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Massoneria e politica, così si spartivano appalti tra Calabria e Basilicata: inchiesta choc della procura di Paola

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La violazione della leggeAnselmi é uno dei reati contestati dalla Procura di Paola che stamattina ha disposto 18 perquisizioni nell’ambito di un’inchiesta su un’associazione a delinquere finalizzata a commettere una “serie indeterminata di reati contro la pubblica amministrazione”. Le altre accuse vanno dalla turbativa d’asta alla corruzione al falso. Per la a procura di Paola quella investigata é “una associazione segreta” che piena le volontà  “di amministrazioni pubbliche e enti pubblici con particolare, anche se non esclusivo, riguardo ai Comuni del versante tirrenico rientranti nella provincia di Cosenza”. Siamo nel campo minato e talvolta anche scivoloso di affari e massoneria. É questo lo scenario investigativo su cui hanno acceso un faro i magistrati di Paola.  Nel mirino ci sono “professionisti, taluni dei quali anche facenti parte di una loggia massonica segreta, finalizzata alla spartizione di appalti pubblici”. Questo è quanto si legge negli atti delle prrquisizioni disposte dalla procura ed eseguite dai Carabinieri. Dell’associazione segreta, secondo i pm inquirenti, farebbero parte Francesco Arcuri, Donato Vincenzo Rosa e Luigi Cristofaro. Quest’ultimo, ufficialmente un professionista privato con incarichi di supporto al Rup presso i Comuni di San Nicola Arcella e Scalea. Quest’ultimo è considerato dagli investigatori l’organizzatore, il capo di questa associazione criminale che, per i pm, si riuniva a Scalea, in una sala di un bar, il “K. Café” messa a disposizione dal proprietario. Tra le persone finite nel mirino ci sono imprenditori, ingegneri e architetti.

Ma anche assessori come Marco Liporace e Vincenzo Cristofaro del Comune di Belvedere. Altre persone coinvolte nella inchiesta sono anche la responsabile del settore tecnico Paola Di Stio e l’impiegato Raffaele Grosso Ciponte.
Al Comune di Scalea, invece, è indagato il responsabile dell’ufficio tecnico Giampiero D’Alessandro. Avrebbe avuto “un occhio di riguardo” per Maria Petrone, anche lei destinataria del decreto di perquisizione, che voleva usufruire degli incentivi statali pari al 110% del valore della ristrutturazione della sua casa “pur risultando l’abitazione, almeno in parte abusiva”. É il famoso super bonus dell’edilizia varato dal Governo per rilanciare il settore in costanza di pandemia. Ma sembra che non ci fossero le condizioni per elargire il bonus stante la necessità di non concederlo se ci sono abusi edilizi commessi negli immobili. Per farlo – secondo gli inquirenti – avrebbe promesso a D’Alessandro, di affidare l’incarico del progetto a suo nipote. Tra gli indagati ci sono anche Antonio Del Vecchio, Giuseppe Del Vecchio, Maria Grazia Melega, Francesco Esposito, Silvano Cairo, Giuseppe D’Alessandro, Giuseppe Marsico, Giuseppe Caroprese e Gianfranco Amodeo.

Gli inquirenti parlano di ‘cartello’ formato da due distinti gruppi. Si tratta di professionisti che, “attraverso la presentazione di offerte precedentemente concordate o la partecipazione fittizia alle gare per conto della organizzazione, – è scritto nel decreto di perquisizione – hanno conseguito l’aggiudicazione di appalti, procedendo successivamente a suddividere al 50% gli importi liquidati dalle stazioni appaltanti a titolo di corrispettivo, anche tra i soggetti non aggiudicatari”. Il cartello operava non solo nel Cosentino ma anche in Basilicata con le stesse modalità operativeTra gli appalti che sarebbero stati truccati, infatti, secondo la Procura di Paola, c’è quello sulla “valutazione della vulnerabilità sismica dell’Istituto tecnico commerciale del Comune di Moliterno” in provincia di Potenza, quello relativo alla “pavimentazione di una strada nel Comune di Aieta” e pure quello “al rifacimento del tratto di fognatura danneggiato da una mareggiata” nel comune di Belvedere. I soggetti perquisiti, inoltre, sono accusati di aver turbato la gara d’appalto indetta dal Comune di Belvedere con i fondi strutturali europei destinati alle scuole. In totale 40mila euro di soldi pubblici che, “con collusioni” e “condotte manipolatorie”, sono riusciti a gestire, mettendo le mani sugli “ interventi – scrivono i pm – di adeguamento e di adattamento funzionale degli spazi e delle aule didattiche in conseguenza dell’emergenza sanitaria da Covid-19”. Sono presunte trame criminali accertate dai magistrati della procura di Paola che dovranno essere vagliate ora da un giudice terzo. Tutti gli indagati, come è giusto che sia, nel nostro ordinamento sono da considerare persone perbene soggette ad un controllo di legalità. Spetterá a loro, d’ora in avanti, difendersi fa queste accuse gravi contestate dagli inquirenti di Paola. Uno spaccato inquietante di un’area grigia, pericolosa, della società calabra che non é nuova a queste indagini.

 

 

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Ucciso con una fiocina, l’omicidio in assenza di una minaccia

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In assenza di una minaccia diretta, per sé e per la propria compagna, uccise un 23enne con un colpo di fiocina sparata da un fucile subacqueo in via Cilea a Sirolo (Ancona) il 27 agosto del 2023: un omicidio che non sarebbe scaturito dall’iniziale “diverbio stradale” ma dal successivo intervento dei fratelli della vittima, uno dei quali lo colpì con un pugno per il quale l’omicida intese “vendicarsi”.

Lo scrive la Corte d’Assise di Ancona nella motivazione della sentenza con la quale, il 21 gennaio scorso, ha condannato a 18 anni di carcere Melloul Fatah, 28 anni, per l’omicidio volontario, senza l’aggravante dei futili motivi, di Klajdi Bitri, albanese 23enne. Il delitto avvenne di primo pomeriggio a seguito di un litigio per motivi stradali, all’altezza di una rotatoria. Si era creato un ingorgo di auto e dopo vari insulti, che avevano coinvolto anche parenti e amici della vittima, Fatah era tornato al proprio veicolo per prendere la fiocina e puntarla al petto del giovane poi deceduto. Subito dopo era risalito a bordo dell’auto, dove si trovava anche la fidanzata, e se ne era andato.

Era stato arrestato prima di cena, a Falconara, dai carabinieri. L’imputato, difeso dall’avvocato Davide Mengarelli, ha sostenuto di non essersi accorto del colpo mortale e di aver preso il fucile solo per spaventare il gruppetto che gli dava addosso. Secondo i giudici, però, la sua versione non è plausibile. “Ha scelto in totale autonomia di inseguire, in assenza di qualsivoglia minaccia, per sé e per la propria compagna, – scrive la Corte a proposito dell’imputato – di prelevare il fucile elastico con fiocina a tre punte, che utilizzava per la pesca subacquea, di imbracciarlo e di puntarlo alla vittima che in piedi, dietro la Mercedes, dopo pochi attimi decedeva nell’impotenza e nello sconforto generale”. Secondo la Corte, il 28enne agì per vendicare il pugno che aveva subito nella lite: “compreso di non poter prevalere e attesa l’inferiorità numerica – osserva nella sentenza il presidente della Corte Roberto Evangelisti – non reagiva e si dirigeva verso la propria auto dando l’impressione di desistere e di voler riprendere la marcia, apparenza però ingannevole poiché il fine che muoveva Melloul era antitetico”. La fidanzata “non aveva eccepito alcun pericolo, per nulla allarmata si chinava a recuperare gli occhiali caduti in precedenza al fidanzato nel corso dello scontro con la vittima e i suoi amici”.

La Corte ripercorre i drammatici attimi dell’omicidio: Fatah “ha premuto a distanza di circa due metri e mezzo il grilletto del suo fucile subacqueo munito di tridente contro Klajdi, facile bersaglio in quanto in posizione eretta, disarmato e impossibilitato a opporre qualsivoglia difesa se non tentare di disporsi in posizione di chiusura alzando il ginocchio sinistro in funzione di scudo”. I familiari della vittima erano parte civile nel processo con gli avvocati Marina Magistrelli e Giulia Percivalle.

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Indossa un passamontagna al porto di Ischia ed evade dai domiciliari: arrestato un 21enne

A Ischia, un 21enne evade dai domiciliari e tenta di imbarcarsi per Napoli con un passamontagna: riconosciuto e arrestato dai Carabinieri.

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Iniziamo questa storia dalla fine, da un epilogo inaspettato, frutto di una scelta maldestra di un 21enne di Barano d’Ischia. Il giovane si trovava in fila al porto, pronto a imbarcarsi su uno degli ultimi traghetti della giornata con destinazione Napoli. Nulla di strano, se non fosse per un dettaglio singolare: indossava un passamontagna.

Alcune persone presenti hanno manifestato curiosità, altre preoccupazione. A porsi domande sono stati anche i Carabinieri del nucleo radiomobile di Ischia, impegnati nei controlli serali. Avvicinatisi al giovane, gli hanno chiesto di mostrare il volto. A quel punto, come in un colpo di scena da film, il ragazzo ha tolto il passamontagna e si è dato alla fuga verso una pineta.

Riconosciuto e arrestato dopo l’inseguimento

I militari lo hanno inseguito, bloccato e immediatamente riconosciuto: era lo stesso giovane che poche ore prima aveva rubato uno scooter, fuggendo tra le strade di Ischia e venendo arrestato dai Carabinieri. Dopo il primo arresto, era stato sottoposto agli arresti domiciliari.

Questa volta, in manette per la seconda volta nel giro di poche ore, il 21enne dovrà rispondere anche dei reati di evasione e resistenza a pubblico ufficiale. In attesa dell’udienza in Tribunale, resterà in camera di sicurezza.

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Campione di poker non dichiara vincite, recuperati 1,5 milioni

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Considerato uno dei migliori giocatori al mondo di poker live , non avrebbe mai dichiarato le proprie vincite. Enrico Camosci, 31 anni, bolognese, è stato sottoposto ad una verifica fiscale dalla Guardia di Finanza, nucleo operativo metropolitano di Bologna. La ricostruzione della sua posizione, preventivamente condivisa con la locale Agenzia delle Entrate e da cui è successivamente scaturita la denuncia per omessa dichiarazione, è stata fatta anche attraverso la ricerca di informazioni sui siti specializzati e sui social, consentendo di recuperare a tassazione oltre 1,5 milioni di euro di redditi da lavoro autonomo, derivanti dall’attività sportiva svolta in forma abituale e professionale al di fuori dell’Unione Europea. Se da un lato, spiega infatti la Gdf, i premi corrisposti da case da gioco autorizzate all’interno dell’Unione Europea non vanno dichiarati, in quanto soggetti a ritenuta alla fonte, quelli conseguiti al di fuori del territorio comunitario costituiscono reddito per l’intero ammontare percepito.

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