Collegati con noi

Economia

L’Italia sempre più vecchia e con meno abitanti

Pubblicato

del

Una popolazione sempre più vecchia, in costante calo demografico, con prevalenza di donne, dove diminuiscono gli stranieri, si alza l’età media e la mortalità da Covid continua ad incidere. E’ l’Italia che raccontano gli ultimi dati forniti dall’Istat grazie al censimento permanente che si avvale ormai di un metodo statitistico a campione dal bassissimo impatto ambientale tanto da aver abbattuto di oltre il 90 per cento le emissioni di Co2 negli ultimi dieci anni. E dunque, nel nostro Paese l’età media si è innalzata di tre anni rispetto al 2011, da 43 a 46 anni.

La Campania continua a essere la Regione più giovane (età media di 43,6 anni) mentre la Liguria si conferma quella più anziana (49,4, anni). Nel 2021 per ogni bambino si contano 5,4 anziani contro meno di un anziano per ogni bambino del 1951 (3,8 nel 2011). L’indice di vecchiaia è notevolmente aumentato e continua a crescere, “dal 33,5% del 1951 al 187,6% del 2021”. In numeri assoluti, la popolazione censita al 31 dicembre 2021 “ammonta a 59.030.133 residenti, in calo dello 0,3% rispetto al 2020 (-206.080 persone)”.

Ancora elevato è l’impatto del numero di morti da Covid-19 sulla dinamica demografica nel 2021: il totale dei decessi, 701.346, sebbene in diminuzione rispetto all’anno precedente (quasi 39mila decessi in meno), rimane significativamente superiore alla media 2015-2019, +8,6%. Il decremento di popolazione interessa soprattutto il Centro Italia (-0,5%) e l’Italia settentrionale (-0,4% sia per il Nord ovest che per il Nord est), è più contenuto nell’Italia meridionale (-0,2%) e risulta minimo nelle Isole (appena 3mila unità in meno).

Il calo di popolazione non è dovuto solo al saldo naturale negativo ma, spiega il Report di oggi, “è da attribuire in parte alla diminuzione della popolazione straniera. Gli stranieri censiti sono 5.030.716 (-141.178 rispetto al 2020), con un’incidenza sulla popolazione totale di 8,5 stranieri ogni 100 censiti”. Si svuotano poi i piccoli centri mentre si fanno sempre più densi gli agglomerati urbani. Roma è il comune più grande con 2.749.031 residenti, Morterone (in provincia di Lecco) quello più piccolo (con appena 31 abitanti). Anche nel 2021 si conferma la leggera prevalenza delle donne che, superando gli uomini di 1.392.221 unità, rappresentano il 51,2% della popolazione residente. Altri dati rilevati riguardano l’istruzione: in dieci anni sono dimezzati gli analfabeti mentre aumentano i diplomati e i laureati anche se non in maniera uniforme (percentuali più basse si riscontrano al Sud).

In primo piano resta quindi il tema della denatalità. “Per il 2022 – ha spiegato infatti il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo – continuiamo a prevedere una tendenza regressiva, determinata da una incertezza che è certamente la somma della coda della pandemia, dell’inflazione e della guerra”. Uno scenario su cui si innestano anche i dati forniti oggi dall’Osservatorio economico delle Acli secondo cui ad aver pagato di più la crisi negli ultimi tre anni sono “le donne con meno di 40 anni e un figlio”.

“L’affresco demografico tracciato dall’Istat sulla base dei dati del censimento 2021 – ha quindi commentato la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità, Eugenia Roccella – è a tinte fosche e purtroppo tutt’altro che inatteso. La denatalità è “il” problema non solo dell’Italia ma dell’Italia in particolare. E come governo ne siamo consapevoli: lo attesta il nostro programma, lo certificano le prime scelte compiute”. Per Roccella, “servono interventi economici, come dimostra lo studio delle Acli sulla perdita di reddito, e su questo fronte abbiamo già dato segnali importanti nella legge di bilancio nonostante i pesanti vincoli di spesa dovuti alla crisi energetica. Ma servono anche interventi culturali, per restituire prestigio sociale alla maternità. Tocca a noi, lo sappiamo e lo dimostreremo”. Laconico il commento di Gigi de Palo del Forum delle famiglie: “In Italia se fai un figlio diventi povero”.

Advertisement
Continua a leggere

Economia

Il clima affonda la produzione di vino in Italia (-23%)

Pubblicato

del

Piogge frequenti e malattie delle viti fanno crollare la produzione di vino in Italia. Tra agosto 2023 e luglio 2024 l’Unione europea vedrà un calo della produzione annua di vino del 10% (stimata in circa 143 milioni di ettolitri, il dato più basso dal 2017-18) a causa “delle condizioni meteorologiche avverse”: un dato trainato da una “diminuzione significativa” osservata tanto in Italia (-23%) quanto in Spagna (-21%) nei dodici mesi. A rilevarlo è l’ultimo rapporto sulle prospettive a breve termine per i mercati agricoli dell’Ue pubblicato dalla Commissione europea. Intanto oggi è stato presentato alle associazioni di settore il nuovo avviso Ocm vino ‘Promozione sui mercati dei paesi terzi’.

Il ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, mette a disposizione degli operatori 22 milioni di euro a cui vanno aggiunti 71 milioni di euro per bandi regionali e multiregionali per un investimento complessivo che supera i 90 milioni di euro. “L’avevamo detto e l’abbiamo fatto anche prima del previsto”, ha segnalato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. “Ci stiamo muovendo per una più grande valorizzazione dell’export del vino”. Da subito per il Governo “è stata una priorità”, ha sottolineato. Il rapporto della Commissione Ue sulla produzione attesa a luglio 2024 sottolinea che il settore continua a essere influenzato da numerosi eventi “fuori dal controllo” degli agricoltori, come le crisi climatiche e geopolitiche, che esercitano pressioni in termini di prezzi, domanda e reddito.

Il “calo senza precedenti” che si osserverà in Italia, spiega l’Ue, è “determinato da frequenti piogge nelle regioni dell’Italia centrale e meridionale, e le conseguenti malattie fungine delle viti”. Visto il crollo della produzione in Spagna e Italia, la Francia tornerà a essere il primo produttore di vino in Ue. Non solo produzione, Bruxelles stima che a diminuire sarà anche il consumo (-1,5%) fino a 96 milioni di ettolitri, in particolare dei vini rossi, dovuto anche al fatto che più giovani preferiscono altri alcolici, soprattutto birre e cocktail. Considerata “l’imprevedibilità degli eventi meteorologici estremi e dei bruschi cambiamenti osservati nell’ultimo anno”, il rapporto mette in guardia sulla necessità di trattare “con cautela” i segnali attuali. Nel 2023-2024 a crollare saranno inoltre i volumi delle esportazioni di circa l’11%, a 28 milioni di ettolitri. Non solo sul vino, le condizioni meteorologiche avverse peseranno anche sulla produzione europea di mele e arance, le esportazioni delle quali diminuiranno drasticamente. Quanto alla produzione di olio d’oliva, la Commissione stima “una leggera ripresa” tra ottobre 2023 e settembre 2024 dopo un raccolto record lo scorso anno. Quanto ai cereali, si prevede che nel 2024/25 la produzione aumenterà fino a circa 278,5 milioni di tonnellate (+ 3% su base annua), principalmente grazie a rese migliori. Le importazioni tra luglio 2023 e giugno 2024 potrebbero rimanere superiori del 17% rispetto alla media quinquennale.

Continua a leggere

Economia

Ponte sullo Stretto, dubbi su altezza, ‘ok grandi navi’

Pubblicato

del

È ormai l’opera più discussa e chiacchierata nella storia d’Italia: il Ponte sullo Stretto di Messina. A esprimere nuovamente le proprie perplessità sul Ponte, rilanciato dal vicepremier e ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini, è Federlogistica, secondo cui sarebbe troppo basso per le grandi navi. L’amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, invece rassicura che navi da crociera e portacontainers non avranno problemi a transitare nello Stretto una volta costruito il Ponte. In una intervista il presidente di Federlogistica, Luigi Merlo, ribadisce che un’altezza massima di 65 metri sul livello del mare “impedirebbe” il transito di alcune grandi navi, “alte più di 68 metri”, ed inoltre essendo il Ponte a campata unica, i 65 metri di altezza verrebbero raggiunti solo nella parte più alta, mentre verso le due sponde, il cosiddetto franco navigabile, si ridurrebbe, spiega.

Dal canto suo Ciucci sottolinea che il franco navigabile del ponte sullo Stretto “è di 72 metri per una larghezza di 600 metri e si riduce a 65 metri, solo in presenza di condizioni eccezionali di traffico pesante stradale e ferroviario” e che “questi parametri sono in linea con i ponti esistenti sulle grandi vie di navigazione internazionali, in coerenza con le procedure stabilite dalle norme Imo (International Maritime Organization)”. L’a.d della Stretto di Messina aggiunge poi che la commissione tecnica istituita al Mit ha già effettuato “un esame approfondito del traffico” degli ultimi anni nello Stretto, suddiviso per le diverse imbarcazioni, “dal quale non emergono criticità legate al Ponte”. E sempre Ciucci fa notare che la quasi totalità delle navi portacontainer solca il Mediterraneo dopo avere attraversato il Canale di Suez e, quindi, dopo essere transitate al di sotto dell’Al Salam Bridge, il cui franco navigabile “è inferiore ai 72 metri” che saranno disponibili sullo Stretto di Messina.

E a rassicurare sul Ponte interviene anche Marco Lombardi, amministratore delegato di Proger Spa, società coinvolta nella progettazione dell’opera. “Il Ponte sullo Stretto regge benissimo, è un’opera sicura, innovativa e il via libera arriverà presto”, afferma. Le opposizioni però non si lasciano convincere. “E’ un ponte costosissimo, inutile e fatto male”, scandisce la deputata del Pd e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, Laura Boldrini, accusando il governo di arrivare a concepire una spesa di 15 miliardi di soldi pubblici “per una follia simile”.

Continua a leggere

Economia

Polemica su sgravi al Sud, il governo lavora al rinnovo

Pubblicato

del

Scoppia la polemica sullo stop agli sgravi contributivi per le imprese del Mezzogiorno, una misura introdotta dal governo Conte II nel 2021, autorizzata dalla Ue in quanto aiuto di Stato straordinario in tempi di Covid, prorogata diverse volte ed ora arrivata al capolinea del 30 giugno, quando si tornerà al vecchio regime Ue sugli aiuti di Stato. L’opposizione accusa il governo di mandare a morire la misura che sta sostenendo le imprese al Sud ma il ministro degli Affari europei, Sud, Politiche di Coesione e Pnrr, Raffaele Fitto, respinge al mittente le ricostruzioni “false e pretestuose” e assicura che il governo negozierà con la Ue “nuove modalità possibili di applicazione della misura”.

‘Decontribuzione Sud’ aveva fin dall’inizio una scadenza naturale, essendo figlia dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato varato dalla Commissione europea durante la pandemia per sostenere le imprese. Con il ritorno alle normali regole europee, il prossimo 30 giugno, verranno meno tutti gli aiuti straordinari che i governi misero in campo negli anni del Covid. Ma per l’opposizione non ci sono motivazioni che tengano e il governo dovrebbe fare di tutto per non lasciar scadere l’aiuto alle imprese del meridione. “Questo governo sta schiaffeggiando il Sud”, attacca il presidente del M5s Giuseppe Conte, spiegando come gli aiuti hanno consentito assunzioni tra il 2021 e il 2023, in aree svantaggiate, di circa 3,7 milioni di persone. Anche il Pd insorge contro “l’ennesimo taglio” che avrà “effetti devastanti”, perché “sono a rischio tre milioni di contratti. In allarme anche i sindacati, che hanno avuto la notizia dello stop proprio da Fitto.

“Non confermare il taglio del costo del lavoro per oltre tre milioni di lavoratori dipendenti, aggiunge ulteriori rischi sul fronte occupazionale per quelle regioni”, ha detto il segretario confederale della Uil, Santo Biondo. Ma l’esecutivo si difende e rivendica non solo l’attenzione per il Sud ma anche per la vecchia misura del governo Conte II, di cui il governo Meloni ha chiesto due rinnovi, ottenendo anche un aumento dei massimali. Fitto spiega che il governo aveva già chiesto alla Ue “la massima estensione temporale compatibile con la scadenza del Quadro temporaneo” sugli aiuti di Stato, una tagliola da cui però non è più possibile scappare. Per questo ora “il governo avvierà un negoziato con la Commissione europea per verificare nuove modalità possibili di applicazione della misura, in coerenza con la disciplina europea ed al di fuori delle misure straordinarie del temporary framework sugli aiuti di Stato”. Il ministro ribadisce poi che l’impegno “per tutelare gli interessi del Sud e per garantirne lo sviluppo”. E ricorda che il decreto Coesione, che il governo ha ribattezzato decreto Primo maggio, prevede proprio una serie di misure per il lavoro tra cui diversi bonus che incentivano le assunzioni di donne, giovani e disoccupati soprattutto al Sud, attraverso sgravi contributivi del 100% per due anni. Stando alla nuova bozza del decreto, però, partiranno non più da luglio come annunciato nella prima versione ma scatteranno sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato dal primo settembre 2024 al 31 dicembre 2025.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto