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Meloni scrive a Scholz, stupita dagli aiuti alle ong

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Lo “stupore” di Palazzo Chigi per la decisione della Germania di finanziare le ong in mare e in Italia, fatto filtrare nei giorni scorsi, è stato messo nero su bianco. Una lettera, scritta da Giorgia Meloni a Olaf Scholz, che nella sostanza denuncia la mancanza di “coordinamento” con Roma per una mossa che rischia di provocare più danni che benefici, “moltiplicando” le partenze dei migranti. Mentre invece, è il punto della premier, se si vuole dare un “sostegno concreto” ai Paesi di primo approdo bisogna “concentrarsi su soluzioni strutturali”. Il vicepremier Antonio Tajani giovedì volerà a Berlino per chiedere “spiegazioni”. Il clima è invece decisamente più sereno con Parigi, dove proprio oggi il titolare della Farnesina ha incassato l’apertura della Francia ad una collaborazione sul dossier sbarchi.

Nella lettera a Scholz, datata 23 settembre, Meloni ha espresso le sue perplessità per un’iniziativa che, secondo Roma, non risolve alla radice il problema dei crescenti flussi irregolari, e soprattutto non allenta le pressioni sull’Italia. Sui fondi alle ong che si occupano di assistenza ai migranti in territorio italiano, la premier ha chiesto a Scholz “se non meriti di essere facilitata in particolare sul territorio tedesco piuttosto che in Italia”. Quanto al capitolo sui salvataggi nel Mediterraneo, Meloni ritiene che la presenza in mare delle ong abbia “un effetto diretto di moltiplicazione delle partenze di imbarcazioni precarie, che risulta un ulteriore aggravio per l’Italia e incrementa il rischio di nuove tragedie in mare”.

Più che gli aiuti alle organizzazioni non governative, la presidente del Consiglio vorrebbe da Berlino un altro tipo di sostegno: quelle “soluzioni strutturali” che l’Italia invoca da tempo con i partner Ue. A partire da “un’iniziativa con i Paesi di transito della sponda sud, che peraltro necessiterebbe di risorse inferiori rispetto a quella con la Turchia”, ha rilevato Meloni ricordando il patto favorito dall’allora cancelliera Merkel con Erdogan. La premier si è detta pronta a confrontarsi con Scholz “di persona”, al Consiglio informale di Granada, il 5 e 6 ottobre. Forte della consapevolezza, ha rimarcato, che “dopo un anno” al governo “l’Italia è più credibile e ascoltata”. Il caso ong a Roma ha provocato un fuoco di fila nei confronti di Berlino. “La Germania fermi i finanziamenti”, ha tuonato il vicepremier Matteo Salvini parlando di atto “ostile e oltraggioso”. Azione “grave” che “mette in difficoltà un Paese in teoria amico”, la posizione già espressa dal ministro della Difesa Guido Crosetto. La cancelleria non si è pronunciata nel merito sulla lettera di Meloni, limitandosi a riferire che “verrà data una risposta”.

Ma sulle ong i tedeschi tengono il punto. In un ennesimo botta e risposta proprio con Crosetto, il portavoce del ministero degli Esteri tedesco Sebastian Fischer si è detto “sorpreso” dalle critiche. La linea tedesca è sempre quella di dare la priorità ai salvataggi in mare, a cui contribuiscono anche le ong, ed in ogni caso questi aiuti sono il risultato di una “decisione del Bundestag presa già diverso tempo fa”, di cui i “partner italiani furono informati”, ha spiegato. Sul dossier migranti ci sono altri punti di frizione tra Roma e Berlino. Ad esempio il blocco navale per fermare i barconi, che la ministra degli Esteri Annalena Baerbock ha bocciato, affermando che “violerebbe la Convenzione europea sui diritti umani”.

C’è poi la partita del nuovo Patto sui migranti, con implicazioni anche sul tema dei movimenti secondari. Su questo punto Berlino sostiene di avere troppi richiedenti asilo per accogliere altri migranti, a meno che l’Italia non si occupi del primo screening secondo le regole di Dublino. Anche la Francia ha blindato le sue frontiere con l’Italia, respingendo gli irregolari a Ventimiglia. Tajani, che ha definito questa misura “sbagliata”, ne ha discusso a Parigi con la collega Catherine Colonna. E comunque nella capitale francese il segnale più forte verso Roma è di apertura. “Siamo solidali con l’Italia, è una questione che richiede una risposta europea con una cooperazione rafforzata”, ha sottolineato la ministra francese, ribadendo il messaggio pronunciato 24 ore prima da Emmanuel Macron. Una posizione che “il governo ha apprezzato”, ha spiegato Tajani, dicendosi convinto che i due Paesi partner lavorando insieme possano contribuire alla “soluzione”.

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Cronache

Strasburgo: Getty restituisca la statua dell’Atleta di Lisippo all’Italia

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L’Italia ha tutto il diritto di confiscare e chiedere la restituzione della statua greca in bronzo dell’Atleta vittorioso attribuita a Lisippo che si trova attualmente nel museo della la villa Getty a Malibu, in California. Lo ha stabilito oggi all’unanimità la Corte europea dei diritti umani respingendo il ricorso presentato dalla fondazione Paul Getty per violazione della protezione della proprietà.

Nella sua sentenza, la Corte di Strasburgo ha quindi riconosciuto la legittimità dell’azione intrapresa dalle autorità italiane per recuperare l’opera d’arte che venne rinvenuta nelle acque dell’Adriatico, al largo delle Marche, nel 1964. E che, dopo varie vicissitudini, venne acquistata dalla fondazioni Getty nel 1977 per approdare infine al museo di Malibu. I giudici, in particolare, hanno sottolineato che la protezione del patrimonio culturale e artistico di un Paese rappresenta una priorità anche dal punto di vista giuridico. Inoltre, diverse norme internazionali sanciscono il diritto di contrastare l’acquisto, l’importazione e l’esportazione illecita di beni appartenenti al patrimonio culturale di una nazione.

La fondazione Getty, sottolinea inoltre la Corte, si è comportata “in maniera negligente o non in buona fede nel comprare la statua nonostante fosse a conoscenza delle richieste avanzate dallo Stato italiano e degli sforzi intrapresi per il suo recupero”. Da qui la constatazione che la decisione dei giudici italiani di procedere alla confisca del bene conteso “è stata proporzionata all’obiettivo di garantirne la restituzione”.

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Esteri

Macron: se i russi sfondano non escludere le truppe

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Lo spettro delle armi proibite torna ad affacciarsi sulla guerra in Ucraina. La denuncia è arrivata dagli Stati Uniti, secondo cui i russi hanno utilizzato un agente chimico soffocante, la cloropicrina, per ottenere “conquiste sul campo di battaglia”. Le forze di invasione, al di là dei metodi più o meno convenzionali utilizzati, procedono con un’avanzata costante nel Donbass, ingaggiando con il nemico pesanti combattimenti intorno ad Avdiivka. E’ uno scenario che preoccupa gli alleati di Kiev, a partire dalla Francia, tanto che Emmanuel Macron ha evocato ancora una volta la possibilità di inviare truppe, se Mosca sfondasse e gli ucraini lo richiedessero esplicitamente.

L’uso di armi chimiche come “metodo di guerra” è stato segnalato dal Dipartimento di Stato Usa, che ha parlato di casi “non isolati”, in violazione di una convenzione internazionale che ne vieta l’utilizzo, firmata anche dalla Russia. In particolare la cloropicrina, che sarebbe servita per “allontanare le forze ucraine dalle posizioni fortificate”, è una sostanza ampiamente utilizzata durante la prima guerra mondiale, che provoca irritazione ai polmoni, agli occhi e alla pelle e può causare vomito e nausea. Gli ucraini, inoltre, hanno riferito di aver dovuto fronteggiare numerosi attacchi chimici negli ultimi mesi. Secondo un rapporto dell’agenzia Reuters, almeno 500 soldati sono stati curati per l’esposizione a gas tossici e che uno è morto dopo essere soffocato dai gas lacrimogeni. Il Cremlino ha respinto le accuse come “assolutamente infondate e non supportate da nulla” e si è concentrato sui successi delle truppe sul terreno.

Il ministero della Difesa ha rivendicato la conquista del villaggio di Berdichy, nel Donetsk, su una strada strategica per il rifornimento delle truppe ucraine. L’area è quella di Avdiivka, dove i difensori sono costretti a schierare le riserve. Il principale obiettivo in questa direttrice resta Chasiv Yar, ormai carbonizzata dopo mesi di bombardamenti: dalla collina che la domina l’Armata sarebbe in grado di colpire la spina dorsale della difesa ucraina. La potenza di fuoco è impressionante. Solo ad aprile, secondo Volodymyr Zelensky, il nemico ha lanciato “3.800 bombe e missili”. Mentre Human Rights Watch ha denunciato che i russi hanno giustiziato almeno 15 soldati ucraini mentre tentavano di arrendersi, come già evidenziato da altre fonti a fine 2023. Per contenere l’avanzata delle truppe di Putin gli occidentali tentano di aumentare e accelerare la fornitura di armi a Kiev, ma secondo Parigi questo approccio potrebbe non essere più sufficiente.

E’ Macron, in un’intervista all’Economist, a mettere le carte in tavola: “Se i russi sfondassero in prima linea, se ci fosse una richiesta ucraina – cosa che oggi non avviene – dovremmo legittimamente porci la domanda” di un eventuale invio di truppe al fianco degli ucraini. “Escluderlo a priori significa non imparare la lezione degli ultimi due anni”, quando i Paesi della Nato avevano inizialmente escluso l’invio di carri armati e aerei prima di cambiare idea, ha aggiunto il presidente francese. Che già a febbraio, quando aveva tirato fuori questa ipotesi per la prima volta, era stato sconfessato dalla maggior parte degli alleati (inclusi Stati Uniti, Italia e Germania). Mosca ha liquidato le dichiarazioni di Macron con sarcasmo, affermando che “sono in qualche modo legate ai giorni della settimana, e questo è il suo ciclo”.

Ma l’inquilino dell’Eliseo ragiona sul conflitto in Ucraina con uno sguardo all’Europa del futuro, che emergerà dopo il voto di giugno. E la sua ambizione è quella di guidare un processo di rinnovamento che porti l’Ue a diventare una potenza globale. Rafforzata, tra le altre cose, da una difesa comune. La minaccia russa al Vecchio continente è rilanciata anche dalla Nato che si dice “profondamente preoccupata” per le recenti “attività maligne” di natura ibrida, sull’onda dei casi recenti che hanno portato all’indagine e all’incriminazione di più individui in Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca: “Una campagna sempre più intensa di attività che Mosca continua a svolgere in tutta l’area euro-atlantica, anche sul territorio dell’Alleanza e attraverso intermediari”. Sul fronte della diplomazia, intanto, la Svizzera ha invitato più di 160 delegazioni al vertice a Lucerna a giugno ma l’invito non è stato esteso alla Russia. Che non a caso ha commentato: “Negoziati di pace senza di noi non hanno senso”.

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Neonata con rara malformazione nata a Salerno e gestita con competenza dai medici

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Parto eccezionale all’ospedale di Salerno. Una donna di 38 anni è stata dimessa dal Reparto di Gravidanza a Rischio dell’Aou San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, diretto dal dottor Mario Polichetti, dopo aver dato alla luce una neonata con una rarissima malformazione. La paziente era stata trasferita dall’ospedale di Polla al Ruggi dove ha partorito sua figlia che sta bene anche se è tuttora ricoverata nel reparto di Neonatologia, diretto dalla dottoressa Graziella Corbo, per ulteriori controlli. La neonata, di quasi 3 chili, è portatrice di una condizione genetica molto rara, denominata ‘Situs Inversus’, ovvero un collocamento anomalo degli organi del torace e dell’addome con inversione di posizione, rispetto alla loro sede usuale.

La piccola paziente, ha infatti il cuore, lo stomaco e la colecisti a destra ed una malformazione della vena cava, vicariata dalla vena emiazygos. “Il parto in questione – spiega Polichetti – è un evento davvero straordinario e deve essere gestito con estrema competenza, per evitare eventuali complicazioni, ma siamo fieri ed orgogliosi che si sia concluso nel migliore dei modi”.

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