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Politica

Giorgetti: Pil verso +0,7% ma non cambia i conti

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La crescita italiana rallenta ma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è ancora ottimista sulla possibilità di fare meglio delle previsioni più aggiornate. I numeri del governo erano “assolutamente prudenziali”, ribadisce il titolare del Tesoro, tanto che anche se il Pil si dovesse fermare “allo 0,7” non cambierebbero i “numeri di finanza pubblica. Anzi siamo convinti – dice – che otterremo risultati migliori”. Del resto a pesare è anche la situazione geopolitica con i suoi ricaschi sulle economie di tutto il Vecchio Continente. “Il mondo purtroppo – evidenzia – si è incamminato in una situazione molto complicata e la vecchia Europa si trova ad affrontare quell’onda di cui tante volte abbiamo parlato, che significa riconversione industriale generata dalla transizione green e arrivata forte, forse prima del previsto e sta partendo dalla Germania a fare ahimé morti e feriti”.

Mentre il ministro parla ad Atreju è in corso in commissione Bilancio alla Camera l’esame della legge di Bilancio sulla quale si registrano le prime modifiche proposte dai relatori tra le quali una sulle quote latte, battaglia bandiera della Lega. Altre ne arriveranno. Come conferma lo stesso Giorgetti. Sarebbe in dirittura d’arrivo, infatti, l’emendamento del governo sull’Ires premiale che dovrebbe vedere la luce in commissione sabato notte.

“La logica – spiega il ministro – se tu imprenditore hai fatto degli utili e li tieni in azienda ti facciamo lo sconto sulle tasse, un meccanismo apparentemente semplice. Abbiamo lavorato e ci siamo arrivati”. Le coperture, come anticipato arriveranno dalle banche. Ci sarà una ” copertura di 400 milioni” che arriveranno da un contributo delle banche, come conferma Giorgetti. Un contributo sul quale gli istituti hanno manifestato la propria freddezza. Il governo, però, tira dritto. Da capire anche quale sarà la platea coinvolta con gli industriali in pressing perchè sia il più ampia possibile.

Altra misura in dirittura d’arrivo sarebbe quella su Transizione 5.0. Una norma, osserva il ministro che “ha un regolamento complicato ma ieri è arrivato il beneplacito a modifiche che entreranno domani o dopodomani in una emendamento che la fa partire, la rende accessibile e anche cumulabile”. Intanto tra gli emendamenti depositati arriva un meccanismo per favorire, anche attraverso sconti, la riscossione delle multe comminate agli allevatori prima della cancellazione delle quote latte. Mentre spunta anche l’ipotesi di un prelievo sulle scommesse online per sbloccare risorse che potrebbero essere destinate a infrastrutture sportive.

Tra le opzioni in corso di valutazione quella di finanziare anche la ristrutturazione degli stadi. Secondo quanto viene riferito però la scelta definitiva non sarebbe ancora stata compiuta ma servirà un ulteriore momento di confronto nella maggioranza sulla questione. Bocciate nel frattempo tutte le proposte dell’opposizione. Compreso il salario minimo legale sul quale il centrosinistra è andato all’attacco. Si tratta di un “delitto politico” quello di “chiudere gli occhi sullo sfruttamento dei lavoratori”, ha detto il leader M5s Giuseppe Conte arrivato in commissione per sostenere il proprio emendamento in materia.

“Continuate a fuggire” su questo tema, ha accusato la capogruppo Dem Chiara Braga. “E’ un tema irrinunciabile”, osserva da Avs Marco Grimaldi. Scade intanto domani il termine per l’adesione al concordato fiscale e si attendono i dati sul gettito. Risorse che, però, saranno in ogni caso insufficienti alla copertura del taglio dell’Irpef sul quale Forza Italia era andata in pressing ma che potrà arrivare solo “dopo il consolidamento dei conti”, come da accordi in maggioranza. Del resto, come ha ricordato il sottosegretario Federico Freni scherzando su un emendamento troppo oneroso delle opposizioni: “Non vorrei che affidarsi a me sia confuso con l’affidarsi alla Madonna di Fatima o Pompei, io purtroppo ancora non moltiplico il danaro, mi sto attrezzando per questo ma ancora non riesco a farlo…”.

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Politica

Consulta al rush finale. Lega, trovare intesa senza veti

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Chiudere la partita dei giudici costituzionali e trovare una soluzione per sbloccare l’impasse dei centri per migranti in Albania. I due dossier su cui si concentra molto del lavoro del governo in queste ore procedono entrambi con un filo aperto fra Palazzo Chigi e Quirinale. È costante da tempo il pressing del Colle affinché finalmente il Parlamento elegga quattro componenti che impediscono alla Consulta di riunire il plenum, e alla vigilia dell’ennesima votazione l’accordo non pare lontano, anche se nessuno si sbilancia ancora. E filtra qualche dubbio della Lega prima delle ultime trattative notturne.

La vigilia della nuova votazione del Parlamento in seduta comune è stata segnata da confronti fra i leader del centrodestra e contatti fitti fra maggioranza e opposizione, con Giorgia Meloni che avrebbe parlato direttamente con la leader dem Elly Schlein e quello del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte. L’intesa probabilmente non è mai stata così vicina. Molti si aspettano il via libera definitivo da Palazzo Chigi. Anche se si registra ancora qualche segnale di impasse, con responsabilità scaricate anche fra alleati. In un clima non proprio disteso, nella maggioranza c’è chi le attribuisce a FI e chi invece alla Lega. Il partito di Matteo Salvini “avrebbe posto problemi su più di un nome”, sostiene una fonte vicina al dossier.

La Lega, precisano fonti del partito, “è determinata a trovare una intesa, come sempre, senza rigidità o veti”. I parlamentari sono convocati dai rispettivi gruppi, ma ancora senza indicazione di voto: scheda bianca o i quattro nomi su cui si starebbe convergendo. Sono Francesco Saverio Marini in quota FdI, Gennaro Terracciano proposto da FI, Massimo Luciani indicato dal Pd, e Maria Alessandra Sandulli come nome bipartisan. Ai piani alti del governo è considerata una partita da archiviare il prima possibile. Sono già tanti i fronti aperti, a partire dal dossier Albania. Meloni ha garantito che i centri “funzioneranno” e vuole dare un segnale immediato, in attesa di due snodi cruciali, la pronuncia della Corte di giustizia Ue sui Paesi sicuri e la nuova direttiva europea rimpatri. L’esecutivo sta esplorando la possibilità di rendere essenzialmente i Cpr le strutture per migranti in Albania, dove per ora è prevista solo in via residuale la funzione di centro di permanenza per il rimpatrio.

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha parlato di “soluzioni in grado di superare gli ostacoli sinora incontrati, consentire la piena funzionalità e sviluppare le notevoli potenzialità di utilizzo delle strutture in Albania che fanno parte di un impianto polivalente”. “Oltre a un hotspot ed a un luogo di trattenimento per le procedure accelerate di frontiera – ha sottolineato -, è già oggi presente in Albania un centro di permanenza per il rimpatrio, il cui utilizzo, proprio per questo, non determinerà nessun onere aggiuntivo”. Servirebbe però un intervento normativo.

Ci sono state già interlocuzioni con il Quirinale dai cui uffici sarebbero arrivare delle osservazioni. I tecnici stanno cercando di individuare il percorso adeguato, per una modifica del Protocollo (e servirebbe un negoziato con il governo dell’Albania, Paese chiamato al voto fra tre mesi) o della legge di ratifica, in vigore da poco meno di un anno. È difficile che arrivi per il Consiglio dei ministri di lunedì. Attualmente Shengjin è un hotspot, mentre a Gjader ci sono un centro di accoglienza per richiedenti asilo da 880 posti, un cpr da 144 e un carcere per massimo 20 detenuti. Le valutazioni riguardano anche la possibilità di trasferire in Albania migranti a cui è già stata respinta la richiesta di asilo nei centri in Italia.

La legge di ratifica prevede che nelle strutture di Shengjin e Gjader siano condotte “esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane” in acque extraterritoriali, “anche a seguito di operazioni di soccorso”. Di fronte a questo scenario non mancano i dubbi di chi lavora negli otto cpr sparsi in Italia: ad esempio, un ragionamento diffuso fra operatori e figure istituzionali, è da capire come gestire le difficoltà logistiche e i costi per prelevare i migranti con decreto di espulsione, provenienti da Paesi con cui non ci sono accordi sul rimpatrio, per poi trasferirli in Albania.

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Politica

Giani sul fine vita, ‘Toscana non sarà la nuova Svizzera’

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All’indomani dell’approvazione da parte del Consiglio regionale della Toscana della prima legge in Italia che regola tempi e modalità per l’accesso al suicidio assistito, il governatore Eugenio Giani (foto Imagoeconomica in evidenza)  torna sul tema per specificare che la Toscana non sarà la nuova Svizzera. Lo afferma rispondendo alle domande dei giornalisti, spiegando di ritenere “che la Toscana abbia fatto un servizio ai suoi cittadini: sono state fissate regole eque, precise, obiettive”. “Non siamo andati oltre quello che ha prescritto la Corte costituzionale con la sentenza 242 del 2019” puntualizza. Una scelta che viene attaccata dal centrodestra, con Fi che non esclude la soluzione estrema dell’impugnazione della legge da parte del Governo.

“Una legge che dovrà essere valutata in base alla Costituzione”, sottolinea il portavoce azzurro Raffaele Nevi. Una ipotesi, che viene però bocciata nettamente dal centrosinistra con +Europa, tra gli altri, che definisce un “errore grave” un eventuale ricorso del governo. Che viene anche accusato dalle opposizioni per il suo silenzio su questo argomento. Secondo la legge, che nasce dalla proposta di iniziativa popolare promossa dall’Associazione Luca Coscioni poi modificata dall’Assemblea toscana, potranno avere accesso al suicidio assistito soltanto i residenti in Toscana o chi si trasferisce (per studio o lavoro) e prende un medico temporaneo nella regione. Per loro, la norma fissa tempi certi: la procedura per il fine vita, dal momento della richiesta fino all’assistenza per l’assunzione del farmaco, si conclude in 37 giorni. Sui tempi poi dell’effettiva entrata in vigore della norma Giani ha spiegato che “domani o domani l’altro sarò in grado di firmare la promulgazione della legge”.

Poi “dal momento in cui la legge viene promulgata è come se avessimo centoventi giorni di sospensione da effetti perché sono i tempi in cui può essere fatto ricorso. Aspettiamo questi tempi, vista la delicatezza della situazione, per poter rendere effettiva questa legge. Dopo i centoventi giorni tutto si predispone a partire dalla commissione etica affinché sia tutto applicabile”. Non è d’accordo però il capogruppo di Forza Italia in Regione Marco Stella: “E’ assurdo – afferma – che il presidente della Regione Giani annunci la sua intenzione di prendersi centoventi giorni di tempo per applicare la legge sul suicidio assistito che lui e la maggioranza di sinistra hanno votato ieri. La legge, che noi continuiamo a dire che è incostituzionale, deve entrare vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione sul Burt. E’ evidente che la sinistra sta giocando una partita ideologica e politica sulle spalle dei malati”.

Quello delle tempistiche è un tema cruciale per tutti coloro che da tempo hanno chiesto il fine vita. Secondo quanto spiega l’Associazione Coscioni, ad oggi, in Italia, sono undici le persone che hanno avuto accesso alla procedura per il suicidio assistito: di queste cinque hanno deciso di procedere. Tra le altre ad avere avuto parere positivo, quattro hanno ottenuto il via libera ma non hanno ancora potuto procedere per colpa di lungaggini burocratiche delle Asl: due in Toscana, una in Umbria e una in Lombardia. “Nei giorni scorsi, sempre in Toscana – ricorda l’avvocato Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni – è morta Gloria, senza poter accedere alla morte volontaria assistita, nonostante avesse ottenuto il via libera. L’assenza di un’indicazione chiara sul farmaco letale, il suo dosaggio e la metodica di autosomministrazione hanno ritardato irrimediabilmente la sua possibilità di scelta”.

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Economia

Lega insiste su pace fiscale e prende tempo su congresso

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Avanti sulla rottamazione delle cartelle fiscali in dieci anni e 120 rate. Obiettivo complessivo: la pace fiscale. La Lega insiste sulla misura e si fa scudo, ora, del via libera dato dal ministro (leghista) dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. O strappato dai ‘suoi’ – secondo i più maliziosi – nel Consiglio federale del partito. Giorgetti si limita a un laconico “non smentisco”. Ma il tema – promosso a nuova battaglia della Lega – domina la discussione, durata un paio d’ore. E così il congresso nazionale del Carroccio resta ancora senza una data. Previsto finora a marzo, dovrebbe slittare ad aprile, prima di Pasqua, e aumentano le quotazioni perché si svolga a Roma. Dalla Lega, l’unica indicazione ufficiale è che sarà “in primavera”, complici ragioni pratiche come ad esempio la scelta degli ultimi delegati. In ogni caso, adesso i riflettori puntano alla rottamazione. Una proposta condivisa in teoria dal resto del governo ma tutta in salita per fattibilità economica.

Matteo Salvini però è ottimista: “Troveremo, come sempre, l’intesa con gli alleati”. Eppure sono proprio loro – e in particolare Fratelli d’Italia – a storcere il naso. Soprattutto per l’insistenza dei leghisti. Alle riserve già espresse dal viceministro dell’Economia, Leo, si aggiunge ora l’altro meloniano Luca Ciriani: “Siamo tutti favorevoli, il problema è trovare le risorse e garantirle”. Fratelli d’Italia insomma frena. Così come aveva fatto ieri Antonio Tajani chiarendo che, per Forza Italia, la priorità è il taglio dell’Irpef e non altro. Del resto non è chiaro quanto costerebbe il meccanismo che permette ai contribuenti di mettersi in regola con il fisco, pagando i debiti senza interessi e sanzioni. Una stima si aggira sui 5 miliardi, cioè il doppio di quanto potrebbe servire per ridurre l’Irpef al ceto medio. Ma per il Carroccio, la rottamazione è ormai la nuova bandiera. Un obiettivo votato “all’unanimità” – sottolinea il partito in serata – per regolarizzare “chi voleva pagare le tasse, ma non è stato nelle condizioni di farlo”.

In altre parole non è un regalo agli evasori ma piuttosto un aiuto a chi è moroso, è la tesi dei leghisti sostenuta anche dal ministero dell’Economia. Perciò, attenti a far passare il messaggio giusto, l’opzione migliore sarebbe quella di proporre la rottamazione con un provvedimento ampio e condiviso da tutto il governo, piuttosto che un’iniziativa di un partito. “Giorgetti ha confermato che al Mef sono già al lavoro per trovare una soluzione tecnica”, è la vulgata. Del resto al Senato è aperto anche il fronte della rottamazione quater, che la Lega vorrebbe rinnovare chiedendo cioè che si estenda alle cartelle successive al 2022.

Questione che sta animando, e rallentando, l’iter del decreto Milleproroghe. L’approdo in Aula rischia di slittare alla prossima settimana (il provvedimento deve passare alla Camera e va convertito entro il 25 febbraio) e incombe ancora la riformulazione dell’emendamento dei relatori (ritirato martedì) che dovrebbe riscrivere la riapertura della rottamazione quater per i decaduti, mentre dovrebbe essere esclusa la proroga per il concordato biennale. La Lega però va avanti per la sua strada. Conferma che non molla né sul disegno di legge sicurezza (va approvato senza correttivi, ripetono i big) né sull’autonomia differenziata. E prova a difendersi contro il rischio di fuoco amico o gli attacchi che vengono da chi insulta o critica” il partito. Perciò ha deciso – con l’unico voto contrario del segretario lombardo Massimiliano Romeo – che chi aderisce a quei movimenti o associazioni non può avere la tessera della Lega. Il riferimento è al ‘Patto per il nord’, la fronda voluta dagli ex leghisti Roberto Castelli e Paolo Grimoldi che ad esempio oggi hanno protestato “contro le inefficienze di Fs e Trenord” che pesano sui pendolari, con un presidio alla stazione di Milano Cadorna. Ma dalla fatwa è salvo Umberto Bossi. “Era, è e resterà nella grande comunità della Lega”, assicurano.

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