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Cronache

Morte di Giuseppe Uva, fissata l’udienza in Cassazione per poliziotti e carabinieri già assolti in primo grado e in appello

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E’ stato fissata al prossimo 8 luglio l’udienza in Corte di Cassazione a carico di sei poliziotti e due carabinieri per la morte di Giuseppe Uva, deceduto in ospedale a Varese nel giugno del 2008, dopo essere transitato in caserma a seguito di un controllo. Gli imputati, accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona, sono stati assolti sia in primo grado che in Appello, con formula piena. Il ricorso era stato depositato lo scorso ottobre dalle parti civili. “Mi auguro che la Suprema Corte confermi le sentenze di primo e secondo grado – ha commentato l’avvocato Piero Porciani, difensore di due poliziotti – consentendo agli imputati che hanno fatto solo il loro dovere, di ricominciare a vivere dopo oltre 10 anni di incubo”.

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Cronache

Egitto, arrestata la ballerina Linda Martino: “La danza non è un reato, sono italiana. Chiedo aiuto al Consolato”

Linda Martino, star dei social e danzatrice del ventre con doppia cittadinanza, è stata arrestata al Cairo per “offesa alla morale”. Rischia un anno di lavori forzati. L’Italia segue il caso.

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«La danza del ventre è un’arte, non un reato». Così si è difesa davanti al tribunale del Cairo la ballerina Sohila Tarek Hassan Haggag, in arte Linda Martino, arrestata il 22 giugno scorso mentre era in partenza dall’aeroporto egiziano per una tournée a Dubai e negli Emirati. La performer, seguita da oltre due milioni di follower su Instagram, ora rischia fino a un anno di lavori forzati per l’accusa di offesa alla morale pubblica.

“Mi sento italiana. Chiedo aiuto al mio consolato”

Linda Martino, che possiede doppia cittadinanza ma si dichiara “più italiana che egiziana”, ha chiesto al giudice l’intervento dell’ambasciata italiana:

«Sono una cittadina italiana e chiedo aiuto al mio consolato», ha detto in aula.

L’ambasciata italiana al Cairo, sotto il coordinamento della Farnesina, ha già attivato una richiesta di visita consolaree fornito assistenza, ricevendo anche la madre dell’artista. Ma la legge egiziana non riconosce la doppia cittadinanza, e dunque per le autorità locali Linda è solo egiziana, senza alcun canale protetto internazionale.

L’accusa: “Ha usato tecniche di seduzione”

Le autorità egiziane contestano alla danzatrice un videoclip realizzato nel 2024 insieme a un noto cantante locale, in cui sarebbe apparsa «con abiti indecenti, esponendo deliberatamente zone sensibili del corpo». Secondo l’accusa, Linda avrebbe «incitato al vizio» usando «danze provocanti e tecniche di seduzione».

Ma l’artista si è difesa respingendo ogni addebito:

«Quello che si vede sui social fa parte di un’attività artistica. Alcuni video sono stati manipolati. I miei spettacoli sono autorizzati e rispettano i limiti della legge».

La parabola di una star caduta in disgrazia

Linda Martino, dopo aver sposato nel 2011 l’italiano Domenico Martino, ne ha preso il cognome e ha vissuto a lungo in Italia, tra Cremona e Pistoia. Dopo il trasferimento in Egitto, la separazione e il successivo divorzio (trascritto nel 2024), la ballerina aveva continuato a esibirsi all’estero, abbandonando il palcoscenico egiziano per via delle polemiche e pressioni morali.

«È da un anno che vivo sotto attacco. Avevo anche annunciato il mio ritiro dalle scene», ha raccontato Linda in aula.

Un caso politico e culturale

Il caso Martino è solo l’ultimo di una serie di arresti di danzatrici orientali in Egitto. In due anni il governo di al Sisi ha già fermato almeno quattro ballerine con accuse simili. Il clima resta teso e l’opinione pubblica spaccata tra chi difende la tradizione e chi chiede maggiore libertà artistica e rispetto per le donne.

Intanto, l’ambasciatore italiano Michele Quaroni attende l’autorizzazione per incontrare la connazionale detenuta. E la vicenda continua ad alimentare un dibattito più ampio, che travalica la giustizia ordinaria: quello sull’identità, i diritti culturali e il confine – ancora troppo sottile – tra espressione artistica e censura morale.

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Cronache

Addio a Elio Palombi, avvocato, magistrato e professore: una vita dedicata al diritto e ai suoi studenti

È morto Elio Palombi, figura simbolo della giustizia napoletana. Magistrato, avvocato, docente universitario, autore e maestro di generazioni di studenti. “Avvocato fino all’ultimo”, scrive la figlia Manuela.

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Magistrato, pretore, penalista, docente, scrittore. Ma soprattutto avvocato, fino all’ultimo respiro. È scomparso a 89 anni Elio Palombi, figura simbolo della cultura giuridica napoletana. A darne notizia la figlia Manuela, anch’essa avvocata, che ha raccolto l’eredità professionale e morale del padre:

“Ci ha lasciato facendo l’avvocato. Un mestiere che amava profondamente e al quale non avrebbe mai rinunciato”.

Palombi si è spento nel suo studio di piazza Municipio, tra codici e appunti, immerso nella professione che aveva scelto fin da giovanissimo contro il volere del padre, Arturo Palombi, noto zoologo.

Dalla toga alla cattedra, tra rigore e passione

Entrato in magistratura a soli 25 anni, fu sostituto procuratore a Novara, poi Pretore a Castel Baronia e a Capri, quindi giudice aggregato alla Corte Costituzionale. Ma fu l’insegnamento universitario a consegnarlo alla memoria di intere generazioni: docente di Istituzioni di diritto e procedura penale alla Federico II, Palombi viveva la cattedra come una missione.

“Meno lo interroghi, un ragazzo, e meno capisci se è davvero preparato”, ripeteva ai suoi studenti, con cui instaurava un rapporto serio ma umano. Le sue lezioni erano tra le più affollate di via Mezzocannone.

Per lui Scienze Politiche era una palestra per la vita pubblica, e riteneva suo dovere formare cittadini consapevoli e giuristi preparati. Il suo approccio era pratico, calato nella realtà: il diritto penale doveva essere uno strumento di giustizia, non solo teoria astratta.

Gli anni di Tangentopoli e l’etica professionale

Negli anni ’90 fu anche difensore di politici e imprenditori coinvolti in Tangentopoli, in un’epoca di grandi tensioni sociali e mediatiche. Difese sempre nel rispetto della dignità delle persone, senza mai cedere alla logica del processo spettacolo. Per lui la giustizia era una cosa seria, mai negoziabile.

Le passioni, Capri e la scrittura

Amava la gastronomia – fu delegato dell’Accademia Italiana della Cucina – e la scrittura, che definiva “la sua forma di relax”. I suoi libri, giuridici e non, erano spesso concepiti nel suo buen retiro caprese, davanti ai Faraglioni, quasi sempre pubblicati con l’amico editore Marzio Grimaldi.

Tra i suoi titoli più noti: “Magistratura e Giustizia in Italia”, “Pinocchio e la inGiustizia”, “Eduardo e l’impegno nella ricostruzione del Teatro San Ferdinando”.

Un’eredità morale che resta

“Muore un maestro – ha scritto un suo ex allievo – e non solo per l’avvocatura. Ha saputo trasformare in realtà il comandamento più difficile: ‘Come volete che gli uomini facciano a voi, così fate a loro’”.

Elio Palombi lascia la moglie Annamaria, i figli Marco e Manuela, e una Napoli più povera di cultura, di etica e di affetto. Un uomo che ha fatto della giustizia una vocazione e del diritto uno strumento di crescita civile.

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Cronache

Secondigliano, imprenditore sotto protezione dopo la denuncia: smantellato racket legato ai clan

A Secondigliano imprenditore sotto tutela dopo la denuncia di estorsione. Arrestati due presunti affiliati al clan Licciardi. L’inchiesta coordinata dalla Dda di Napoli ha fatto emergere un racket sui lavori edili.

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Secondigliano, quartiere difficile ma anche presidio di legalità. Un imprenditore edile, minacciato e avvicinato più volte da esponenti vicini al clan Licciardi, è oggi sotto tutela rafforzata delle forze dell’ordine. La sua scelta di denunciare ha permesso alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli di sventare un tentativo di estorsione legato ai lavori di restauro in corso nel rione Gescal.

La denuncia e l’indagine della Dda

Tutto parte da una richiesta: cinquemila euro, cifra calcolata in percentuale sull’appalto in corso. In cambio, la “tranquillità”. Ma l’imprenditore non ha ceduto. Si è rivolto alla Fai (Federazione antiracket italiana) e, con il supporto della rete investigativa napoletana – commissariato di Secondigliano, Squadra Mobile, Dda – ha fornito un racconto dettagliato che ha trovato riscontri in intercettazioni ambientali e nelle immagini delle telecamere di sorveglianza.

Gli elementi raccolti hanno portato all’arresto di Giovanni Napoli e Luca Gelsomino, entrambi accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Un terzo soggetto, ritenuto l’organizzatore del tentativo di estorsione, è attualmente irreperibile.

Racket e subappalti: come agiscono i clan

L’inchiesta – coordinata dal pm Celeste Carrano sotto la guida dell’aggiunto Sergio Amato – rientra in un più ampio contesto emerso nelle recenti relazioni della Dia. I clan, oggi, non si limitano più al “pizzo porta a porta”. Puntano a controllare l’intero ciclo economico dell’edilizia: forzare l’uso di ditte amiche nei subappalti e imporre la fornitura esclusiva di materiali da soggetti collegati.

A Secondigliano, però, il meccanismo è saltato. Grazie al coraggio di un imprenditore e al lavoro paziente delle forze dell’ordine, è stato possibile interrompere una catena criminale che si alimentava su un sistema di omertà e condizionamento.

Un esempio per la città

L’intervento della Prefettura, la rete della Fai, il lavoro del commissariato di zona guidato dal primo dirigente Giovanni Leuci e il coordinamento della Procura antimafia di Nicola Gratteri rappresentano un esempio di come Napoli possa reagire. Oggi, in attesa dell’udienza del Riesame, la città si stringe intorno a chi ha detto no alla camorra.

L’imprenditore è ora protetto, ma ha aperto una breccia importante: un segnale per altri colleghi, una spinta a denunciare e a riprendersi la libertà di lavorare senza il giogo dei clan.

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