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Mattarella alla cerimonia per ricordare i magistrati uccisi dalle mafie: riforma Csm rimuova prassi inaccettabili

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“E’ necessario che il tracciato della riforma sia volto a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacita’ individuali”. Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella parlando della riforma del Csm dal Quirinale.

La dialettica fra posizioni diverse, il cui valore e’ indiscutibile, come espressione di pluralismo, rappresenta una ricchezza per le nostre istituzioni. Questa dialettica diventa deleteria allorquando le differenze si traducono in contrapposizioni sganciate dai valori costituzionali di riferimento poiche’ fanno perdere di vista l’interesse comune ad avere una giurisdizione qualificata e indipendente. Appare davvero necessario un “rinnovamento culturale per rigenerare valori” come pure e’ stato scritto nei giorni scorsi”. Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella in una cerimonia per gli anniversari dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Giudo Galli, Mario Amato, Gaetano Costa e Rosario Livatino.

 

Di seguito l’ntervento del Presidente della Repubblica Sergio Matterella in occasione della cerimonia commemorativa del quarantesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato e Gaetano Costa e del trentennale dell’omicidio di Rosario Livatino

Rivolgo un saluto cordiale al Ministro, al Consiglio Superiore e al suo Vice Presidente, al Consiglio direttivo della Scuola Superiore e al suo Presidente con gli auguri per il così importante compito loro affidato per il prossimo quadriennio.

Rivolgo anche un augurio anche al professor Donati, eletto Presidente della Rete europea dei Consigli di giustizia.

Un saluto al Presidente e al Procuratore della Cassazione.

In quest’anno – così difficile per la Magistratura italiana – cade il quarantesimo anniversario dell’uccisione di Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato, Gaetano Costa, e il trentennale dell’assassinio di Rosario Livatino.

Abbiamo visto con commozione nel filmato i servizi dell’epoca, di quei giorni: magistrati che hanno perso la vita a causa del loro impegno nel contrasto alla violenza terroristica e mafiosa.  

Ai familiari oggi presenti rivolgo un saluto deferente, ringraziandoli per essere venuti: la loro presenza onora e rende più significativo questo momento e questo incontro. A tutti i familiari esprimo la riconoscenza della Repubblica per il servizio esemplare che queste figure di magistrati hanno reso per la salvaguardia della nostra società e delle sue istituzioni democratiche.

L’identità della nostra Repubblica è stata drammaticamente segnata dagli anni del terrorismo, per sconfiggere il quale l’Ordine Giudiziario ha fornito un contributo decisivo, così come – a tutt’oggi – accade per il contrasto alla criminalità mafiosa, duramente perseguita dall’azione decisa della Magistratura e delle Forze dell’Ordine.

Girolamo Minervini e Nicola Giacumbi furono uccisi perché simbolo dello Stato democratico e inclusivo, che per risolvere i conflitti segue i principi della Costituzione, secondo le regole proprie dello Stato di diritto.

Guido Galli e Mario Amato vennero colpiti per reagire alle inchieste giudiziarie condotte, contro il terrorismo rosso e contro quello nero, con coraggiosa imparzialità e assoluta sobrietà.

Gaetano Costa e Rosario Livatino furono vilmente assassinati, a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, per l’impegno da loro profuso costantemente nel contrastare la criminalità mafiosa con coraggio, con determinazione e con efficacia.

Onoriamo la memoria di questi valorosi magistrati – che, come tanti altri, hanno dolorosamente punteggiato la nobile storia della Magistratura italiana – per come hanno vissuto e interpretato la funzione loro affidata al servizio della giustizia e del Paese. Erano consapevoli dei rischi cui erano esposti e li hanno coraggiosamente affrontati per rispetto della dignità propria e di quella del loro compito di magistrati. Hanno svolto la loro attività, con coraggiosa coerenza e autentico rigore, senza rincorrere consenso ma applicando la legge. Fedeli soltanto alla Costituzione.

È questa l’unica fedeltà richiesta ai servitori dello Stato a tutela della democrazia su cui si fonda la nostra Repubblica.

Vorrei sottolineare – con lo sguardo virtualmente rivolto ai giovani magistrati che ci seguono in streaming – che si tratta dell’unica fedeltà cui attenersi e alla quale sentirsi vincolati.

Quest’anno salutiamo l’avvio del nuovo quadriennio della Scuola Superiore qui, al Quirinale, anziché a Scandicci.

La scelta di questa diversa modalità, determinata dalle misure di contrasto alla diffusione del virus, consente comunque di recuperare il senso di una riflessione sui percorsi formativi che la Magistratura deve, necessariamente, assicurare affinché i fondamentali valori dell’autonomia e dell’indipendenza trovino oggi, come nel passato, piena attuazione.

La Scuola Superiore, particolarmente in questo momento, assume un ruolo decisivo per la formazione etica e professionale dei magistrati. Appare, pertanto, necessario che dedichi sessioni di studio apposite ai doveri di correttezza e trasparenza nell’esercizio delle funzioni giudiziarie; affinché siano tradotti nei comportamenti a cui è tenuto ciascun magistrato, non soltanto nello svolgimento dell’attività giudiziaria ma anche nel servizio reso negli organi di governo autonomo.

Va espresso apprezzamento per l’attività che la Scuola compie anche per diffondere e promuovere il dibattito sull’evoluzione giurisprudenziale, che riveste valore imprescindibile per l’ordinamento, purché essa sia il frutto di un percorso di meditata serietà nell’approfondimento e di ponderazione nelle scelte. Ad esso sono estranee estemporaneità e avventatezza.

In un momento complesso come quello che la nostra società sta vivendo, avverto il dovere di sottolineare che la coerenza giurisprudenziale nell’interpretazione delle norme rafforza la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario, giacché dà attuazione al principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 della nostra Costituzione, assicurando la parità di trattamento tra casi simili. Occorre, infatti, aver ben chiaro il confine che separa l’interpretazione della legge dall’arbitrio e dalla ricerca della pura originalità nella creazione della regola, che determinano spesso un disorientamento pericoloso dovuto all’imprevedibilità della risposta giudiziaria.

I nostri cittadini hanno diritto a poter contare sulla certezza del diritto e sulla prevedibilità della sua applicazione rispetto ai loro comportamenti. Questo vale – a partire, naturalmente, anzitutto dalle scelte del Legislatore e fino all’attività di interpretazione – per la giustizia civile come per quella penale, per quella amministrativa come per quella contabile: non possono essere costruite ex post fattispecie e regole di comportamento.

Va precisato, a questo riguardo, che la puntualità e la chiarezza delle fattispecie e della loro interpretazione, lungi dal ridurre, accrescono il rigore e l’efficacia della giustizia.

Più volte, nel corso del tempo, è stato ricordato come l’alto livello di preparazione professionale rappresenti elemento portante su cui si regge l’indipendenza dell’Ordine Giudiziario. L’elevata professionalità consolida la legittimazione della Magistratura e dell’attività da essa posta in essere, in ogni ufficio giudiziario.

Nel nostro Paese – come in ogni altro – c’è costantemente bisogno di garantire il rispetto della legalità. Anche per questo la Magistratura deve necessariamente impegnarsi a recuperare la credibilità e la fiducia dei cittadini, così gravemente messe in dubbio da recenti fatti di cronaca.

In amaro contrasto con l’alto livello morale delle figure che oggi ricordiamo.

La documentazione raccolta dalla Procura della Repubblica di Perugia – la cui rilevanza va valutata nelle sedi proprie previste dalla legge – sembra presentare l’immagine di una Magistratura china su se stessa, preoccupata di costruire consensi a uso interno, finalizzati all’attribuzione di incarichi.

Questo fenomeno si era disvelato nel momento in cui il CSM è stato chiamato, un anno addietro, ad affrontare quanto già allora emerso. Quel che è apparso ulteriormente fornisce la percezione della vastità del fenomeno allora denunziato; e fa intravedere un’ampia diffusione della grave distorsione sviluppatasi intorno ai criteri e alle decisioni di vari adempimenti nel governo autonomo della Magistratura.

Sono certo che queste logiche non appartengono alla Magistratura nel suo insieme, che rappresenta un Ordine impegnato nella quotidiana elaborazione della risposta di giustizia rispetto a una domanda che diventa sempre più pressante e complessa.

Desidero sottolineare, anche in questa circostanza, che a portare allo scoperto le vicende, che provocano così grave sconcerto nella pubblica opinione, è stata un’azione della Magistratura, che ha svolto la propria funzione senza esitazioni o remore di alcun tipo.

La stragrande maggioranza dei magistrati è estranea alla “modestia etica” – di cui è stato scritto nei giorni scorsi – emersa da conversazioni pubblicate su alcuni giornali e oggetto di ampio dibattito nella pubblica opinione. E, anche per questo, non si può ignorare il rischio che alcuni attacchi alla Magistratura nella sua interezza siano, in realtà, strumentalmente svolti a porne in discussione l’irrinunciabile indipendenza.

Indipendenza che ho, per dovere costituzionale a me affidato, il compito di tutelare con determinazione.

Non può essere, però, in alcun modo, sottovalutato che queste vicende hanno gravemente minato il prestigio e l’autorevolezza dell’intero Ordine Giudiziario, la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono – ripeto – indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica.

Anche in questa occasione va ricordato che l’indipendenza e la totale autonomia dell’Ordine Giudiziario sono affermati nelle norme della Costituzione ma trovano il loro presidio nella coscienza dei nostri concittadini; e questo presidio, oggi, appare fortemente indebolito.

Rinvigorirlo spetta soprattutto ai magistrati, a ciascuno di essi, sul piano sia dell’impegno professionale sia dei comportamenti personali.

La limpidezza del modo di agire anche nella vita associativa, e la credibilità in tutte le decisioni che riguardano il Consiglio Superiore – dalle nomine agli avanzamenti, ai provvedimenti disciplinari e, prima ancora, alle candidature al Consiglio – costituiscono per i cittadini un metro di valutazione della trasparenza e della credibilità anche delle decisioni assunte dalla Magistratura nel rendere giustizia.

Tornano con grande forza le parole – che poc’anzi il Vice Presidente Ermini ha ricordato – di Rosario Livatino: la limpidezza è un elemento essenziale per la vita dell’ordine giudiziario.

Questo è il momento di dimostrare, con coraggio, di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile.

E’ indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati.

Come per qualunque settore di impegno collettivo, appartiene alla normalità la varietà delle prospettive e delle posizioni sui temi della organizzazione della giustizia e sul valore della giurisdizione.

La dialettica fra posizioni diverse, il cui valore è indiscutibile, come espressione di pluralismo culturale, rappresenta una ricchezza per le nostre istituzioni.

Questa dialettica diventa, tuttavia, deleteria allorquando le differenze si traducono in contrapposizioni sganciate dai valori costituzionali di riferimento poiché fanno perdere di vista l’interesse comune ad avere una giurisdizione qualificata e indipendente. Appare davvero necessario un “rinnovamento culturale per rigenerare valori” come pure è stato scritto nei giorni scorsi.

Il compito primario assegnato dalla Costituzione al C.S.M. impone, in modo categorico, che si prescinda dai legami personali, politici o delle rispettive aggregazioni, in vista del dovere di governare l’organizzazione della Magistratura nell’interesse generale.

Sono state preannunciate modifiche normative che dovranno necessariamente articolarsi lungo il tracciato delineato della Costituzione. Indipendenza e autonomia dell’Ordine Giudiziario sono principi fondamentali, – ripeto – irrinunziabili per la Repubblica. E di ciò andrà tenuto conto.

È necessario che il tracciato della riforma sia volto a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali.

Occorre altresì recuperare la consapevolezza che fra i doveri di ciascun magistrato rientra l’attiva partecipazione al governo autonomo della Magistratura in ogni sua articolazione.

Tutto questo si inserisce nell’ambito della doverosa responsabilità nell’esercizio di pubbliche funzioni, nel rispetto rigoroso dei principi e delle regole della Costituzione.

A questo riguardo – ad esempio – si odono talvolta esortazioni, rivolte al Presidente della Repubblica, perché assuma questa o quell’altra iniziativa, senza riflettere sui limiti dei poteri assegnati dalla Costituzione ai diversi organi costituzionali; e senza tener conto di essi.

In questo modo si incoraggia una lettura della figura e delle funzioni del Presidente della Repubblica difforme da quanto previsto e indicato, con chiarezza, dalla Costituzione.

Il Presidente eletto dal primo Parlamento repubblicano – Luigi Einaudi – ebbe a dichiarare che intendeva lasciare al suo successore “immuni da ogni incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”: non intendeva cioè trasmettere una sfera di compiti e poteri inferiore a quella affidatagli dalla Costituzione.

Sono stato, e rimango, costantemente attento a quell’aspetto e – in base al medesimo criterio – ho ritenuto, e ritengo, di avere il dovere di non pretendere di ampliare quella sfera al di fuori di quanto previsto dalla Costituzione e dalla legge.

Non esistono motivazioni contingenti che possano giustificare l’alterazione della attribuzione dei compiti operata dalla Costituzione: qualunque arbitrio compiuto in nome di presunte buone ragioni aprirebbe la strada ad altri arbitri, per cattive ragioni.

Vorrei ribadire che la dialettica proficua tra i poteri si esprime in confronto necessariamente collaborativo. Gli ambiti rispettivi di spettanza non sono recinti da contrapporre gli uni agli altri e di cui cercare di erodere i confini, sottraendo spazi di competenza a chi ne ha titolo in base alla Costituzione.

Si tratta di un principio basilare nel sistema costituzionale, insito nelle regole fondamentali della democrazia. Non vi è spirito di corpo o desiderio di affermare il ruolo e l’influenza del potere che si impersona, o di cui si fa parte, che possa giustificare queste distorsioni.

Questo vale costantemente, per tutti e per ciascuno.

Ci troviamo in una fase in cui l’Italia è chiamata a un impegno corale di ripresa, dopo la drammatica emergenza della pandemia – tuttora presente – e le sue conseguenze, di salute, economiche e sociali.

All’intera società è richiesto il rispetto di un’etica civile che chiama tutti alla responsabilità: ogni cittadino, ogni istituzione, ogni settore sociale.

A tutti e a ciascuno è richiesto il coraggio di abbandonare atteggiamenti fondati su prospettive limitate, di corto respiro, che, distorcendo la vita delle istituzioni, rischiano di delegittimarle.

È un dovere istituzionale che grava su ciascuno.

E che non può essere eluso.

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Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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‘Commemorazione di Gramsci, bandiere rosse vietate’

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“Bandiere rosse vietate alla commemorazione di Antonio Gramsci”. Lo sostiene Rifondazione comunista, in una nota firmata dal co-segretario della federazione romana del partito, Giovanni Barbera. Lo stop sarebbe stato dato dalla direzione del Cimitero Acattolico di Roma, dove riposano le spoglie di Gramsci.

“Durante la commemorazione dell’anniversario della morte di Antonio Gramsci – scrive Barbera – si è consumato un atto di censura senza precedenti. Per la prima volta, in decenni di celebrazioni, è stato impedito l’ingresso delle nostre bandiere rosse, che da sempre, nel rispetto della memoria storica, hanno accompagnato il ricordo di Gramsci”. La spiegazione del divieto, continua Barbera, offerta dalla direttrice del cimitero è stata che “il colore rosso sarebbe divisivo”.

Arrivando così a vietare “perfino l’uso di un semplice drappo rosso, senza scritte né simboli”. Alla cerimonia – hanno raccontato altri presenti – ha partecipato almeno un centinaio di persone. Fra loro molti esponenti politici, con delegazioni anche del Pd (composta da Cecilia D’Elia, Michele Fina, Roberto Morassut, Andrea Casu ed Eugenio Marino) e di Sinistra Italiana (guidata da Marilena Grassadonia). Una commemorazione “partecipata, più degli anni passati, e tranquilla – è stato il racconto – che si è chiusa con l’esecuzione di un brano musicale”.

Fra i rappresentanti delle altre forze politiche c’è chi ha confermato che è stato chiesto di non portare bandiere di partito nel cimitero, senza però che questo abbia sollevato particolari polemiche. Qualcuno aveva la bandiera della pace, mentre simboli e nomi delle forze politiche erano comunque presenti sugli omaggi lasciati sulla tomba di Gramsci: mazzi di fiori e corone. Dura, invece, Rifondazione comunista: “Negare la presenza dei nostri simboli alla commemorazione di Antonio Gramsci (uno dei più grandi pensatori del Novecento, fondatore del Partito Comunista d’Italia e martire del fascismo) nel giorno della sua morte, è un atto di ignominia che merita la più dura condanna”.

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