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Cronache

Migranti: “caso Mare Jonio”, Procura sequestra 125mila euro

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Favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e violazione del codice della navigazione questi i reati ipotizzati. Il gip presso il Tribunale di Ragusa ha disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni di proprieta’ della Idra social Shipping, formalmente la societa’ armatrice della nave Mare Jonio accogliendo la richiesta della procura. Ed e’ proprio sul sequestro della somma di 125 mila euro su un conto della Idra che il provvedimento e’ stato posto in essere dalla Guardia di finanza – Pef di Ragusa, delegata all’esecuzione con Capitaneria di Porto di Pozzallo e Squadra Mobile di Ragusa che hanno anche condotto le indagini.

Il caso riguarda il trasbordo di migranti avvenuto l’11 settembre 2020 dalla nave mercantile Maersk Etienne alla nave ong Mare Jonio che secondo la Procura di Ragusa avvenne senza autorizzazione delle autorita’ e in base ad un accordo commerciale preventivo tra la compagnia danese e quella triestina, la Idra Social Shipping che frutto’ a quest’ultima il pagamento di 125.000 euro. In base all’ipotesi formulata dalla Procura sull’esame delle attivita’ investigative che hanno coinvolto appunto, oltre alla Guardia di finanza – Nucleo Pef, anche Squadra Mobile di Ragusa e Capitaneria di Porto di Pozzallo -, i fatti si svolsero per interesse economico.

La Maersk Etienne grande nave commerciale recupero’ in zona Sar maltese 27 migranti in difficolta’ a bordo di un barchino dirigendo verso Malta. Era agosto del 2020. Poi lo stallo. La Etienne non viene autorizzata a sbarcare i migranti e si trova bloccata in rada dal 5 agosto all’11 settembre data in cui i migranti vengono trasbordati sulla Mare Jonio che batte bandiera italiana. Un danno economico ingente per la compagnia danese. Una missione di soccorso per la Mare Jonio, patto commerciale invece secondo quanto avrebbe ricostruito la Procura di Ragusa. Prima della partenza della Mare Jonio, una serie di contatti e di scambi di istruzioni tra la Maersk e la Idra Social Shipping, finche’ si arriva al 10 settembre. Poi le ultime disposizioni.

La Mare Jonio parte da Licata il 10 settembre ufficialmente per portare a Lampedusa 80 litri di gasolio. Al largo un rendez vue con un gommone per imbarcare personale non autorizzato dalla Capitaneria di porto. Poi rotta verso Lampedusa finche’ con una strategia concordata secondo la Procura, non viene inviato un messaggio dalla Maersk per chiedere la possibilita’ di un controllo medico a bordo. La Mare Jonio inverte la rotta e si dirige verso la Etienne. E qui un altro problema. I migranti vengono valutati e si ravvisa la necessita’ di un trasbordo immediato per motivi sanitari. Questione dibattuta dai legali degli indagati.

Con i migranti a bordo di Mare Jonio, viene chiesta l’assegnazione di un porto per lo sbarco a Malta ma viene negato; non si tratta di soccorso ma trasbordo e Malta liquida la faccenda invitando Mare Jonio a rivolgersi al suo stato di bandiera. L’Italia chiede informazioni a Malta. Mare Jonio dirige verso l’Italia e chiede un medevac (evacuazione medica urgente) per una donna al 4 mese di gravidanza.

Verra’ presa in carico dalla Guardia costiera. Lo sbarco poi viene autorizzato per ragioni mediche il 12 settembre dalle autorita’ italiane che indicano il porto di Pozzallo. Si scoprira’ pero’ che la donna evacuata in emergenza, non era incinta ed e’ stata dimessa dopo poche ore senza alcun giorno di prognosi e tutti i migranti una volta sbarcati sono stati giudicati in buona salute fisica. Gli indagati risultano 7: Pietro Marrone (comandante della nave Mare Jonio), Alessandro Metz (armatore di Idra Social Shipping), Giuseppe Caccia e Luca Casarini (socio e dipendente Idra) Agnese Colpani (medico chirurgo), Fabrizio Gatti (soccorritore) e Georghios Apostolopoulos (tecnico armatoriale) oltre alla societa’ Idra Social Shipping. Secondo la Procura Caccia e Casarini, avrebbero avuto un ruolo importante nella definizione della strategia condivisa anche con Metz che avrebbe portato, alla fine, all’emissione di un bonifico dalla Maersk di 125mila euro per servizi di assistenza in acque internazionali accreditato alla Idra a fine novembre al termine di quella che si sarebbe configurata come una lunga trattativa.

Dopo una serie di azioni che hanno seguito il primo sequestro di atti e materiale informatico delle persone coinvolte, finito in Cassazione, ora un secondo capitolo che riguarda il sequestro per equivalente. Bloccati 125mila euro sul conto della Idra social Shipping, armatrice della Mare Jonio che secondo la tesi della Procura avrebbe operato nonostante le diffide a prestare soccorso – la nave non era autorizzata per operare in tal senso -, il “no” all’imbarco di personale, aggirato con il rendez vue al largo, il “patto commerciale” che sarebbe maturato in trattative iniziate tra fine agosto e settembre, e concluse a novembre del 2020.

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‘Motivi di salute’, Verdini al centro clinico di Pisa

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L’ex parlamentare Denis Verdini è stato trasferito da alcune settimane dal carcere fiorentino di Sollicciano al centro clinico del carcere di Pisa a causa delle sue condizioni di salute che sarebbero state giudicate incompatibili -secondo l’avvocato Marco Rocchi- con la detenzione carceraria. Il giudice di sorveglianza ha nominato un perito e il 30 maggio è fissata l’udienza per la decisione. L’ex parlamentare, 73 anni da poco compiuti, sta scontando una condanna definitiva a sei anni e sei mesi per la bancarotta fraudolenta del credito cooperativo fiorentino. Dopo la pronuncia della Cassazione si era costituito il 3 novembre 2020, nel carcere di Rebibbia a Roma. Nel gennaio 2021 aveva ottenuto la detenzione domiciliare per motivi di salute, a causa della diffusione del Covid in carcere.

Decisione confermata poi dal tribunale di sorveglianza di Firenze nel luglio 2021 per motivi di età. Lo scorso febbraio però la detenzione domiciliare gli era stata revocata per aver violato le prescrizioni imposte dallo stesso tribunale di sorveglianza: l’ex senatore di Ala, già parlamentare di Forza Italia, infatti, era stato accertato, aveva partecipato a tre cene in ristoranti di Roma, dove era stato autorizzato ad andare per visite dal dentista di fiducia, e aveva pernottato anche a casa del figlio Tommaso. Il Tribunale di Sorveglianza, lo stesso che gli aveva concesso i domiciliari, così lo rimandò in cella. L’ex parlamentare aveva ottenuto permessi per le cure dentarie: poteva uscire a Roma dalle 10 alle 14 ma poi doveva ritorna a casa del figlio, dove non poteva incontrare persone diverse dai familiari più stretti.

Per i giudici del Tribunale di sorveglianza Verdini avrebbe chiesto permessi per quelle terapie al fine di eludere più facilmente il vincolo delle prescrizioni disposte per la detenzione domiciliare. L’appuntamento dal medico sarebbe stata l’occasione -secondo i giudici di Sorveglianza- per incontrare politici, imprenditori e dirigenti pubblici. Incontri che non sono sfuggiti agli investigatori della guardia di finanza che stavano indagando, coordinati dalla procura di Roma, sulle commesse bandite dall’Anas e in cui sono coinvolti anche Denis Verdini e il figlio. Dalle indagini romane risultò anche che l’ex senatore avrebbe tenuto anche relazioni telefoniche senza autorizzazione. Il Tribunale di sorveglianza di Firenze aveva già avviato e chiuso un procedimento per violazione delle prescrizioni, confermando nel febbraio 2022 la detenzione domiciliare. Allora tutto era nato a seguito della pubblicazione su un quotidiano di una lettera di Verdini indirizzata a Fedele Confalonieri e Marcello Dell’Utri.

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Roberto Salis: Ilaria aiutata da campagna mediatica non silenzio

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Sarà pure servito il “lavoro in silenzio” per far tornare dopo 24 anni Chico Forti in Italia, per scontare la sua condanna per omicidio, ma per Ilaria Salis, che si trova da oltre quindici mesi in carcere a Budapest in detenzione preventiva, invece le cose sono migliorate con “la campagna mediatica”.

Roberto Salis è convinto di questo e continua a impegnarsi nella campagna elettorale per le europee dove sua figlia è candidata di Alleanza Verdi Sinistra. Non fa polemiche sul caso di Forti, ricevuto al suo arrivo dalla premier. Si limita a dire di fare “già fatica a seguire il caso” di Ilaria e non aver “seguito assolutamente quello di Chico Forti”. E però dà una indiretta risposta all’osservazione del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ieri su Forti ha sottolineato che “si ottengono questi risultati quando si lavora in silenzio, senza fare polemiche”. “Il governo con noi ha avuto 11 mesi di profilo basso per fare tutto quello che era necessario e non è successo nulla. Io sono portato a pensare che le condizioni di Ilaria siano iniziate a migliorare nel momento in cui c’è stata una campagna mediatica intorno a lei” osserva prima di un incontro pubblico a Milano con Nicola Fratoianni e Carola Rackete, l’ambientalista comandante della Sea Watch che fu arrestata quando senza permesso attraccò per far scendere migranti salvati in mare a Lampedusa nel 2019, ora candidata alle Europee in Germania con Die Linke. “Tutte le richieste avanzate dal governo tramite l’ambasciata prima di questo sono state assolutamente non ascoltate” aggiunge. Ora invece è arrivato il via libera per i domiciliari a Budapest di Ilaria, che è accusata dell’aggressione a due estremisti di destra. La famiglia ha pagato i 16 milioni di fiorini (poco più di 40 mila euro) di cauzione ed ora attende di conoscere la data del suo trasferimento, che dovrebbe essere in settimana, mentre il 24 è fissata la nuova udienza del processo. Una volta ai domiciliari, poi, ci sarà da risolvere il problema “gravissimo” della sua incolumità viste le minacce dell’estrema destra dimostrate dall’immagine di Ilaria impiccata apparse su un muro di Budapest. Domani andrà ad incontrarla Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra “per darle appoggio e vicinanza da tutti noi”. Secondo Rackete, che parla di un “processo politico” senza prove, la trentanovenne dovrebbe essere “immediatamente rilasciata”. Con i domiciliari, avvisa il padre, “non cambia niente. Il processo ingiusto è ancora in corso, Ilaria rischia fino a 24 anni di carcere e il passaggio ai domiciliari peggiora la situazione perché un giorno in carcere vale un giorno, un giorno ai domiciliari vale un quinto di un giorno”. Lei dalla cella ha fatto sapere alla Stampa di non volersi sottrarre ma invece di volersi “difendere all’interno di un processo in cui siano garantiti i diritti fondamentali”. “La mia situazione giudiziaria – ha aggiunto – non può e non deve essere pregiudicata o aggravata dalle mie posizioni politiche”. La scelta di candidarsi è arrivata per la volontà di trasformare “la mia vicenda in qualcosa di costruttivo non solo per me – ha spiegato -. Vorrei potermi dedicare a una cosa che mi sta molto a cuore: la tutela dei diritti umani”. E quando uscirà dalla cella per prima cosa abbraccerà “finalmente le persone a cui voglio bene”.

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Lavoratore 21enne morto a Scafati in un incidente

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Lavorava in nero il 21enne Alessandro Panariello, che ieri è morto in un incidente avvenuto a Scafati, in provincia di Salerno, mentre lavorava in un palazzo in pieno centro. A denunciarlo sono gli avvocati Gennaro Caracciolo e Agostino Russo dello Studio Forensis, che assistono la famiglia del giovane lavoratore. Secondo le prime ricostruzioni Panariello è rimasto ucciso da una lastra d’acciaio caduta dalla carrucola che stava sollevando. “L’unica cosa della dinamica che abbiamo saputo – spiegano i legali – è che Panariello era giù e un altro lavoratore era su quando gli è caduta addosso la lastra, e che era ancora vivo mentre lo portavano in ospedale”.

“Siamo morti insieme al nostro Alessandro – fanno sapere tramite gli avvocati la madre Flora, il compagno di quest’ultima (il papà di Alessandro è morto da anni) e la fidanzata del 21enne, Annachiara – ma faremo di tutto affinché giustizia venga fatta; sporgeremo querela contro il datore di lavoro, anche perché il povero Alessandro non era regolare, nonostante avesse sempre chiesto di avere un contratto di lavoro. Ora la nostra vita è cambiata per sempre. Saremo destinati ad andare avanti con la morte nel cuore perché niente e nessuno potrà restuirci il nostro Alessandro”. Il 21enne aiutava economicamente, nonostante la sua giovane età, l’intera famiglia.

“Queste morti – dice l’avvocato Caracciolo – accadono perché non c’è la giusta cultura sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non c’è la giusta cultura nelle aziende e non si provvede all’adozione dei giusti modelli di gestione e controllo delle procedure aziendali e quindi del modo di lavorare. Dunque non si fa nulla per prevenire tali situazioni; si tratta di un problema soprattutto culturale che nel sud Italia è ancora più pesante”.

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