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Economia

L’ottovolante dello spread, dall’euro a oggi

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Effetto Draghi sullo spread. La decisione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di rivolgersi all’ex numero uno della Bce, Mario Draghi, per tirare l’Italia fuori dalla crisi di governo in cui e’ precipitata ha avuto l’effetto immediato di far calare il differenziale di rendimento Btp-Bund fino a scendere, nel primo pomeriggio, sotto i 100 punti base, ossia ai minimi dal 2015. Ecco in sintesi la parabola dello spread da gennaio 2002, quando l’euro entro’ ufficialmente in circolazione, ad oggi. – 2002, ARRIVA L’EURO: L’1 gennaio lo spread Btp-Bund segna 27 punti base. A Palazzo Chigi c’e’ il secondo governo Berlusconi, che durera’ fino al 2006. In questo periodo il differenziale si manterra’ stabile su questi livelli. – 2006, CON PRODI A 40 PUNTI: Dopo le elezioni torna al governo Romano Prodi, lo spread e’ sui 24 punti per poi salire a 40 punti con la fine della sua eterogenea coalizione di governo. – 2008, LO SPREAD FA 90: Il centro-destra guidato sempre da Berlusconi si riprende Palazzo Chigi dopo il voto anticipato. Lo spread si mantiene stabile poco sopra i 40 punti ma con i primi venti di crisi, quella finanziaria, vola a 90 punti. – 2009, SI SALE OLTRE 100: I venti della crisi si intensificano, lo spread Btp-Bund supera i 100 punti base. – 2010, LA CRISI TOCCA GLI STATI, SI VA A 150: Esplode la crisi della Grecia dopo che Standard & Poor’s taglia il rating del Paese a ‘Junk’, ovvero spazzatura. Lo spread Btp-Bund vola oltre i 150 punti. – 2011, SPREAD RECORD TRAVOLGE BERLUSCONI: E’ il 5 agosto, il giorno della ‘lettera segreta’ della Bce al governo Berlusconi. Scatta il panic selling e lo spread sfonda quota 400. Il 9 novembre lo spread vola al record di 575 punti base. Il 16 novembre il governo passa da Berlusconi a Monti e lo spread scende a 530 punti. – 2012, MONTI A CHIGI, DRAGHI ALLA BCE: A fine gennaio inizia il calo e a marzo lo spread e’ a 276 punti ma a luglio sui timori della Spagna, lo spread vola a 528 punti. A questo punto arriva il famoso ‘whatever it takes’ di Draghi e il differenziale cala a 468. Segue quindi la svolta della Bce con Draghi che vara il piano anti-spread e la forbice con la Germania si restringe fino a 290 punti. – 2013, SPREAD SCENDE SOTTO ‘SOGLIA MONTI’: Nella prima seduta dell’anno lo spread e’ sotto la ‘soglia Monti’ di 287 – la meta’ rispetto all’insediamento – a 283 punti. Il 30 aprile dopo il si’ di Camera e Senato, il governo Letta ‘incassa’ la fiducia del mercato, con lo spread in discesa sotto 270 punti. – 2014, STAFFETTA LETTA-RENZI, SI SCENDE A 120 PUNTI: A gennaio lo spread scende sotto la soglia psicologica dei 200 punti. E’ la prima volta dal 6 luglio 2011. A febbraio lo spread festeggia l’incarico a RENZI, che prende il posto di Letta, scendendo a 188 punti. Con le nuove misure varate da Draghi e la Bce – c’e’ l’annuncio del Quantitative Easing – lo spread chiude l’anno sotto i 120 punti. – 2015, SCATTA IL QE DELLA BCE, SI TORNA SOTTO 100. A marzo scatta il Qe della Bce, che rastrella titoli di Stato. Lo spread crolla a 85 punti base, sui minimi di settembre 2008. – 2016, REFERENDUM DI RENZI, SI SFIORA 200: A febbraio su nuovi timori degli investitori sulla crescita economica mondiale, lo spread ritorna sopra quota 160 punti. E a ridosso del referendum del 4 dicembre arriva a sfiorare di nuovo i 200 punti. Il differenziale chiudera’ l’anno, con Paolo Gentiloni nuovo inquilino di Palazzo Chigi, a 160 punti base. – 2017, SPREAD IN ALTALENA: Nel corso dell’anno lo spread Btp-Bund vola oltre i 200 punti base, tornando sui massimi di febbraio 2014. Dopo alti e bassi archivia l’anno a 158 punti. – 2018, VENTO SOVRANISTA INFIAMMA LO SPREAD: Nei mesi precedenti il voto lo spread scivola sotto i 120 punti base. Ma dopo il voto, con lo stallo sulla formazione di un nuovo governo, il differenziale schizza oltre i 300 punti. Col nuovo governo gialloverde, guidato da Conte e caratterizzato da spinte sovraniste, lo spread subisce forti turbolenze e alla fine chiude l’anno a 250 punti base. – 2019, SPREAD RIMANE ALTO, POI CALA CON GOVERNO GIALLOROSSO: Continuano le turbolenze sullo spread con lo spettro di una Italexit, ossia di una uscita dall’euro, paventata da alcuni deputati e senatori della colazione di governo. Il differenziale sfiora quindi di nuovo i 300 punti per poi ritornare sotto i 200 punti a luglio. Ma la crisi di agosto, innescata dal leader della Lega, Matteo Salvini, fa virare lo spread, che risale oltre i 240 punti base. Il successivo accordo M5S-Pd per un nuovo governo, sempre guidato da Conte, ma decisamente europeista, raffredda lo spread. A fine anno il divario Italia-Germania e’ di 160 punti, dopo essere sceso anche sotto i 130 punti tra fine agosto e dicembre. – 2020, FEBBRE ‘COVID’ PORTA SPREAD A 250: Il nuovo anno si apre con uno spread stabile in area 130 punti, ma l’arrivo improvviso e dirompente del coronavirus innesca la sua corsa al rialzo. A fine febbraio sale a 180 punti, a marzo schizza a 250. Il nuovo intervento della Bce, a guida Lagarde, con il piano pandemico Pepp manda a picco il differenziale, che precipita a 160 punti e poi chiude l’anno a 110 punti. – 2021. EFFETTO DRAGHI, SI SCENDE SOTTO I 100. L’incarico per la formazione del governo a Mario Draghi ha subito impatto sui mercati. Con le prime apertura politiche lo spread scivola sotto la soglia psicologica dei 100 punti base

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Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

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In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

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Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

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Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

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Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

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