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Economia

L’Ue tratta, ma il 15 aprile scattano controdazi al 25%

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Trattare con la ‘pistola sul tavolo’, con le porte apertissime al dialogo, ma ad una condizione: l’Europa non attenderà all’infinito. La prima riunione dei ministri dei 27 sui dazi imposti da Donald Trump rilancia una “inaspettata” unità dei Paesi membri dell’Ue. La linea preferenziale resta quella del negoziato. Anzi, un’offerta è già sul tavolo della Casa Bianca: applicare, reciprocamente, zero tariffe sui beni industriali. E’ un’offerta avanzata ben prima del 2 aprile, finora invano. Ed è qui che subentra l’altra faccia della strategia Ue: il via libera ai primi controdazi, che scatteranno il 15 aprile.

La riunione del Consiglio Commercio è servita innanzitutto a delineare l’immagine di un’Europa compatta, fiduciosa dei suoi mezzi, consapevole che i dazi, per Trump, rischiano di essere un autogol. Un primo risultato concreto è stato raggiunto: il via libera politico alla lista dei controdazi decisa dalla Commissione il 12 marzo, come risposta alle tariffe americane su acciaio e alluminio. La lista viene spaccata in due tranche: una prima, minoritaria entrerà in vigore il 15 aprile. Una seconda, più corposa, sarà operativa il 15 maggio. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, volato a Lussemburgo proprio per la delicatezza del dossier, ha tentato la carta del rinvio. Ma per la stragrande maggioranza dei 27 e per Palazzo Berlaymont, il dato ormai è tratto. “Un rinvio è impossibile”, ha sottolineato il commissario Ue al Commercio Maros Sefcovic.

I dazi arriveranno fino al 25%, con alcune categorie di prodotti colpite solo al 10%. Salvo, come richiesto da Roma, il bourbon americano. Da qui al 15 maggio, tuttavia, c’è un’eternità. Ed è in questo lasso di tempo che Bruxelles cercherà una soluzione negoziale. “Abbiamo offerto tariffe zero per zero per i beni industriali, come abbiamo fatto con successo con molti altri partner commerciali, perché l’Europa è sempre pronta per un buon affare”, ha annunciato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

La mossa di Bruxelles concerne innanzitutto sei settori: auto, farmaceutica, chimica, plastica, gomma, macchinari. Ed è una mano che resta tesa, sebbene finora Washington non l’abbia voluta stringere. L’offerta, rivoluzionerebbe il mercato Ue-Usa andando a resuscitare il Ttip (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) finito nel cassetto nel 2016 dopo lunghe polemiche. Il sostegno dei 27, almeno in queste prime battute, sembrerebbe esserci, Italia inclusa.

“L’ideale sarebbe zero tariffe. La via intermedia potrebbe essere la riduzione dei tassi del 10% da parte Usa”, ha spiegato il titolare della Farnesina. Le parole di Sefcovic, capo negoziatore per l’Ue, sono state misurate, ma ferme. Lo slovacco ha rilevato di non vedere “l’impegno reale” degli americani a trattare e ha allo stesso tempo spiegato che, prima o poi, l’amministrazione Trump si siederà al tavolo. Nel corso della riunione ha ringraziato Tajani per il sostegno dell’Italia alla Commissione. Anche perché, a Palazzo Berlymont, la pensano un po’ come a Berlino. “Negoziare da soli sui dazi non giova a nulla”, ha scandito il ministro dell’Economia Robert Habeck.

Proprio la Germania, assieme alla Francia, è destinata a guidare la fronda dei falchi anti-Usa. “Gli Usa rischiano la recessione, non resisteranno a lungo”, ha avvertito Habeck tacciando come “ridicole” le parole di Elon Musk sui zero dazi reciproci: “Lo deve dire al suo presidente”. “Non escludiamo risposte aggressive”, ha invece sottolineato il rappresentante del governo francese, Laurent Saint-Martin. Berlino e Parigi vorrebbero già lavorare sul bazooka dello strumento anti-coercizione e sulle misure anti-Big Tech. Misure che Paesi come l’Italia, in questo momento, non voterebbero. “In questa fase preferiamo negoziare”, ha frenato Sefcovic.

Nel frattempo la Commissione corre ai ripari per proteggere il mercato Ue e mette in campo una task force di sorveglianza delle importazioni per parare gli effetti indiretti dei dazi. La sensazione, a Palazzo Berlaymont, è che non ci sarà un ritorno al mondo di prima. La compattezza europea è necessaria. E forse non è un’utopia. “A porte chiuse – osservava il rappresentante della presidenza polacca Michal Baranowski – si vede più unità di quando i politici parlando ai propri elettori”.

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Economia

Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

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Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

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Banco Bpm boccia ancora l’Ops di Unicredit, ‘inadeguata’

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Ovviamente è ancora un no. E motivato con nuovi argomenti. Banco Bpm boccia una volta di più l’Offerta pubblica di scambio volontaria annunciata da Unicredit e lo fa citando anche “modalità di implementazione” della normativa sulla Golden Power che “da parte di Unicredit non risultano chiare”. Strategia ovviamente, ma intanto l’amministratore delegato di Banco Bpm consiglia chiaramente agli azionisti di non aderire all’Ops. I nuovi passaggi dello scontro sono contenuti nell’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio di amministrazione di Banco Bpm del ‘comunicato dell’emittente’ sull’offerta promossa dal gruppo guidato da Andrea Orcel.

Il Cda “a seguito di un’attenta valutazione dei termini e delle condizioni descritti nel documento di offerta pubblicato da Unicredit il 2 aprile scorso e delle altre informazioni disponibili ha ritenuto l’Ops non conveniente e il corrispettivo non congruo”, afferma Banco Bpm in un comunicato. “L’offerta è completamente inadeguata e quindi noi consigliamo ai nostri azionisti di non aderire”, ribadisce l’amministratore delegato Giuseppe Castagna nella conference call con gli analisti finanziari, aggiungendo che tra le altre cose “loro sono molto più esposti alla volatilità dei mercati”. Nella nota dopo la riunione del Cda, la banca sostiene anche che il valore generato dall’acquisizione di Anima “potrebbe diluirsi all’interno di Unicredit” e che dove “a seguito dell’acquisizione dell’emittente e fermo restando quanto previsto dal provvedimento Golden Power le cui modalità di implementazione da parte di Unicredit non risultano chiare, un’eventuale riduzione delle attività di rischio ponderate dovesse interessare anche la clientela di Banco Bpm, sussisterebbero significative incertezze circa la capacità di confermare gli obiettivi di crescita e di generazione di valore su basi stand-alone”.

La strategia perseguita da Banco Bpm “incentrata sulla generazione di valore per l’azionista attraverso la piena valorizzazione delle opportunità di sviluppo del business presso la clientela di riferimento, con specifico riguardo alle famiglie e alle Pmi, appare diversa da quella implementata da Unicredit”, spiega inoltre la banca guidata da Castagna. Che ricorda come “dopo aver perfezionato un aumento di capitale da 13 miliardi nel 2017 e aver ceduto nel periodo 2017-2019 una parte dei propri asset (tra cui Pioneer Investments, FinecoBank e Bank Pekao), Unicredit ha promosso negli ultimi anni una strategia che ha comportato una riduzione delle attività ponderate per il rischio che tra il 2020 e il 2024 sono passate da 326 miliardi a 277 miliardi”. Per l’Italia “tale orientamento si è tradotto in una riduzione delle attività di rischio ponderate da 131 miliardi a 101 miliardi negli anni dal 2020 al 2024 a cui appare riconducibile una riduzione dei volumi di impieghi da 168 miliardi a 145 miliardi nello stesso periodo”, aggiunge Banco Bpm. ll consiglio di amministrazione “riconosce che l’offerta di Unicredit sottovaluta la nostra banca”, spiega da parte sua il presidente di Banco Bpm, Massimo Tononi, secondo il quale “l’offerta è inadeguata dal punto di vista finanziario e non è giusta per i nostri azionisti”. Il Cda di Banco Bpm ha infatti deciso “che il corrispettivo non è congruo da un punto di vista finanziario. Tale conclusione è supportata, tra i vari fattori considerati, dalle rispettive analisi finanziarie condotte da Citi e Lazard, in qualità di advisor finanziari, e dalle rispettive opinion”, spiega l’istituto di piazza Meda, evidenziando in particolare il “mancato riconoscimento di un premio” per l’eventuale controllo di Banco Bpm.

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