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Cronache

Mascherine non a norma vendute o bruciate, custodirle costa milioni

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Migliaia di tonnellate di mascherine prive di certificazioni, con materiali scaduti o inutilizzabili si trovano nei magazzini dal 2020. Sul loro stoccaggio la Struttura commissariale di Francesco Figliuolo paga ancora oltre un milione di euro al mese (solo una tranche rispetto alla ricognizione avviata), ma ha cominciato a sbarazzarsene: per alcune di esse, le cosiddette ‘mascherine di comunita”, bisognera’ pagare affinche’ siano distrutte – probabilmente saranno bruciate – mentre per altre si spera ancora possa esserci un compratore, magari intenzionato a riciclarne il materiale per altre destinazioni. Avviandosi al termine del suo mandato in vista della fine dello stato di emergenza, il generale Figliuolo ha firmato in queste settimane due diverse determine e l’ultima riguarda un “accumulo ingente” di mascherine prive della certificazione ‘Ce’ e altri materiali destinati all’emergenza Covid nella prima fase della pandemia, non piu’ impiegabili. Il riferimento e’ alle acquisizioni della “struttura pro tempore” – durante la gestione del suo predecessore Domenico Arcuri – che si ritrovo’ “a fronteggiare la sempre piu’ massiva richiesta di dispostivi” in Italia. Nella drammatica primavera di due anni fa, di fronte alla carenza di ‘chirurgiche’, furono reperiti in fretta almeno 218 milioni di mascherine di ‘comunita” (prive di certificazioni e meno efficaci di quelle chirurgiche). Quei dispositivi pero’, spiega Figliuolo nella determina, “non sono mai stati richiesti, ne’ dalle regioni, ne’ dagli altri enti convenzionati” e “oggi non trovano piu’ nessuna possibilita’ di impiego”. Tanto che quelle 2.500 tonnellate di mascherine erano state trasferite per essere custodite in diversi depositi gestiti da Sda tra il Nord e il Centro, al costo di 313mila euro al mese. Infine due diverse indagini di mercato, andate deserte, ne hanno di fatto sentenziato la distruzione: non c’e’ nessun interesse da parte degli operatori economici ad acquisirle. Lo Stato quindi paghera’ per distruggere quello che ormai non rappresenta altro che un accumulo di carta e materiale plastico. L’azienda che ha vinto il bando per lo smaltimento e’ la A2A, che potrebbe bruciare una grossa percentuale dei materiali negli impianti di termovalorizzazione, riuscendone a destinare un’altra minima parte come materiale di riciclo. Qualche speranza di rientrare seppure minimamente nelle spese e fermare le perdite c’e’ ancora, invece, per le mascherine prive della certificazione Ce e altri materiali ancora nei magazzini della struttura (sempre acquisiti nella prima fase della pandemia dalla struttura “pro tempore” gestita da Arcuri). Tonnellate di dispositivi validati dal Comitato Tecnico Scientifico solo nella fase iniziale della pandemia e rotoli del ‘melt blow’ – il cosiddetto tessuto non tessuto che serve per realizzarle – occupano un volume complessivo di 40mila metri cubi nei magazzini (ma secondo i calcoli questa e’ soltanto una prima tranche): per il loro stoccaggio si paga oltre un milione di euro al mese. Per tutto questo materiale, non piu’ impiegabile, si spera ora che ci sia un compratore e Figliuolo ne ha avviato le disposizioni per la vendita o manifestazioni di interesse. Non potendo piu’ essere usato per proteggersi dal virus, resta l’eventualita’ di riciclare tutto questo materiale attraverso un processo di trasformazione, che possa quindi trovarne una diversa destinazione d’uso. All’estero, ad esempio, c’e’ chi gia’ – per le mascherine – studia il riutilizzo del materiale delle chirurgiche miscelandolo con macerie edili lavorate o aggregati di cemento riciclato: un modo per ricavare materiale da costruzione. In Italia per ora si spera ora che l’offerta non vada deserta, altrimenti bisognera’ pagare ancora per sbarazzarsi prima o poi anche di questi ingombranti carichi, che solo due anni fa rappresentavano invece la speranza.

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Cronache

Tragedia ad Anzola Emilia: uccisa l’ex vigilessa Sofia Stefani, interrogato ex comandante

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Un tragico evento ha scosso la comunità di Anzola Emilia, in provincia di Bologna. Sofia Stefani, 33 anni, ex vigilessa, è stata uccisa da un colpo di pistola alla testa all’interno della sede del Comando della polizia locale, conosciuta come la ‘Casa Gialla’. Il presunto responsabile del delitto è Giampiero Gualandi, ex comandante dei vigili di Anzola, attualmente sotto inchiesta.

L’incidente è avvenuto poco prima delle 16, in una stanza del comando della polizia locale dove Sofia Stefani e Giampiero Gualandi si erano incontrati. Al momento della tragedia, i due si trovavano soli nella stanza, sebbene nell’edificio fossero presenti altre persone. Le forze dell’ordine stanno conducendo un sopralluogo accurato alla ‘Casa Gialla’ e interrogando i testimoni per ricostruire esattamente quanto accaduto e comprendere la natura del rapporto tra la vittima e il sospettato.

Giampiero Gualandi, ancora in servizio presso il comando di Anzola Emilia, sarà interrogato con l’assistenza di un difensore. Le autorità stanno cercando di chiarire se il colpo di pistola sia stato un tragico incidente o se ci sia stato un movente dietro l’omicidio. Non è ancora chiaro quale fosse la relazione tra Gualandi e Stefani, ma i carabinieri stanno esplorando tutte le possibili piste, inclusa quella di un conflitto personale o professionale.

La notizia ha profondamente colpito la comunità locale, che conosceva bene Sofia Stefani per il suo lavoro come vigilessa. I colleghi della polizia locale e i residenti di Anzola Emilia sono in stato di shock, in attesa di ulteriori sviluppi dalle indagini. Il municipio, situato a pochi passi dal luogo del delitto, è diventato un punto di raccolta per coloro che vogliono esprimere il loro cordoglio e la loro solidarietà alla famiglia della vittima.

La morte di Sofia Stefani rappresenta una tragica perdita e pone interrogativi inquietanti sulla sicurezza e sulle dinamiche interne al comando della polizia locale di Anzola Emilia. Mentre le indagini proseguono, la comunità spera che venga fatta piena luce su quanto accaduto.

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Inchiesta a Genova, interrogatorio Spinelli: gli intricati legami di potere e le promesse mancate

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L’indagine per corruzione che coinvolge importanti figure della politica e dell’economia ligure continua a rivelare dettagli e complicazioni. Durante l’interrogatorio di garanzia, l’imprenditore Aldo Spinelli, posto ai domiciliari insieme al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ha offerto uno spaccato dettagliato delle sue interazioni con le autorità per ottenere favori legati alla proroga trentennale del Terminal Rinfuse.

Spinelli, durante l’interrogatorio guidato dal giudice Paola Faggioni, ha descritto come ha cercato di influenzare le decisioni a suo vantaggio, sottolineando contatti e telefonate con Toti, a cui si rivolgeva per risolvere problemi analogamente a quanto faceva con predecessori come Burlando. L’imprenditore ha ammesso di aver bonificato 40 mila euro al Comitato Toti come riconoscimento per l’interessamento del presidente, anche se sostiene che non ne sia conseguito alcun vantaggio diretto.

La conversazione ha toccato anche la situazione di Paolo Emilio Signorini, presidente dell’Autorità portuale, a cui Spinelli prometteva un posto di lavoro a Roma da 300 mila euro, illustrando così la rete di promesse e favori che caratterizzano il settore. L’interrogatorio ha anche evidenziato l’accusa verso altri membri influenti dell’autorità portuale, tra cui Rino Canavese, l’unico a votare contro la proroga della concessione, criticato duramente da Spinelli per le sue posizioni.

Le dichiarazioni di Spinelli hanno aperto uno squarcio su una realtà di gestione dei pubblici poteri in cui gli interessi personali e quelli economici sembrano intrecciarsi a discapito della trasparenza e dell’equità. La questione della spiaggia dell’Olmo, che Spinelli sperava di trasformare da libera a privata, è solo un esempio delle molteplici richieste fatte a Toti, tutte rimaste inevasive secondo l’imprenditore.

Questo scenario complesso mostra quanto possano essere intricate le relazioni tra politica, economia e gestione del territorio, soprattutto in contesti dove le risorse economiche si mescolano con le carriere politiche. L’inchiesta, quindi, non solo cerca di fare luce su specifiche accuse di corruzione, ma sottolinea anche la necessità di una maggiore trasparenza e integrità nelle interazioni tra imprenditori e pubblici ufficiali.

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Cronache

Richiesta urgente di intervento al Ministro della Giustizia per risolvere le disfunzioni del processo telematico a Nola

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Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nola ha trasmesso un appello urgente al Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, evidenziando gravi disfunzioni nel sistema di processo telematico (PST) utilizzato dai Giudici di Pace nel circondario del Tribunale di Nola. Questa problematica sta impattando negativamente sul regolare svolgimento delle udienze e, di conseguenza, sul diritto di difesa dei cittadini.

La delibera, esecutiva immediata dal 10 maggio, è stata inviata anche a figure chiave nel sistema giudiziario, tra cui il Dirigente CISIA di Napoli, Giovanni Malesci, la Presidente della Corte di Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, e la Presidente del Tribunale di Nola, Paola Del Giudice. La comunicazione segnala la costante e quotidiana inefficienza del sistema, che sta causando notevoli ritardi nelle procedure giudiziarie e aumentando gli arretrati a causa dei continui rinvii d’ufficio.

Il documento illustra una serie di incidenti, tra cui verbali d’udienza irreperibili o caricati solo parzialmente nel sistema, testimonianze non registrate a causa di problemi di connettività, e documenti misallocati nei fascicoli telematici. Tali disfunzioni contrastano con l’obiettivo della riforma “Cartabia” di accelerare i processi e ridurre gli arretrati, rendendo il sistema attuale un ostacolo piuttosto che un facilitatore.

Il Consiglio ha richiesto la formazione di un tavolo tecnico urgente che coinvolga tutti gli operatori del settore giudiziario per formulare un piano d’intervento. Nel frattempo, ha proposto un provvedimento provvisorio che permetta ai Giudici di Pace di gestire le udienze attraverso la verbalizzazione cartacea, come soluzione temporanea al doppio binario, fino a quando le disfunzioni del sistema PST non saranno risolte.

Questo appello sottolinea la necessità di un’immediata revisione delle infrastrutture informatiche nel settore giustizia, per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e il rispetto dei diritti dei cittadini.

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