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Cronache

Morta Balzerani, la primula rossa del sequestro Moro

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Mai pentita mai dissociata ma neanche irriducibile. Barbara Balzerani, morta a Roma a 75 anni, percorse tutta la parabola, sociale e di militanza, delle Brigate Rosse -alle quali aderì nel 1975- scalando in dieci anni tutte le posizioni fino a diventare una ‘dirigente del terrore’. La primula rossa dei brigatisti, nome conquistato sul campo perchè fu una degli ultimi Br ad essere arrestata, non sconfessò mai il suo percorso costellato dalle azioni più atroci della lotta armata dal delitto Moro al sequestro Dozier. Ma dalla seconda metà degli anni ’80 iniziò un percorso di critica che la portò, nel 1993, a rammaricarsi pubblicamente per i tanti colpiti “nei loro affetti” dalla violenza dei terroristi.

Prima aveva pubblicamente dichiarato conclusa l’esperienza della lotta armata in Italia “considerati i cambiamenti della società” tanto, nel 2003, dal non riconoscere una continuità con le Nuove Br di Nadia Desdemona Lioce definendo la scelta delle armi “improponibile nel contesto odierno”. Balzerani, nata a Colleferro nel 1949, padre autista di bus e ultima di cinque figli, comincia a frequentare gli ambienti della sinistra extraparlamentare a Roma nella seconda metà degli anni 70 quando si trasferisce per studiare filosofia. Milita in Potere Operaio poi nel 1975 il salto alla lotta armata e alla clandestinità. Dirigente della colonna Romana, prese parte nel 1978 al sequestro Moro: con Moretti occupò la base operativa di via Gradoli ma entrambi erano assenti quando il 18 aprile i pompieri entrarono nell’appartamento a causa di una perdita d’acqua. Moretti fu catturato nel 1981, lei quattro anni dopo.

Cercò di tenere in piedi le Br minate da arresti e da una divisione interna che vedeva Balzerani fare capo alle Br-Partito Comunista Combattente. Nel 1985 la primula rossa viene presa. E’ bloccata ad Ostia, è armata e dalla borsa spunta una calibro 9. Finisce così la sua carriera di dirigente dell’organizzazione terroristica. Poi il lungo cammino verso una visione critica di quegli anni non senza parentesi ampiamente criticate come quando alla presentazione del suo libro e riferendosi al sequestro Moro parlò “del mestiere della vittima” che “ha il monopolio della parola”. Ottenne la libertà condizionale nel 2006 e quella definitiva, avendo scontato la sua pena, nel 2011. L’ultimo decennio della sua vita la vede impiegata in una cooperativa e autrice di numerosi romanzi anche con accenni autobiografici. In ‘L’ho sempre saputo’ in poche parole sintetizzò l’avventura violenta e velleitaria degli anni di piombo e della sua generazione: “Che volevamo? Tutto. Riprenderci la vita rubata da padroni, partiti, chiese e sindacati”. Per farlo rubarono anche la vita agli altri.

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Elezioni comunali con 23 liste a Bisegna: il trucco della vacanza retribuita dietro una farsa elettorale

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Incredibile ma vero: 23 liste si sono presentate per le elezioni amministrative di Bisegna, minuscolo comune abruzzese in provincia dell’Aquila, con appena 212 abitanti. Un numero spropositato che nasconde una realtà scandalosa: 21 liste su 23 sono composte da agenti della polizia penitenziaria che si sono candidati non per partecipare davvero al processo democratico, ma per usufruire di un mese di aspettativa retribuita, garantita dalla legge, con la scusa della campagna elettorale.

Il vero scopo: un mese di ferie pagate

Delle 23 liste, solo due rappresentano candidati locali che hanno a cuore il futuro del paese. Le altre sono state messe in piedi esclusivamente per consentire ai candidati di prendere ferie retribuite: un abuso normativo che trasforma le elezioni, fondamento della democrazia, in una comoda vacanza a spese dei contribuenti. Una beffa clamorosa, soprattutto se si pensa che alle ultime elezioni hanno votato solo 150 persone.

Un meccanismo che tradisce la fiducia nelle istituzioni

Questa vicenda getta un’ombra pesante sulla credibilità del sistema elettorale locale. Organizzare liste fittizie per ottenere privilegi economici senza alcuna intenzione di governare o migliorare la vita di una comunità tradisce lo spirito delle elezioni, nate per consentire ai cittadini di scegliere chi li rappresenterà davvero.

Un caso che chiede risposte immediate

La situazione di Bisegna impone una riflessione urgente: è inaccettabile che le regole, pensate per garantire la partecipazione democratica, vengano piegate a interessi personali. Serve un intervento normativo che blocchi questi abusi e ristabilisca il rispetto per un diritto fondamentale come quello del voto.

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Un 19enne muore in un incidente in bicicletta

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Un giovane di 19 anni, di origine nigeriana, è morto questa sera in un incidente stradale avvenuto lungo via Roma, a Roscigno, nel Salernitano. Secondo una prima ricostruzione, il ragazzo, ospite del centro di accoglienza Sai del comune degli Alburni, stava rientrando dopo aver fatto la spesa quando ha perso il controllo della bicicletta ed è finito contro un albero sul lato opposto della carreggiata. Restano da chiarire le cause dell’impatto: al momento non si esclude alcuna ipotesi, dal coinvolgimento di altri veicoli a una manovra improvvisa per evitare un ostacolo. Possibile anche che il giovane abbia avuto difficoltà a gestire le buste della spesa durante la pedalata. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, ma per il 19enne non c’era più nulla da fare. Per risalire all’esatta dinamica dell’incidente indagano i carabinieri della compagnia di Sala Consilina.

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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