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Cronache

Messo a punto sistema di monitoraggio delle acque

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Come difendere le sorgenti d’acqua dolce da minacce antropiche e naturali? Attraverso un sistema di conoscenze nuove e multidisciplinari. E attraverso una rete di monitoraggio integrato per valutare lo stato della risorsa acqua e suolo. È quello che ha realizzato una best practice innovativa realizzata dell’Autorità di Bacino distrettuale dell’Appennino Meridionale per il bacino di alimentazione delle sorgenti di Cassano Irpino nell’ambito del PON “Legalità” 2014-2020, per la Sicurezza Idrica – Sicurezza Sociale, finanziata dal Ministero dell’Interno.

I risultati del progetto innovativo sono stati presentati nel corso di un evento svoltosi presso l’Hotel San Francesco al Monte Su queste premesse è stato sottoscritto un Protocollo d’Intesa tra l’Arma dei Carabinieri e l’Autorità̀ di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale grazie al quale sono state messe a disposizione dell’Arma dei Carabinieri le expertise dell’Autorità di Bacino Distrettuale per l’analisi e l’interpretazione di dati acquisiti con strumentazione in dotazione dell’Arma dei Carabinieri e sono state potenziate le infrastrutture delle sedi dei NOE con la fibra ottica, anche mediante gli apparati di rete già attivi. Ulteriore elemento significativo del progetto è stato quello di progettare e realizzare una rete di monitoraggio integrata, della qualità e disponibilità delle acque e di sorveglianza del sistema territoriale ed infrastrutturale, mediante la “fusione” di differenti tecnologie e strumentazioni, analisi ed implementazione di opportuni modelli e conseguente piattaforma di supporto alle decisioni (misure per la mitigazione delle criticità e del rischio e per azioni di prevenzione).

Il progetto si basa su un approccio scientifico che ha consentito di sperimentare un percorso tecnico-gestionale originale, esportabile in altri contesti geo-ambientali, a livello nazionale ed internazionale, costruito su una “rete istituzionale, scientifica e tecnica” sinergica, che ha saputo coniugare l’innovazione tecnologica con le finalità della sicurezza idrica, sicurezza sociale e sviluppo sostenibile del territorio. E’ stata realizzata un’Infrastruttura Tecnologica, con funzionalità di Business Intelligence ed Analytics L’Infrastruttura tecnologica permette fra l’altro la memorizzazione e la gestione dei dati registrati in modo che abbiano valore probante in caso di indagini su illeciti ambientali a supporto dell’obiettivo del finanziamento PON Legalità. Sono stati realizzati anelli di collegamento in fibra ottica fra le sedi di Napoli, Caserta, Salerno, Catanzaro, Reggio Calabria, Potenza, Bari, Lecce. È stata acquisita ed installata sensoristica IoT per la rilevazione dei dati “in-situ”.

“La salvaguardia e difesa del sistema fisico – ambientale necessita di sinergie tra Istituzioni per tutelare un patrimonio che è parte fondamentale dell’identità nazionale – ha affermato il Segretario dell’Autorità di Bacino distrettuale dell’Appennino Meridionale, Vera Corbelli – ogni percorso relativo al governo di tale sistema, anche sotto l’aspetto antropico e sociale, esige una collaborazione e sinergia tra Istituzioni, un approccio integrato e multidisciplinare di conoscenze, analisi ed interpretazioni con l’adozione di metodologie condivise innovative/strategiche. Una tale configurazione istituzionale, attraverso un percorso tecnico, scientifico e gestionale ci consente di operare al fine di garantire sicurezza sociale, sostenibilità ambientale ed un equo pacifico ed armonico sviluppo economico delle comunità locali”. Tale approccio è alla base del Governo della Risorsa Acqua: “Bene Comune di primaria importanza” che richiede conoscenza, monitoraggio costante e continua valutazione della sua dinamicità nel tempo, interventi strutturali e non strutturali, al fine del raggiungimento di quegli obiettivi fissati dalle Direttive Comunitarie e ripresi nella legislazione nazionale.

Il perseguimento dei suddetti obiettivi consente di pervenire ad una efficace, efficiente e sostenibile gestione della risorsa acqua nei suoi svariati usi e nella consapevolezza dei valori che tale Bene assume. Il generale di Corpo D’Armata del CUFA, Andrea Rispoli, ha sottolineato come la “realizzazione del progetto sia un fatto davvero importante di grande supporto alle attività di specializzazione e conoscenza del territorio dei carabinieri del CUFA . E che soprattutto consente di rafforzare la tempestività di intervento dell’Arma”. Il Generale Di Divisione Fernando Nazzaro, ha invece spiegato: “tra l’Arma dei Carabinieri e l’Autorità di Bacino guidata da Vera Corbelli si è creata una straordinaria sinergia sin dal 2019, da quando è stato sottoscritto il primo protocollo di Intesa e per promuovere le attività di collaborazione e predisponendo azioni mirate in aree pilota. Alla realizzazione del progetto hanno partecipato diverse aziende innovative.”

“Questo percorso ha coinvolto competenze estremamente variegate che hanno reso possibile la realizzazione di un progetto senza precedenti. Ed è propria del DNA di Arthur D. Little la ricerca di quegli strumenti che mettano l’innovazione tecnologica, il data management e la governance dei progetti complessi al servizio di un progresso sostenibile – ha afferma Saverio Caldani, amministratore delegato Arthur D.Little, la società di consulenza che ha supportato l’Autorità di Bacino come partner nello sviluppo di processi e tool in grado di aggregare e rendere fruibili dati, informazioni e conoscenze indispensabili per l’Osservatorio Permanente delle Acque.

Alla presentazione dei risultati del progetto sono inoltre intervenuti Vannia Gava, Vice Ministro MASE, il Generale di Corpo d’Armata del CUFA, Andrea Rispoli, il Direttore del Ministero dell’Interno, Valentina D’Urso, il Capo Dipartimento del MASE, Laura D’Aprile, il professore Leonardo Cascini, il Direttore Esecutivo del Progetto Giovanni Pisciotta dell’Autorità di Bacino DAM, il Direttore dell’Acquedotto Pugliese, Gianluigi Fiori, Lina Alberico di Engineering Ingegneria Informatica, Francesco Signore, i professori Settimio Ferlisi, Silvio di Nocera,Antonio Leone, Giacomo Viccione, Giusy Lofrano; Giovanni Libralato, il Gen. Pasquale Lavacca e il Senatore, Enzo De Luca.

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Tragedia a San Gregorio di Catania: muore 23enne, il padre fermato per omicidio

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Durante una festa per un diciottesimo compleanno nella villa di famiglia, Carlo La Verde è stato colpito a morte da un proiettile esploso dalla pistola del padre durante una colluttazione. Il 62enne Natale La Verde è stato fermato con l’accusa di omicidio volontario.

Una festa trasformata in incubo

La villa l’avevano chiamata Heaven, paradiso. Una splendida proprietà con vista mare a San Gregorio, nel catanese, dove da tempo la famiglia La Verde organizzava feste ed eventi. Sabato sera, durante un diciottesimo, il paradiso si è trasformato in teatro di una tragedia.

Secondo le prime ricostruzioni, un gruppo di ragazzi non invitati si sarebbe introdotto nel locale, generando tensioni tra gli imbucati e gli invitati. Tra questi anche Carlo La Verde, 23 anni, figlio del proprietario, che insieme ad alcuni amici avrebbe provato a farli uscire.

I colpi partiti dalla pistola del padre

Allarmato dalle urla, Natale La Verde, 62 anni, padre di Carlo, avrebbe afferrato una pistola 357 Magnum appartenente alla famiglia, regolarmente denunciata, e avrebbe sparato in aria per intimidire. Ma nel tentativo di disarmarlo da parte dei presenti, è scoppiata una colluttazione. Nella confusione, sono partiti due colpi: uno ha colpito mortalmente Carlo all’addome, l’altro ha ferito lievemente a un piede un 31enne.

Carlo, studente universitario di Economia e Impresa, appassionato di sport e viaggi, è morto sul colpo. Inutili i soccorsi del 118, che hanno trovato un clima di altissima tensione.

Il fermo e le indagini

Il padre è stato fermato dai carabinieri per omicidio volontario. La pistola, appartenuta al nonno della vittima, è stata sequestrata. A condurre le indagini saranno anche gli esperti della Sezione investigazioni scientifiche del comando provinciale di Catania.

Sotto esame anche le tensioni scoppiate all’arrivo dei soccorsi: alcuni amici della vittima avrebbero aggredito il personale del 118, accusato di essere arrivato in ritardo. «Ci state impedendo di aiutare chi ha bisogno di noi», hanno replicato i sanitari.

Le reazioni e lo sciopero simbolico

Il presidente della Seus 118, Riccardo Castro, ha parlato di «un ennesimo atto di violenza che suscita preoccupazione e indignazione». Il direttivo Coes Sicilia, che rappresenta gli autisti soccorritori, ha indetto uno sciopero simbolico di tre ore per il 1° maggio: sarà affissa una locandina di protesta sui mezzi, ma il servizio di emergenza sarà comunque garantito.

Intanto, il sindaco di San Gregorio, Sebastiano Sgroi, ha definito quanto accaduto «una tragedia che lascia senza parole» e che ha colpito «una famiglia nota e perbene».

 

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Cronache

Ponte sullo Stretto, il vice della Dna Michele Prestipino indagato per rivelazione di segreti d’ufficio

L’accusa riguarda un presunto scambio di informazioni riservate sulle inchieste antimafia in corso. Revocate le deleghe, il magistrato si è avvalso della facoltà di non rispondere.

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Dalle indagini ancora aperte della Procura di Caltanissetta sulle stragi di mafia del 1992 è nato un nuovo filone giudiziario con possibili conseguenze dirompenti. Il protagonista è Michele Prestipino (foto Imagoeconomica in evidenza), attuale procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia (Dna), finito sotto inchiesta per violazione di segreto d’ufficio. L’accusa è legata non agli eventi di trent’anni fa, ma a un presunto scambio di informazioni riservate su inchieste in corso relative a infiltrazioni della ‘ndrangheta nei lavori del ponte sullo Stretto di Messina.

Le accuse: “Rivelò informazioni riservate a De Gennaro e Gratteri”

Secondo quanto comunicato dal procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca, Prestipino avrebbe rivelato dettagli riservati delle indagini in corso a Giovanni De Gennaro, ex capo della Polizia e presidente del consorzio Eurolink, e a Francesco Gratteri, ex direttore del Servizio centrale anticrimine e oggi consulente della Webuild. L’incontro incriminato risale al 1° aprile, in un ristorante del centro di Roma. In quell’occasione, il magistrato avrebbe parlato anche dell’uso di intercettazioni e di altri particolari investigativi rilevanti, rischiando di compromettere le inchieste in corso.

L’accusa più grave riguarda l’aggravante di favoreggiamento dell’associazione mafiosa, poiché si ipotizza che Gratteri, per conto anche di De Gennaro, possa aver allertato alcuni soggetti coinvolti nelle indagini.

La microspia e le indagini sul Ponte

La rivelazione delle informazioni sarebbe stata registrata da una microspia che gli investigatori avrebbero installato per altre finalità, forse legate alle indagini ancora in corso sulla strage di via D’Amelio e sulla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Da quelle intercettazioni sarebbe emerso che Prestipino avrebbe informato i due prefetti in pensione sull’interesse delle cosche calabresi agli appalti del Ponte, un’infrastruttura sotto la lente di diverse Procure, anche del Nord, coordinate dalla Dna.

Revoca delle deleghe e silenzio difensivo

Il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo ha revocato a Prestipino, «con effetto immediato», le deleghe relative al coordinamento delle inchieste sul Ponte, adottando inoltre ulteriori misure per proteggere la riservatezza e l’efficacia delle attività della Dna, come comunicato al Csm e al procuratore generale della Cassazione.

Ieri Prestipino si è presentato a Caltanissetta ma si è avvalso della facoltà di non rispondere, come consigliato dal suo legale Cesare Placanica, il quale ha sollevato dubbi sulla competenza territoriale della Procura di Caltanissetta, sottolineando che il presunto reato sarebbe avvenuto a Roma. Il legale ha aggiunto che, chiariti questi aspetti, sarà la difesa a chiedere un interrogatorio, convinta che sarà agevole chiarire ogni punto.

Le parole della difesa

Placanica ha precisato che la conversazione è avvenuta non con imprenditori o soggetti mafiosi, ma con due ex alti funzionari dello Stato, noti per il loro contributo alla lotta alla criminalità organizzata. Ha definito «lunare e privo di ogni aderenza alla realtà» qualsiasi accostamento tra Prestipino e la mafia, ricordando la sua carriera trentennale nell’antimafia a Palermo, Reggio Calabria e Roma.

Una vicenda delicata, con ricadute potenzialmente gravi

Al di là del merito dell’accusa e dell’esito del procedimento, la vicenda tocca nervi scoperti delle istituzioni: la tenuta delle indagini antimafia, la trasparenza nella gestione delle grandi opere pubbliche e la credibilità degli apparati dello Stato. Il caso Prestipino, insomma, va oltre l’aspetto giudiziario e apre scenari delicati per la magistratura e la politica.

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In auto al cellulare travolse ragazza, prete arrestato

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Distratto dal cellulare che stava usando mentre guidava a una velocità non adeguata alla strada che stava percorrendo, lo scorso 2 aprile don Nicola D’Onghia avrebbe travolto e trascinato per alcuni metri con la sua auto la 32enne Fabiana Chiarappa che si trovava a terra, ancora viva, dopo aver perso il controllo della moto, sulla strada statale 172, in provincia di Bari. E’ la tesi degli inquirenti che hanno arrestato il sacerdote a distanza di giorni dalla sua iscrizione nel registro degli indagati per omicidio stradale aggravato e omissione di soccorso. A far supporre agli investigatori che la 32enne, soccorritrice del 118 e rugbista, fosse ancora viva, sono anche i suoi guanti trovati sull’asfalto. Nei 20 secondi che ha avuto a disposizione per rendersi conto di quanto accaduto, se li sarebbe sfilati tentando di rialzarsi. Ma proprio in quel momento sarebbe stata travolta dalla Fiat Bravo guidata dal prete 54enne, riportando gravi ferite alla testa. All’arrivo dei soccorsi era già morta. Anche il suo casco è stato trovava lontano dal corpo.

Ad avvalorare la tesi dell’impatto con l’auto dopo la caduta ci sono anche le telecamere della zona che hanno registrato due rumori: il primo è quello della moto che rovina al suolo, il secondo è quello dell’impatto dell’auto con la ragazza. “Ho sempre insegnato a mia figlia a prendersi le sue responsabilità, non mi sembra che in questo caso qualcuno se le sia prese. Speriamo che la giustizia faccia il suo corso. Non riesco nemmeno a concepire tutta la situazione”, ha detto Adamaria Anna Doria la madre della 32enne uccisa nell’incidente. L’interrogatorio di garanzia del parroco, assistito dagli avvocati Vita Mansueto e Federico Straziota, si terrà domani alle 15 davanti al gip Nicola Bonante. Il prete, come emerso dall’analisi dei tabulati del suo telefono, nei secondi immediatamente precedenti all’impatto con il corpo di Chiarappa stava usando lo smartphone: prima impegnato in una telefonata, poi nei tentativi (non riusciti) di chiamare un’altra persona. L’ultimo tentativo risale a undici secondi prima dell’impatto con la 32enne. L’utilizzo del cellulare, per il gip, potrebbe aver distratto il prete al punto da non consentirgli la reattività necessaria per accorgersi della presenza sull’asfalto di Chiarappa, e quindi per frenare o scansarla. Diciotto secondi dopo averla urtata, D’Onghia si è fermato in una stazione di servizio per controllare eventuali danni all’auto. E qui, dopo essersi accorto dei danni riportati al paraurti, ha chiamato sua sorella per chiederle di andare a dargli una mano. In quella stazione di servizio, come accertato dagli inquirenti, D’Onghia è rimasto circa 45 minuti nel corso dei quali, come si vede nelle immagini delle telecamere del benzinaio, il parroco spesso si affaccia sulla strada, nota le macchine incolonnate sul luogo dell’incidente e le sirene dell’ambulanza. Ma non fa nulla e anzi, dopo essere stato aiutato dalla sorella e dal cognato, riprende l’auto e torna a casa.

Per questo, secondo il gip, la sua versione sul non essersi accorto di nulla, se non del rumore proveniente dal pianale dell’auto (“pensavo a una pietra, un sasso”, ha detto il sacerdote agli inquirenti) è inverosimile. Sulla sua macchina sono state inoltre trovate tracce di sangue riconducibili alla vittima e danni compatibili con l’impatto con il casco della vittima. A certificare come sia stato l’impatto con l’auto a provocare lesioni mortali a Chiarappa è stata l’autopsia che ha individuato nei politraumi da sormontamento le cause della morte. Un ruolo, nell’intera vicenda, l’ha avuto anche la velocità: quella a cui viaggiava Chiarappa, che le avrebbe fatto perdere il controllo della moto, e quella tenuta dal prete che è stata ritenuta “non adeguata”.

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