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‘L’Iran ha fornito missili a Mosca’, sanzioni a Teheran

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L’ennesima “escalation” paventata da giorni dall’Occidente sullo sfondo dei conflitti che infiammano il mondo, dal fronte russo-ucraino al Medio Oriente, è già terreno di scontro concreto. Questa volta con al centro della bufera di nuovo l’Iran, accusato – dagli Usa in primis, dagli alleati europei a ruota – d’aver iniziato a fornire missili balistici a Mosca in barba a tutti i moniti sulle “conseguenze” che ne sarebbero potute derivare: conseguenze tradottesi ora in un ulteriore pacchetto di sanzioni. A formulare la denuncia contro la Repubblica Islamica è stato Anthony Blinken, segretario di Stato americano, a margine di un faccia a faccia al Foreign Office con il ministro degli Esteri britannico, David Lammy: momento saliente della sua prima missione bilaterale sull’isola dal passaggio di consegne a Downing Street due mesi orsono fra i conservatori e i laburisti di Keir Starmer (atteso a sua volta da Joe Biden alla Casa Bianca venerdì 13).

Missione servita ad appianare screzi – veri o presunti – innescati la settimana scorsa dalla decisione unilaterale del Regno di sospendere l’invio di una quota (simbolica) di armi dirette a Israele nel timore d’un loro utilizzo “in grave violazione del diritto internazionale” nella Striscia di Gaza palestinese; e per riallineare Londra e Washington, nel nome della storica “relazione speciale”, non solo sulla comune parola d’ordine del sostegno senza se e senza ma a Kiev, ma pure sul dosaggio degli avvertimenti indirizzati all’alleato israeliano dell’indocile Benyamin Netanyahu.

Unità d’intenti certificata dalla risposta – confezionata proprio a Londra – al nuovo guanto di sfida attribuito a Teheran. Blinken ha rotto gli indugi, con Lammy al fianco, sostenendo che gli Usa hanno ormai le prove di un salto di qualità nella cooperazione missilistica fra l’Iran e le forze di Vladimir Putin. Secondo l’accusa, decine di militari russi sarebbero già stati addestrati in territorio iraniano all’uso di razzi a medio-corto raggio Fatah-360 (120 chilometri di gittata). “Missili balistici”, ha detto il segretario di Stato, in parte trasferiti frattanto in Russia.

E che Mosca “intende probabilmente usare nel giro di alcune settimane contro gli ucraini”. “Noi avevamo ammonito in privato l’Iran che un passo del genere avrebbe costituito una drammatica escalation”, ha insistito quindi Blinken, rinfacciando alla nuova leadership iraniana di aver ripetutamente invocato una riapertura del dialogo, in particolare con l’Europa, per ottenere un alleggerimento delle sanzioni, ma di muoversi in realtà in tutt’altra direzione: “Con azioni destabilizzanti come queste, otterrà esattamente l’effetto opposto”, ha tagliato corto.

Detto fatto, ecco le nuove sanzioni. Estese da Washington anche alla compagna di bandiera Iran Air; e riprodotte a stretto giro in una dichiarazione congiunta da Regno Unito, Francia e Germania, gli altri tre Paesi occidentali coinvolti a suo tempo negli abortiti negoziati con Teheran sul nucleare civile. Nel loro comunicato, Londra, Parigi e Berlino hanno evocato in dettaglio misure punitive “immediate” con l’interruzione dei servizi aerei con l’Iran (la cancellazione dei voli passeggeri è stata confermata dalle autorità britanniche fin da queste ore), assieme a restrizioni aggiuntive contro individui e organizzazioni sia russe sia iraniane legate al complesso militar-industriale, nonché contro il business delle navi cargo di Mosca sospettate di partecipare al trasporto di componenti missilistiche.

“La fornitura iraniana di missili balistici alla Russia alimenta l’invasione illegale dell’Ucraina e il barbaro attacco a una democrazia sovrana, noi eravamo stati chiari che avrebbe avuto una risposta significativa”, ha riecheggiato da parte sua Lammy. Non senza ribadire il ruolo in prima fila del Regno fra “i partner” Nato – anche sotto il nuovo governo succeduto alle compagini Tory di Rishi Sunak o di Boris Johnson (amico numero uno di Volodymyr Zelensky) – per assicurare a Kiev tutto il sostegno necessario “whatever it takes”. Un impegno che il neo-inquilino del Foreign Office si prepara a testimoniare in una rara missione in tandem con Blinken in Ucraina annunciata oggi: qualcosa d’inedito “da ben oltre un decennio” da parte dei capi delle diplomazie dei “due alleati più stretti di tutti”.

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Calcio: arbitro Coppa del Re denuncia pressioni di Real Madrid Tv

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L’arbitro della finale di coppa del Re, domani sera a Siviglia tra Barcellona e Real Madrid, Ricardo de Burgos Bengoechea, ha puntato il dito contro la Tv del Real per la pressione che mette sui direttori di gara designati per le partita della squadra guidata da Carlo Ancelotti. Senza riuscire a trattenere le lacrime durante la conferenza stampa svoltasi alla vigilia, l’arbitro ha denunciato che “i video su Real Madrid TV ci mettono grande pressione e hanno anche gravi ripercussioni nella tua vita privata – ha detto -. Quando tuo figlio torna a casa da scuola piangendo perché gli dicono che suo padre è un ladro, è davvero dura. E’ una situazione assurda”.

De Burgos Bengoechea ha aggiunto che è il momento di “riflettere” sulla situazione attuale del calcio spagnolo, affermando che diversi suoi colleghi avevano deciso di scendere di categoria per non subire più la pressione dei massimi livelli. Il canale televisivo del Real Madrid produce ogni settimana dei video per screditare gli arbitri delle loro prossime partite. Ma la pressione è aumentata da febbraio, quando il club ha lanciato una guerra istituzionale contro un sistema arbitrale “completamente screditato” e un “sistema corrotto dall’interno” dopo le decisioni che la Liga ha preso nei suoi confronti. Il responsabile della Var, Pablo Gonzalez Fuertes, ha detto a sua volta che gli arbitri potrebbero prendere ulteriori provvedimenti sulle trasmissioni di Real Madrid TV. “Non c’è dubbio che dovremo iniziare ad adottare misure molto più serie Faremo la storia, perché non continueremo a sopportare quello che stiamo sopportando”, ha affermato, senza approfondire.

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I 23 cardinali latinoamericani che sceglieranno Papa

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Tra i 135 cardinali con un’età al di sotto degli 80 anni che formeranno il Conclave per l’elezione del nuovo pontefice, 23 sono latinoamericani. Il 13 marzo 2013 a eleggere Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro erano appena 19. Il Brasile è il paese della regione più rappresentato, con sette cardinali.

Di questi, due sono stati nominati da Benedetto XVI: l’arcivescovo di San Paolo, il 75enne Odilo Scherer, e il 77enne João Braz de Aviz, a capo del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Nominati da Francesco il 74enne arcivescovo di Rio de Janeiro Orani João Tempesta, quello di Manaus, il 74enne Leonardo Ulrich Steiner, il 65enne arcivescovo di Salvador Sérgio da Rocha, il 64enne Jaime Spengler a capo dell’arcidiocesi di Porto Alegre e il 57enne Paulo Cezar Costa, arcivescovo di Brasilia.

Quattro gli argentini, tutti nominati da Francesco, ovvero il 62enne Víctor Manuel Fernández che guida il Dicastero per la dottrina della fede, il 66enne Angel Sixto Rossi, arcivescovo di Córdoba, di Santiago del Estero il 72enne Vicente Bokalic Iglic e il 77enne arcivescovo emerito di Buenos Aires, Mario Aurelio Poli.

Gli altri sei cardinali sudamericani in Conclave sono l’uruguaiano 65enne Daniel Fernando Sturla, secondo il canale Ntn24 unico “papabile”, il paraguayano Adalberto Martínez Flores (73 anni), il peruviano Carlos Gustavo Castillo Mattasoglio (75 anni), il 68enne cileno Fernando Natalio Chomalí Garib, il 63enne colombiano Luis José Rueda Aparicio e l’ecuadoriano Luis Gerardo Cabrera Herrera (69 anni).

Il Messico ha due porporati in Conclave: l’arcivescovo primate del Messico, il 75enne Carlos Aguiar Retes, nominato da Francesco, e il 74enne arcivescovo di Guadalajara Francisco Robles Ortega, scelto da Benedetto XVI.

In America Centrale e nei Caraibi sono invece quattro i cardinali in Conclave, tutti nominati da Francesco, ovvero il 76enne cubano Juan de la Caridad García Rodríguez, il 77enne guatemalteco Álvaro Leonel Ramazzini Imeri, il 76enne nicaraguense Leopoldo Brenes e l’haitiano Chibly Langlois, di 66 anni.

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La preside e il no allo schwa sul giornalino del liceo

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Il divieto agli asterischi e allo schwa negli atti delle scuole, voluto dal ministro Valditara, incontra i primi scogli. Succede così che la ‘censura’ al giornalino di un liceo di Padova, per l’utilizzo del simbolo ‘schwa’ in un articolo, abbia dato fuoco alle polveri della polemica. Il segno in matita rossa l’ha messo la preside del liceo artistico ‘Pietro Selvatico’ – storica scuola di visioni aperte e progressiste – che ha fermato il ‘Wild Times’ (la testata studentesca) per uno ‘schwa’ di troppo. In uno dei ‘pezzi’ del menabò, scritto da un’ex alunna per raccontare cosa succede dopo il diploma superiore – l’iscrizione all’università, i test d’ingresso – ci si rivolgeva ai ragazzi chiamandoli “studentə”, invece che studenti e studentesse.

“Lo schwa – ha osservato la preside, Giovanna Soatto – non è un fonemo leggibile ad alta voce spiega e, usato in quel contesto, non è né necessario né efficace. Anzi, mi è parsa una forzatura che rischiava di diventare giudicante verso chi non condivide quelle scelte linguistiche”. “Il linguaggio della scuola – ha rimarcato – deve poter parlare a tutti, non solo alla comunità queer. Non ho fermato il giornalino, ho solo chiesto che venisse rispettata la lingua italiana, già di per sè inclusiva”. Detto-fatto: il giornalino è stato aggiornato e pubblicato regolarmente sul sito della scuola. Ma gli studenti non hanno gradito. In una lettera aperta la redazione si è appellata alla “libertà di espressione, fondamentale in un percorso di crescita, che una scuola libera e aperta come la nostra – è scritto – dovrebbe promuovere”.

La diatriba si è allargata dalle aule del Selvatico alla comunità studentesca padovana. “Se perfino la Cassazione ha tolto ‘madre’ e ‘padre’ dai documenti dei minori per non essere discriminatoria, perché non si può usare una vocale neutra?” è la domanda posta da Sophie Volpato, rappresentante della Rete Studenti Medi. Anche la parlamentare del Pd Rachele Scarpa, annunciando un’interrogazione in proposito, si è schierata al fianco degli studenti: “la redazione – ricorda – ha reagito coraggiosamente con una lettera aperta definendo l’accaduto ‘un atto di censura’, e ricordando che il loro giornalino ‘è nato per dar voce a tutti, non per omologare il pensiero'”.

La linea della preside, del resto, risponde alla contestata circolare del ministero dell’Istruzione del 21 marzo scorso, scritta (coincidenza) dalla ex dirigente dell’ufficio scolastico del Veneto, Carmela Palumbo: “l’uso di segni grafici non conformi, come l’asterisco (*) e lo schwa (ə), è in contrasto con le norme linguistiche e rischia di compromettere chiarezza e uniformità della comunicazione istituzionale”.

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