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Corona Virus

Lotta al Coronavirus, prosegue la “corsa” ai vaccini: in 7 sono in pole position

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Non sembra aver avuto un grande impatto sull’opinione pubblica lo stop della sperimentazione del vaccino Astrazeneca. Mentre infatti l’azienda annunciava la ripresa delle attivita’ di ricerca sul suo vaccino che e’ stato realizzato in collaborazione con la Oxford University e la Irbm di Pomezia, negli Stati Uniti una ricerca della Ohio State University pubblicato sulla rivista Vaccine, ha chiarito che sono ormai almeno 7 su 10 gli americani pronti e disponibili a ricevere un vaccino contro il Sars-Cov 2 appena fosse pronto. Si tratta di una percentuale molto piu’ alta di quella registrata in alcuni sondaggi nei mesi scorsi in cui era emerso che solo il 50 per cento dei cittadini americani era disponibile a vaccinarsi. La “corsa” dei vaccini continua, con 7 candidati gia’ in una fase molto avanzata. Anche se, innegabilmente, la battuta d’arresto segnata dallo stop alle sperimentazioni del vaccino di Astrazeneca ha rallentato gli entusiasmi, soprattutto dopo che la messa a disposizione di un vaccino, negli Stati Uniti era sembrata essere ormai una questione di poche settimane. Proprio il vaccino di Astrazeneca e’ tra i principali candidati perche’ e’ uno dei pochi che hanno avviato gia’ da tempo una ampia fase di sperimentazione di fase III. Sono infatti in tutto 7, come detto, i candidati vaccini che si trovano a questo livello avanzato di sperimentazione su un totale di almeno 211 vaccini in fase di sviluppo di cui solo 31 sono quelli che sono arrivati alla sperimentazione clinica sull’uomo. Tra questi c’e’ anche il vaccino italiano prodotto da Reithera che proprio oggi ha annunciato di aver avviato la produzione di nuove dosi di vaccino in vista di un ampliamento della sperimentazione che l’azienda ha avviato lo scorso 24 agosto insieme allo Spallanzani di Roma.

Nel frattempo cominciano a trapelare prime incoraggianti informazioni in merito agli esiti della sperimentazione che, in questo caso e’ ancora alla fase I. “Abbiamo iniziato la fase 1, che e’ quella della sicurezza. Stiamo procedendo e fino ad oggi fortunatamente non abbiamo avuto nessuna reazione avversa” nei volontari. Cosi’ il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia, parlando della sperimentazione presso l’ospedale romano del vaccino ‘Made in Italy’. “Entro fine ottobre – ha aggiunto Vaia – avremo i primi dati sulla immunogenicita’. Poi, se tutto va bene, scattano le fasi 2 e 3 e se ancora dovesse procedere tutto bene, senza correre, noi ci auguriamo in primavera di poter avere la formula per andare in commercializzazione”. Segnali incoraggianti arrivano anche dall’estero dove la corsa alla sperimentazione dei vaccini non ha conosciuto soste. I test clinici sul vaccino anti Covid-19 del laboratorio cinese Sinovac stanno dando risultati “estremamente positivi” e una campagna di vaccinazione su vasta scala potrebbe cominciare gia’ dal prossimo dicembre. Lo ha annunciato il governatore di San Paolo, Joao Doria, Stato maggiormente colpito dalla pandemia in Brasile, terzo Paese al mondo per numero di casi. Il vaccino denominato CoronaVac – con altri otto – e’ entrato nella fase 3 dei test clinici, l’ultima prima dell’omologazione. In Brasile viene testato su migliaia di volontari in sei Stati, tra cui San Paolo, nel quale il nuovo Coronavirus ha gia’ fatto ammalare 850 mila persone e causato 31.430 decessi. Secondo il governatore, al momento il vaccino ha provocato una risposta immunitaria nel 98% dei pazienti di piu’ di 60 anni e senza causare effetti secondari. Anche Pfizer e la tedesca Biontech stanno ampliando la base per la sperimentazione del loro vaccino negli Stati Uniti e hanno appena annunciato di voler arruolare fino a 44.000 individui contro i 30.000 che erano stati precedentemente arruolati per la fase III.  La decisione di ampliare la base per la sperimentazione e’ motivata dalle due aziende con la necessita’ di raccogliere piu’ dati di sicurezza ed efficacia e di aumentare la diversita’ dei partecipanti allo studio. Il tema della diversita’ dei partecipanti e’ molto importante in questa fase perche’ e’ emersa una scarsa rappresentazione nei test dei diversi gruppi etnici.

Per questo, Moderna, la biotech americana che ha in fase di sviluppo e sperimentazione un vaccino contro il Sars Cov 2 ha deciso di rallentare l’arruolamento nei suoi test sperimentali. La frazione di partecipanti bianchi arruolati nello studio e’ diminuita nelle ultime quattro settimane, dal 73% al 68% al 67% e infine al 59% per la settimana piu’ recente. Nel frattempo, l’iscrizione dei partecipanti ispanici e’ passata dal 17% al 22% e gli afroamericani sono aumentati dal 5% dell’iscrizione tre settimane fa all’11% dell’iscrizione nella settimana piu’ recente. Tra i nuovi vaccini che sono stati avviati alla sperimentazione clinica anche quello sviluppato dalla Hong Kong University, in collaborazione tra il Dipartimento di Microbiologia e l’universita’ di Xiamen, nel sud-est della Cina, e l’universita’ di Biologia Farmaceutica Wantai di Pechino. Si tratta del primo vaccino spray nasale contro il Covid-19 approvato dalle autorita’ cinesi. Secondo quanto dichiarato dal microbiologo Yuen Kwok-yung ai media locali i test clinici dovrebbero cominciare a partire dal prossimo mese di novembre: l’ateneo ha gia’ ricevuto finanziamenti per venti milioni di dollari di Hong Kong, pari a 2,1 milioni di euro, ed e’ in cerca di cento persone sane da reclutare per i test. La sperimentazione clinica dello spray si comporra’ di tre fasi e, dal lancio della fase uno, servira’ almeno un anno prima che il vaccino possa essere utilizzato. La sostanza, ha confermato il microbiologo di Hong Kong, e’ il primo vaccino spray nasale ad avere ottenuto a oggi l’approvazione per i test clinici dalla National Medical Products Administration cinese.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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