tema delle spiagge pubbliche e delle concessioni è tornato prepotentemente al centro del dibattito, specie alla luce della direttiva Bolkestein.

Sempre il Tar, infatti, ha accolto il ricorso del ristorante Palazzo Petrucci per la gestione di un tratto di costa a Posillipo, annullando la proroga automatica concessa all’ex Bagno Elena. L’Autorità Portuale è ora obbligata a indire una gara pubblica per l’assegnazione di quella porzione di litorale. Una decisione che potrebbe fare da precedente giuridico importante in vista della riorganizzazione del demanio marittimo.

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Cronache

Uccide l’amico d’infanzia su ordine del clan, evade dal carcere e posta su TikTok: il caso del minorenne in fuga che sfida lo Stato

Dopo aver ucciso l’amico su ordine del clan, un minorenne è evaso dal carcere di Bari calandosi con lenzuola. Ora è latitante e posta video su TikTok.

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Non ha ancora compiuto 18 anni, ma la sua storia è già segnata da omicidio, evasione e latitanza. È il ragazzo che ha confessato di aver ucciso Gennaro Ramondino, amico d’infanzia, per ordine di un boss. Un delitto avvenuto nel cuore della faida per il controllo dello spaccio nella periferia ovest di Napoli. Poi, la detenzione in un carcere minorile a Bari. Infine, la fuga clamorosa, calandosi con delle lenzuola nella notte della finale di Champions League. Da allora, è sparito. O quasi.

La fuga beffa: lenzuola, buco nella cella e silenzi sospetti

È il 31 maggio 2025. Mentre milioni di persone guardano PSG-Inter, il ragazzo trova il modo di evadere. Si ipotizza che abbia scavato un foro nella cella e si sia calato dall’alto utilizzando una corda improvvisata con lenzuola. Alcuni indizi fanno pensare che fosse atteso all’esterno, il che apre interrogativi inquietanti su eventuali complicità e omissioni nella sorveglianza. Su questo, la Procura di Bari ha aperto un’indagine specifica.

La beffa sui social: post su TikTok a tema mafia

Nonostante sia ufficialmente latitante, il giovane non ha resistito alla tentazione di postare su TikTok. Alcuni contenuti, finiti nel radar degli inquirenti, glorificano la cultura mafiosa e sarebbero riconducibili a lui. Gli investigatori della Squadra Mobile di Bari, coordinati dal primo dirigente Giovanni Leuci, stanno analizzando quei video. Proprio la stessa squadra che aveva già chiuso rapidamente il caso dell’omicidio Ramondino.

Il delitto: ucciso per “obbedienza” al clan

L’omicidio risale alla fine dell’estate 2023. Il corpo di Gennaro Ramondino viene trovato semicarbonizzato in una campagna a Pianura. È il minore ad autoaccusarsi. Racconta di aver ricevuto l’ordine diretto da un boss, che lo avrebbe scelto perché incensurato e minorenne. L’amico, secondo la sua versione, sarebbe stato colpito per paura: «Mi veniva contro. Ho avuto paura e ho sparato».

In tasca, la vittima aveva banconote da centinaia di euro poi finite insanguinate in un tombino. Una scena agghiacciante, dentro una spirale di violenza dove i ragazzini vengono manovrati come pedine da chi sta in cima alla piramide criminale.

Un caso simbolo: tra carnefici e vittime

Il ragazzo, oggi latitante e sotto indagine doppia, è simbolo di un sistema che fagocita l’innocenza. Lui stesso ha dichiarato ai magistrati: «Mai avrei pensato di uccidere un amico d’infanzia. Ho solo obbedito». Un’affermazione che, se da un lato non cancella le responsabilità penali, dall’altro solleva domande sul ruolo degli adulti, dei clan, dello Stato.

Due Procure al lavoro: Napoli e Bari unite nella caccia

La Procura per i Minori di Napoli indaga sulla rete che ha permesso al ragazzo di sparire nel nulla. La Procura di Baripunta a ricostruire eventuali complicità nell’evasione. Intanto, la caccia continua. Con un interrogativo che pesa su tutti: dov’è oggi quel minorenne che ha visto la sua giovinezza svanire dentro una pistola e ora si beffa della giustizia ballando su TikTok?

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Cronache

Genitori condannati per educazione inadeguata: il figlio aggredisce un coetaneo, risarcimento da 15mila euro

A Napoli, una sentenza civile condanna due genitori a risarcire 15mila euro per l’aggressione compiuta dal figlio. Il Tribunale parla di “educazione inadeguata”.

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Un ragazzo picchia senza motivo un coetaneo, il Tribunale condanna i genitori dell’aggressore a risarcire parte dei danni. La motivazione? La responsabilità oggettiva prevista dal codice civile e, soprattutto, l’inadeguatezza dell’educazione impartita in famiglia. È quanto emerge da una sentenza di primo grado firmata dal giudice Barbara Di Tonto, che ha imposto ai genitori una sanzione risarcitoria pari a 15mila euro.

Una famiglia normale, ma un’educazione carente

Il caso, pur evitando qualsiasi riferimento che renda identificabili i protagonisti, è emblematico. Non si tratta di minori cresciuti in contesti criminali o disagiati. Anzi: la famiglia dell’aggressore è ben integrata, composta da professionisti, figli regolarmente a scuola, in un quadro apparentemente sereno.

Eppure, secondo il Tribunale, l’educazione impartita è risultata gravemente carente. Il giudice ha analizzato l’episodio di violenza: un’aggressione immotivata, brutale, con uso di oggetto contundente contro un coetaneo. Un’aggressione da branco, come se ne registrano ormai frequentemente nelle cronache cittadine. Il colpo sferrato dal minore ha causato lesioni permanenti al volto della vittima. Un atto grave, sufficiente – secondo la giudice – a dimostrare da solo la mancanza di un’adeguata formazione comportamentale in ambito domestico.

Il principio del giudice: la condotta parla da sé

Il provvedimento cita l’articolo 2048 del codice civile, che regola la responsabilità dei genitori per i danni causati dai figli minorenni. Ma soprattutto afferma: «La possibilità per i genitori di dimostrare di aver impartito al figlio un’idonea educazione è destinata ad infrangersi contro la gravità dell’illecito».

L’aggressione, per modalità e gravità, rappresenta la prova tangibile di un deficit educativo. È questo il principio che potrebbe aprire nuove prospettive anche giuridiche nella gestione dell’emergenza giovanile.

Una sentenza che fa scuola

Il giudice ha riconosciuto la condotta professionale corretta dei genitori, riducendo parzialmente l’ammontare del risarcimento. Ma il principio giuridico resta saldo: i genitori sono responsabili non solo dei danni, ma anche del modo in cui educano i figli.

La sentenza è appellabile, ma segna una linea netta in ambito civile. Una linea che si collega alle più recenti strategie del Tribunale per i Minorenni e della Procura dei Colli Aminei. In particolare, si punta a responsabilizzare direttamente i genitori dei minori armati o protagonisti di reati, obbligandoli a presenziare in aula, nominare avvocati, affrontare l’impatto giudiziario delle condotte dei propri figli.

Verso una nuova responsabilità educativa

Le parole della presidente del Tribunale dei Minori Paola Brunese e della procuratrice Patrizia Imperato sono state chiare: non si tratta più solo di punire. Si tratta di educare gli educatori. E i provvedimenti giudiziari vanno proprio in questa direzione.

Il caso raccontato dal Tribunale civile di Napoli è solo un tassello di un cambiamento più ampio, che mette al centro la famiglia come primo presidio di legalità e convivenza civile. Un segnale forte per tutta la società.

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