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Meloni vede Salvini e sente Tajani, punta su Fitto in Ue

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Giorgia Meloni incontra Matteo Salvini in masseria a Ceglie Messapica e poi chiama telefonicamente, insieme al leader della Lega, Antonio Tajani,in queste ore a Fiuggi per qualche ora di relax. Colloqui “conviviali” li definisce la premier, ma forse utili per fare un primo punto della situazione in vista della ripresa e per concordare il vertice a Roma per il il 30 agosto. Da quel momento si entrerà nel merito di diverse questioni aperte, tra queste le nomina Ue, ma anche il nodo delle nomine Rai e il delicato dossier, già aperto in sede ministeriale, della manovra. Il tenore convivale nella masseria (tra gli altri era presente anche il presidente della Camera Lorenzo Fontana accompagnato dalla famiglia) non esclude comunque che sui principali argomenti sul tappeto possa essere stata fatta una prima riflessione – si ragiona in ambienti della maggioranza – a partire dall’Europa.

La premier tesse dunque la trama anche in questi giorni di relax vacanziero per sciogliere nel miglior modo possibile, alla ripresa, i nodi aperti, a partire dalla scelta del commissario europeo. Saldo in pista è Raffaele Fitto. E di subordinate, in una fase delicata di trattativa, non ci possono essere. Anche se, tra gli altri, circolano anche il nome di Elisabetta Belloni, diplomatica di rango e ora direttrice del dipartimento informazione per la sicurezza del governo, così come quello di Roberto Cingolani, ministro della transizione ecologica con Mario Draghi e attuale ad di Leonardo.

Al di là dei rapporti diretti della premier con Ursula Von der Leyen, ritenuti decisivi per qualsiasi soluzione, ci sono due fattori che avranno un loro peso nelle scelte finali per la squadra dei commissari, si ragiona in ambienti della maggioranza. Il primo,riguarda il ruolo dell’Italia come paese fondatore dell’Ue; il secondo, più problematico, il posizionamento della Francia di Emmanuel Macron, della Germania di Olaf Scholz e della Polonia di Donald Tusk. In questo quadro, si inserisce il lavoro costante, al momento sottotraccia, della premier. L’Italia punta in alto con Fitto e con l’obiettivo di deleghe forti come quelle che coinvolgono la gestione del Pnrr o l’agricoltura. Sicuramente, obiettivi non semplici da raggiungere.

Anche se, si ricorda ancora, il nostro commissario uscente, Paolo Gentiloni, lascerà il posto al nuovo rappresentante italiano dopo aver gestito le deleghe per gli affari economici e monetari. Deleghe comunque di peso che non mettono sul piatto la possibilità di perdere peso specifico con la nuova amministrazione. In questa logica, da Roma ci si attende un segnale forte da Bruxelles. E forse molto dipenderà anche dalle capacità di mediazione della presidente della Commissione che potrebbe tra l’altro decidere di affidare all’Italia delle deleghe specifiche che riguardano le competenze della presidenza, si ragiona ancora nella maggioranza che non smette di ricordare quanto i rapporti personali tra Meloni e Von der Leyen siano decisamente migliori rispetto a come vengono dipinti dalla stampa. La partita è dunque apertissima e si giocherà fino all’ultimo istante, tra le due leader, Giorgia e Ursula.

Resta il fatto – si rimarca in ambienti di governo – che Roma farà tutto il possibile per centrare gli obiettivi che considera prioritari e appropriati rispetto al peso del nostro Paese in Europa. In questo quadro potrebbero essere stati fatti in masseria alcuni ragionamenti sui possibili futuri assetti di governo nel caso in cui Fitto dovesse traslocare a Bruxelles. E su un punto sembra chiara, da tempo, la posizione della premier, si racconta in ambienti di maggioranza: non sarebbero previsti rimpasti o rimpastini, quindi più probabile un interim che sarà assunto dal presidente del Consiglio. Sullo sfondo la partita delle nomine Rai su cui la Lega insisterebbe per ottenere un direttore generale,o la poltrona pesante del direttore del Tg1 :una partita complessa e quanto pare ancora aperta.

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Fratelli d’Italia risale nei sondaggi: cala il Pd, stabile il M5S

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Ad aprile, la politica internazionale ha fortemente influenzato l’opinione pubblica italiana. Gli avvenimenti chiave sono stati l’avvio dei dazi da parte degli Stati Uniti, gli incontri della premier Giorgia Meloni con Donald Trump e il vicepresidente americano Vance, la guerra in Ucraina e la crisi a Gaza, oltre alla scomparsa di papa Francesco. Questi eventi hanno oscurato le vicende della politica interna, come il congresso della Lega, il decreto Sicurezza e il dibattito sul terzo mandato per i governatori.

Ripresa di Fratelli d’Italia e consolidamento del centrodestra

Secondo il sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera, Fratelli d’Italia torna a crescere, attestandosi al 27,7%, oltre un punto in più rispetto al mese precedente. Il recupero è legato all’eco positiva degli incontri internazionali della premier e alla riduzione delle tensioni interne alla maggioranza. Forza Italia si mantiene stabile all’8,2%, mentre la Lega scende all’8,2% (-0,8%).

Nel complesso, il centrodestra si rafforza leggermente, mentre le coalizioni di centrosinistra e il Campo largo registrano piccoli cali.

Opposizione in difficoltà: Pd in calo, M5S stabile

Il Partito Democratico cala ancora, arrivando al 21,1%, il punto più basso dell’ultimo anno, penalizzato da divisioni interne soprattutto sulla politica estera. Il Movimento 5 Stelle, invece, resta stabile al 13,9%, grazie al chiaro posizionamento pacifista.

Le altre forze di opposizione non mostrano variazioni rilevanti rispetto al mese precedente.

Governo e premier in lieve ripresa

Anche il gradimento per l’esecutivo cresce di un punto, raggiungendo il 41%, mentre Giorgia Meloni si attesta al 42%. Sono segnali deboli ma indicativi di un possibile arresto dell’erosione di consensi degli ultimi mesi.

I leader politici: lieve crescita per Conte e Renzi

Tra i leader, Antonio Tajani registra il peggior risultato di sempre (indice di 28), mentre Giuseppe Conte cresce di un punto, raggiungendolo. Piccoli cali si registrano anche per Elly Schlein e Riccardo Magi. In lieve risalita di un punto anche Matteo Renzi, che resta comunque in fondo alla classifica.

Più partecipazione elettorale

Un dato interessante riguarda la crescita della partecipazione: l’area grigia degli astensionisti e indecisi si riduce di tre punti. Resta da vedere se sarà un fenomeno duraturo o temporaneo.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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