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Meloni: ricollocarli non basta, i migranti vanno fermati

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Fermare gli arrivi e non fissarsi sul nodo dei ricollocamenti, che altro non sono che una “coperta di Linus”. Smetterla con gli interventi che scaricano i costi sui governi successivi, come ha fatto Giuseppe Conte che ha speso l’equivalente di “4-6 manovre” con il Superbonus. Giorgia Meloni torna nel salotto tv di Bruno Vespa e rivendica, da Caivano al reddito di cittadinanza, l’azione del governo. Ma torna a chiamare in causa l’Europa che ancora latita sulla risposta comune da dare alla gestione dei migranti. Il filo che la muove, una sfida “entusiasmante” ma anche una “prova del nove” dopo tanti anni di opposizione, è sempre l’interesse nazionale”, ripete più volte, perché non si deve lavorare mai fuori dai confini “contro l’Italia”. La stoccata è alle opposizioni (“chiedono il soccorso esterno”), che si augura invece possano convergere sulla riforma del premierato che sarà presentata a breve. Ma anche a Paolo Gentiloni che, torna all’attacco la premier, nell’ultimo anno ha fatto diverse interviste “per redarguire” il governo, con un atteggiamento “più critico che collaborativo”.

Tutt’altro da quello che si aspetta dal suo predecessore, Mario Draghi, ora che gli è stato affidato il nuovo incarico di preparare un report sulla competitività Ue da parte di Ursula von der Leyen. Una scelta che “non è una iniziativa contro di noi”, anzi, “una buona notizia. Perché Draghi “è uno degli italiani più autorevoli che abbiamo, presumo che possa avere un occhio di riguardo per la nostra nazione”. Proprio quello che rimprovera a Gentiloni di non aver avuto. Ma manda anche un messaggio agli alleati la premier. Sia sulla manovra – le priorità sono “redditi, famiglie, sanità” poi “con i margini che abbiamo” si vedrà quali altre scelte si potranno fare – sia sulle Europee, che rappresentano l’altra grande sfida di qui alla prossima estate. “Il dibattito sulle future coalizioni – ribadisce – è molto prematuro”, a Bruxelles i giochi si fanno dopo, voti alla mano. Anche se, dice proprio mentre Manfred Weber ribadisce la bontà della maggioranza Ursula, “io di solito non sono avvezza fare accordi con la sinistra”. Parole che dovrebbero piacere soprattutto a Matteo Salvini, tornato a chiedere che in Europa “le tre famiglie della destra si mettano insieme”.

Netta anche la posizione sulle banche, nonostante la lettera della Bce: “Nessuna retromarcia”, assicura la premier, che rivendica la bontà della tassazione degli extraprofitti ma apre a “correttivi”. Una notizia accolta con favore da Antonio Tajani, che aveva mal digerito, come tutta Forza Italia, di essere stato tenuto all’oscuro della mossa. Il leader di Fi vede il bicchiere mezzo pieno perché i margini per le modifiche, avverte la premier, ci sono solo a patto che non venga ridotto il gettito (“qualcosa meno di tre miliardi”). Che serve in vista della manovra. Ma sono i migranti il principale cruccio dell’esecutivo. Nessuna “sorpresa” dice Meloni a Vespa, per la scelta della Germania di fermare gli arrivi dall’Italia o della Francia di rafforzare i confini. “Ce lo aspettavamo in qualche modo” perché “tempo fa avevamo comunicato ai nostri partner che non potevamo più riaccogliere automaticamente i cosiddetti ‘dublinanti’, perché i nostri hotspot sono pieni”, spiega mentre a Lampedusa si sta scatenando il caos tra i migranti, arrivati quasi a quota 7mila nel centro sull’isola.

Nessuna recriminazione nei confronti di Berlino e Parigi, la premier non usa i toni del passato ma torna a chiedere, con forza, l’intervento comunitario. “La questione dei ricollocamenti”, che ha fatto scattare l’azione tedesca, “è secondaria, sono state ricollocate pochissime persone in questi mesi”, ripete la premier: “La questione non è come scarichiamo il problema, è fermare gli arrivi in Italia”. E su questo, nonostante qualche piccolo passo avanti, non ci sono ancora state “risposte concrete”.

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Economia

Nagel apre la partita sul Leone, Mps non si ferma

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Mediobanca gioca la sua mano nella partita del risiko bancario proponendo di scambiare la quota del 13% nelle Generali con la totalità delle azioni di Banca Generali. Un’operazione che da un lato trasformerebbe in un asset industriale una partecipazione finanziaria con cui i manager di Piazzetta Cuccia hanno sempre inciso sulle scelte strategiche del Leone e dall’altro aprirebbe nuovi scenari sugli assetti di controllo del grande ‘forziere’ del risparmio italiano. La mossa, di cui l’ad di Mediobanca Alberto Nagel (foto Imagoeconomica in evidenza) ha sottolineato la valenza industriale e la coerenza con il piano di Piazzetta Cuccia, ha però anche l’effetto non secondario di cercare di sottrarre la banca all’abbraccio sgraditissimo di Mps, la cui scalata potrebbe diventare più costosa se il mercato crederà alle promesse di Nagel e più complessa in uno scenario di integrazione a tre.

“L’operazione – scrivono gli analisti di Bofa – aggiunge incertezza e uno strato di complessità al progetto di un terzo polo Mps-Mediobanca”. Non la vedono così a Siena dove tira tutt’altro che aria di resa. Non solo l’offerta su Banca Generali viene giudicata non “ostativa” della scalata a Mediobanca ma viene anzi ritenuta in grado di “rafforzare il valore industriale” dell’operazione di Mps, che punta a aumentare la sua presenza nel wealth management e valuta “non strategica” e cedibile la quota nel Leone. Lovaglio può contare sul sostegno dei suoi grandi sponsor. Anzitutto del governo, dove fra i meloniani Banca Generali viene considerata la “risposta scaltra” di Nagel al Monte e si auspica che l’ops di Mps “vada in porto”.

Ma anche di Caltagirone e Delfin, che insieme hanno il 27,2% di Mediobanca e il 20% di Mps, e non appaiono intenzionati a deporre le armi, come dimostra l’astensione dei rappresentanti di Delfin nel cda di Mediobanca e la battaglia che potrebbero dare in Generali, anche sollevando il tema del conflitto di interesse di Mediobanca, i consiglieri del Leone eletti nella lista Caltagirone. Si tratterà di vedere se, alla prova del mercato, Nagel sarà in grado di convincere i suoi azionisti che è meglio una Mediobanca indipendente e con una solida presenza nel wealth management ad un matrimonio con Mps, che con Piazzetta Cuccia punta invece a diversificare il suo business e a creare il terzo polo bancario. Ma anche se saprà spingere i soci di Banca Generali, a partire dal Leone, a consegnare le azioni. A caldo la Borsa – dove viene riconosciuto il senso industriale e finanziario dell’ops per Mediobanca ma meno per Generali e Banca Generali – ha risposto con una certa freddezza, facendo scendere Piazzetta Cuccia (-0,8%) e Generali (-1,1%) e spingendo Mps (+2,1%).

Ma il piano di Mediobanca prevede anche l’addio a Trieste, con metà della quota che verrebbe rilevata dal Leone e metà che si dissolverebbe nel mercato. Per Generali – dove Delfin ha quasi il 10%, Caltagirone il 6,8% e Benetton il 4,8% – si aprirebbe l’esigenza di puntellare la compagine tricolore che ne difenda l’italianità, in una fase in cui il governo ha acceso un faro sull’accordo nell’asset management con Natixis. Una partita su cui potrebbero avere qualcosa da dire Intesa, che domani investirà il suo ceo Carlo Messina con un nuovo mandato triennale, e soprattutto Unicredit, che ha già rastrellato il 6,7% del capitale e ha votato con Caltagirone e Delfin in assemblea, auspicando un cambio di passo a Trieste. Una partita che potrebbe incrociarsi con l’ops su Banco Bpm, partita oggi con la consegna di sole 798 azioni. L’operazione è fortemente a rischio dopo i paletti imposti dal governo con il golden power, in relazione ai quali Unicredit, che per ora non ha impugnato il provvedimento, ha chiesto chiarimenti. Nel frattempo il cda di Gae Aulenti ha rinviato al 12 maggio la presentazione dei suoi risultati, inizialmente in programma il 7, stesso giorno di quelli di Banco Bpm.

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Esteri

Rubio a Lavrov: è ora di mettere fine a guerra senza senso

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Il segretario di Stato Marco Rubio ha detto al ministro degli esteri russo Serghei Lavrov che è il momento di mettere fine alla “guerra senza senso” in Ucraina. Rubio, in una recente intervista, ha definito la settimana in corso “cruciale” per capire le intenzioni di Russia e Ucraina, e per gli Stati Uniti per decidere se continuare o meno lo sforzo per la pace.

Nel corso del colloquio telefonico con Lavrov, Rubio ha messo in evidenza che “gli Stati Uniti sono seriamente intenzionati a porre fine a questa guerra insensata”, riferisce il Dipartimento di stato. Il segretario di stato ha quindi discusso con il ministro degli esteri russo dei “prossimi passi nelle trattative di pace e della necessità di porre fine alla guerra ora”.

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Esteri

La squadra di Merz, il paladino di Kiev agli Esteri

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L’era Merkel è lontana e anche la politica, per molti troppo prudente, di Olaf Scholz è alle spalle. Friedrich Merz ufficializza la squadra dei futuri ministri conservatori e punta, per tirare la Germania fuori dalla crisi, su nomi nuovi: due top manager per l’economia e la digitalizzazione del Paese, un mastino bavarese agli Interni per la svolta sull’immigrazione, e un esperto di Difesa versato in diplomazia, fautore del massimo sostegno a Kiev, al ministero degli Esteri. Con queste scelte il cancelliere in pectore, che dovrebbe essere eletto al Bundestag il 6 maggio, si è detto pronto ad affrontare le sfide dei prossimi anni e le molte incognite che assillano un’Europa “minacciata” e incerta del futuro.

“Il supporto all’Ucraina è necessario per preservare la pace e la libertà in Germania”, ha scandito prendendo la parola al piccolo congresso di partito dei democristiani, che hanno approvato a Berlino il contratto di coalizione firmato coi socialdemocratici di Lars Klingbeil. “Consideriamo il nostro aiuto all’Ucraina come uno sforzo congiunto di europei e americani dalla parte dell’Ucraina. Non siamo parte in causa in questa guerra e non vogliamo diventarlo, ma non siamo neanche terzi estranei o mediatori tra i fronti. Non ci devono essere dubbi sulla nostra posizione: senza se e senza ma, dalla parte di questo paese attaccato”, ha incalzato ribadendo il rifiuto di una pace imposta. Merz ha anche ribadito di non volere alcuna guerra commerciale con gli Usa, e di esser pronto a spendersi “con ogni forza per un mercato aperto”. Sul fronte migranti, ha assicurato la svolta, che dovrà strappare la Germania alla seduzione dell’ultradestra: “Dal giorno numero uno proteggeremo al meglio le nostre frontiere, con respingimenti massicci”.

Per realizzare questi piani, Merz ha scelto Johann Wadephul, 62 anni, come ministro degli Esteri. L’uomo della Cdu che in passato ha spinto per un sostegno pieno a Kiev, contestando le remore di Scholz e spingendo ad esempio per la consegna dei Taurus, che il Kanzler uscente ha sempre negato a Zelensky. Ex riservista dell’esercito, giurista e poi deputato dal 2009, è un fidatissimo di Merz, e viene ritenuto un grosso esperto di difesa: avrebbe potuto essere anche ministro del settore che andrà invece all’SPD e resterà a Boris Pistorius. Agli Interni sarà nominato il noto volto della Csu bavarese Alexander Dobrindt, “il nostro uomo di punta a Berlino per la questione centrale della svolta sui migranti”, nelle parole di Markus Soeder che ha presentato i tre ministri in quota del suo partito.

La stampa tedesca ha accolto con interesse anche le nomine della brandeburghese Katherina Reiche, 51 anni, all’Economia – top manager del settore energetico, e proveniente dall’est – e quella di Karsten Wildberger, 55 anni, ceo di Mediamarkt e Saturn, colossi dell’elettronica, designato alla Digitalizzazione all’Ammodernamento dello Stato. All’Istruzione andrà Karen Prien, dello Schleswig-Holstein, prima ebrea a ricoprire un incarico da ministra, secondo quanto ha scritto Stern. In squadra ci sono poi Patrick Schnieder ai Trasporti, Nina Warken alla Salute, Thorsten Frei come ministro per la Cancelleria e l’editore conservatore Wolfram Weimer come ministro di Stato alla Cultura. Mentre è stato ancora Soeder a ostentare la scelta del suo partito per la ministra alla Ricerca e all’Aerospazio, Dorothea Baer, e il ministero dell’Alimentazione Agricoltura e Patria: “Dopo un vegano verde arriva un macellaio nero”. Basta col tofu, ha ironizzato il populista bavarese. Il governo di Merz sarà completo soltanto quando i socialdemocratici ufficializzeranno i loro nomi, il 5 maggio. Il partito di Klingbeil attende il referendum della base, che dovrà pronunciarsi sul patto con Merz: il risultato è atteso il 30 aprile. E solo se sarà positivo Merz sarà eletto cancelliere al Bundestag, il 6 maggio. Ma all’Eliseo non hanno dubbi: è stata già annunciata una sua visita a Parigi il 7.

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