Collegati con noi

In Evidenza

L’Europa che noi italiani abbiamo pensato ma che non abbiamo saputo costruire

Pubblicato

del

Non abbiamo saputo gestire l’Italia, figuriamoci l’Europa che così oggi subiamo drammaticamente. Per decenni abbiamo lasciato saccheggiare il nostro Paese, il più bello del pianeta, che quindi oggi non meriteremo neanche di abitare. Abbiamo votato e rivotato personaggi dai quali ci siamo fatti prendere in giro una volta, due volte, tre volte, e via di seguito,  senza dimostrare dignità e quindi amor di Patria. 

Europa

Abbiamo lasciato che la peggior politica, in modo del tutto indisturbata, lottizzasse e saccheggiasse la Sanità e ce ne accorgiamo solo ora. Eppure gli operatori sanitari che oggi giustamente osanniamo come eroi dei giorni nostri,  fino ad ieri sono stati addirittura aggrediti da bestie di turno senza destare una ondata di indignazione, quel sentimento sociale che rappresenta il vero metro di misura della maturità di un popolo. 

Troppo presi dal personale, abbiamo perso ogni capacità di reale indignazione, quindi la capacità di proteggere l’interesse comune, quindi la felicità di ognuno di noi. Ad oggi sono circa 15.000 le persone amate che non abbiamo potuto neanche seppellire, portate via da colonne di autocarri militari verso luoghi lontani dove vengono cremate una dietro l’altra, là dove la luce della pietas è stata sostituita  dal bruciatore di un forno crematorio. Ed in tutto questo dramma ci riscopriamo maledettamente soli, completamente ignorati dall’Unione Europea.

Eppure, per dirla parafrasando De Luca, anzi, Crozza: “L’Europa ce la siamo inventata noi” perché negli anni 50’ del trascorso  XX secolo, terminati gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, animati dai più nobili ideali di pace e cooperazione, siamo stati tra i sei ( sì, solo sei ) Paesi a creare la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, così dando vita a quel primo centro gravitazionale formato appunto dall’aggregazione della nostra Italia col Belgio, la Francia, la Germania, il Lussemburgo ed i Paesi Bassi. Nessun altro. 

Dopo pochi anni, nel 1957, con il trattato firmato proprio a Roma, nasceva la Comunità Economica Europea (CEE) ed il “Mercato comune”, il germoglio che si sarebbe trasformato nell’ Unione Europea.

Tuttavia, per nostra esclusiva e gravissima colpa, abbiamo lasciato che la peggior politica anche lì non ci rappresentasse, una volta, due volte, tre volte, e via di seguito, ed è per questo che oggi, ad una nostra ovvia richiesta di collaborazione, in piena pandemia, la Germania può arrogarsi la facoltà di dire che dobbiamo fare ancora “sacrifici”, perché 15.000 morti non lo sono. 

Così paghiamo l’assenza di un’Europa che non abbiamo saputo costruire, condannati da noi stessi a non poter seguire l’attuale indicazione dell’autorevolissimo Draghi, ossia che per uscire da questa attuale catastrofe bisogna spendere anche a costo di fare debito, perché ciò che oggi sta uccidendo migliaia di italiani e devastando la nostra economia è l’impossibilità di acquistare non solo macchinari di terapia intensiva, ma finanche tamponi e mascherine di cui oggi siamo ancora in disperata ricerca. Proprio la mancanza di tamponi ha fatto sì che ignari lavoratori e cittadini diventassero non solo vittime del “Covid19”, ma addirittura veicolo inconsapevole di contagio. La mancanza di tali ausilii ci impedisce anche di conoscere il reale dato di contagiati, sicuramente più alto di quello ufficiale.

Europarlamento

Tutto questo ci fa rabbia e fa ribollire il sangue ma la posizione italiana resta debole perché a differenza nostra, i paesi della UE che oggi negano all’Italia di potersi rialzare, confidano nella credibilità che hanno guadagnato in decenni di esperienza sociale, perché ad esempio se i Francesi percepiscono di essere presi in giro da un loro rappresentante fanno una rivolta, se un politico tedesco viene incolpato di aver copiato la tesi di laurea si dimette immediatamente salvo poi dimostrare anche di essere estraneo ai fatti. E da noi? Cosa accadrebbe? Poco o nulla, così come poco o nulla si dimostra appunto l’autorevolezza italiana a Bruxelles, ragion per la quale siamo costretti anche oggi ad essere trattati come gli “ultimi della classe”, ai quali poter negare tutto anche se schiacciati da una pandemia senza precedenti.

Ecco perché agli appelli di Conte all’Europa in queste ore fa eco il nulla e a noi non resta che consolarci ascoltando gli accalorati proclami dei nostri governatori regionali allorquando esprimono un sacrosanto dissenso o invitano a restare in casa. Non ci resta altro e come sempre, quindi, la battaglia dobbiamo vincerla noi singoli cittadini, restando a casa o andando a morire nell’adempimento di un dovere lavorativo, mentre la classe politica produce il minimo o forse meno, raccomandazioni ed appelli, salvo attivarsi per la ghiotta fase della “ricostruzione” che con ogni probabilità sarà gestita anche dal malaffare.

Govanni Falcone

Del resto nel nostro Paese, per ascoltare il Giudice Falcone abbiamo dovuto attendere che saltasse in aria con la moglie e la sua scorta, mentre consentivamo ai partiti politici di diventare veri e propri club per pochi eletti, sempre gli stessi, con aggiunta di qualche amico o magari un parente. Sempre degli stessi, ed il raccapricciante risultato è sotto gli occhi di tutti. 

Anche se la Germania è un paese cinico e l’Unione Europa rappresenta oggi una fredda somma di interessi nazionali, noi eravamo lì fin dall’inizio e non abbiamo saputo né renderla più solidale, né saputo fare gli interessi del nostro Paese in un consolidato contesto di cinismo.

Noi che l’Europa ce la siamo inventata ci siamo accontentati di non far inserire l’italiano tra le lingue ufficiali dei lavori della Commissione europea, dove invece si annoverano l’Inglese (dell’Inghilterra entrata dopo anni e senza euro e che ora non c’è più), il Francese ed ovviamente il Tedesco. 

Se già dall’inizio abbiamo dunque abbassato la testa ed abbiamo continuato a farlo costantemente, oggi non possiamo pretendere di ottenere quel rispetto che nessuno ci darà. Il rispetto dobbiamo conquistarlo, senza più attendere. 

Ecco che allora i morti di questa pandemia pagano il prezzo dell’ignavia di tutti. Nel loro nome, per il loro rispetto, mai più dovremmo regalare, svendere o addirittura vendere il nostro voto.

Per noi e soprattutto per loro ed i loro cari sopravvissuti a questo incubo, abbiamo l’obbligo morale di alzare la testa e mai più abbassarla o rivolgerla altrove come fino ad oggi abbiamo fatto, una volta, due volte, tre volte e via di seguito.

 

Advertisement

Economia

Nagel apre la partita sul Leone, Mps non si ferma

Pubblicato

del

Mediobanca gioca la sua mano nella partita del risiko bancario proponendo di scambiare la quota del 13% nelle Generali con la totalità delle azioni di Banca Generali. Un’operazione che da un lato trasformerebbe in un asset industriale una partecipazione finanziaria con cui i manager di Piazzetta Cuccia hanno sempre inciso sulle scelte strategiche del Leone e dall’altro aprirebbe nuovi scenari sugli assetti di controllo del grande ‘forziere’ del risparmio italiano. La mossa, di cui l’ad di Mediobanca Alberto Nagel (foto Imagoeconomica in evidenza) ha sottolineato la valenza industriale e la coerenza con il piano di Piazzetta Cuccia, ha però anche l’effetto non secondario di cercare di sottrarre la banca all’abbraccio sgraditissimo di Mps, la cui scalata potrebbe diventare più costosa se il mercato crederà alle promesse di Nagel e più complessa in uno scenario di integrazione a tre.

“L’operazione – scrivono gli analisti di Bofa – aggiunge incertezza e uno strato di complessità al progetto di un terzo polo Mps-Mediobanca”. Non la vedono così a Siena dove tira tutt’altro che aria di resa. Non solo l’offerta su Banca Generali viene giudicata non “ostativa” della scalata a Mediobanca ma viene anzi ritenuta in grado di “rafforzare il valore industriale” dell’operazione di Mps, che punta a aumentare la sua presenza nel wealth management e valuta “non strategica” e cedibile la quota nel Leone. Lovaglio può contare sul sostegno dei suoi grandi sponsor. Anzitutto del governo, dove fra i meloniani Banca Generali viene considerata la “risposta scaltra” di Nagel al Monte e si auspica che l’ops di Mps “vada in porto”.

Ma anche di Caltagirone e Delfin, che insieme hanno il 27,2% di Mediobanca e il 20% di Mps, e non appaiono intenzionati a deporre le armi, come dimostra l’astensione dei rappresentanti di Delfin nel cda di Mediobanca e la battaglia che potrebbero dare in Generali, anche sollevando il tema del conflitto di interesse di Mediobanca, i consiglieri del Leone eletti nella lista Caltagirone. Si tratterà di vedere se, alla prova del mercato, Nagel sarà in grado di convincere i suoi azionisti che è meglio una Mediobanca indipendente e con una solida presenza nel wealth management ad un matrimonio con Mps, che con Piazzetta Cuccia punta invece a diversificare il suo business e a creare il terzo polo bancario. Ma anche se saprà spingere i soci di Banca Generali, a partire dal Leone, a consegnare le azioni. A caldo la Borsa – dove viene riconosciuto il senso industriale e finanziario dell’ops per Mediobanca ma meno per Generali e Banca Generali – ha risposto con una certa freddezza, facendo scendere Piazzetta Cuccia (-0,8%) e Generali (-1,1%) e spingendo Mps (+2,1%).

Ma il piano di Mediobanca prevede anche l’addio a Trieste, con metà della quota che verrebbe rilevata dal Leone e metà che si dissolverebbe nel mercato. Per Generali – dove Delfin ha quasi il 10%, Caltagirone il 6,8% e Benetton il 4,8% – si aprirebbe l’esigenza di puntellare la compagine tricolore che ne difenda l’italianità, in una fase in cui il governo ha acceso un faro sull’accordo nell’asset management con Natixis. Una partita su cui potrebbero avere qualcosa da dire Intesa, che domani investirà il suo ceo Carlo Messina con un nuovo mandato triennale, e soprattutto Unicredit, che ha già rastrellato il 6,7% del capitale e ha votato con Caltagirone e Delfin in assemblea, auspicando un cambio di passo a Trieste. Una partita che potrebbe incrociarsi con l’ops su Banco Bpm, partita oggi con la consegna di sole 798 azioni. L’operazione è fortemente a rischio dopo i paletti imposti dal governo con il golden power, in relazione ai quali Unicredit, che per ora non ha impugnato il provvedimento, ha chiesto chiarimenti. Nel frattempo il cda di Gae Aulenti ha rinviato al 12 maggio la presentazione dei suoi risultati, inizialmente in programma il 7, stesso giorno di quelli di Banco Bpm.

Continua a leggere

Esteri

Rubio a Lavrov: è ora di mettere fine a guerra senza senso

Pubblicato

del

Il segretario di Stato Marco Rubio ha detto al ministro degli esteri russo Serghei Lavrov che è il momento di mettere fine alla “guerra senza senso” in Ucraina. Rubio, in una recente intervista, ha definito la settimana in corso “cruciale” per capire le intenzioni di Russia e Ucraina, e per gli Stati Uniti per decidere se continuare o meno lo sforzo per la pace.

Nel corso del colloquio telefonico con Lavrov, Rubio ha messo in evidenza che “gli Stati Uniti sono seriamente intenzionati a porre fine a questa guerra insensata”, riferisce il Dipartimento di stato. Il segretario di stato ha quindi discusso con il ministro degli esteri russo dei “prossimi passi nelle trattative di pace e della necessità di porre fine alla guerra ora”.

Continua a leggere

Esteri

La squadra di Merz, il paladino di Kiev agli Esteri

Pubblicato

del

L’era Merkel è lontana e anche la politica, per molti troppo prudente, di Olaf Scholz è alle spalle. Friedrich Merz ufficializza la squadra dei futuri ministri conservatori e punta, per tirare la Germania fuori dalla crisi, su nomi nuovi: due top manager per l’economia e la digitalizzazione del Paese, un mastino bavarese agli Interni per la svolta sull’immigrazione, e un esperto di Difesa versato in diplomazia, fautore del massimo sostegno a Kiev, al ministero degli Esteri. Con queste scelte il cancelliere in pectore, che dovrebbe essere eletto al Bundestag il 6 maggio, si è detto pronto ad affrontare le sfide dei prossimi anni e le molte incognite che assillano un’Europa “minacciata” e incerta del futuro.

“Il supporto all’Ucraina è necessario per preservare la pace e la libertà in Germania”, ha scandito prendendo la parola al piccolo congresso di partito dei democristiani, che hanno approvato a Berlino il contratto di coalizione firmato coi socialdemocratici di Lars Klingbeil. “Consideriamo il nostro aiuto all’Ucraina come uno sforzo congiunto di europei e americani dalla parte dell’Ucraina. Non siamo parte in causa in questa guerra e non vogliamo diventarlo, ma non siamo neanche terzi estranei o mediatori tra i fronti. Non ci devono essere dubbi sulla nostra posizione: senza se e senza ma, dalla parte di questo paese attaccato”, ha incalzato ribadendo il rifiuto di una pace imposta. Merz ha anche ribadito di non volere alcuna guerra commerciale con gli Usa, e di esser pronto a spendersi “con ogni forza per un mercato aperto”. Sul fronte migranti, ha assicurato la svolta, che dovrà strappare la Germania alla seduzione dell’ultradestra: “Dal giorno numero uno proteggeremo al meglio le nostre frontiere, con respingimenti massicci”.

Per realizzare questi piani, Merz ha scelto Johann Wadephul, 62 anni, come ministro degli Esteri. L’uomo della Cdu che in passato ha spinto per un sostegno pieno a Kiev, contestando le remore di Scholz e spingendo ad esempio per la consegna dei Taurus, che il Kanzler uscente ha sempre negato a Zelensky. Ex riservista dell’esercito, giurista e poi deputato dal 2009, è un fidatissimo di Merz, e viene ritenuto un grosso esperto di difesa: avrebbe potuto essere anche ministro del settore che andrà invece all’SPD e resterà a Boris Pistorius. Agli Interni sarà nominato il noto volto della Csu bavarese Alexander Dobrindt, “il nostro uomo di punta a Berlino per la questione centrale della svolta sui migranti”, nelle parole di Markus Soeder che ha presentato i tre ministri in quota del suo partito.

La stampa tedesca ha accolto con interesse anche le nomine della brandeburghese Katherina Reiche, 51 anni, all’Economia – top manager del settore energetico, e proveniente dall’est – e quella di Karsten Wildberger, 55 anni, ceo di Mediamarkt e Saturn, colossi dell’elettronica, designato alla Digitalizzazione all’Ammodernamento dello Stato. All’Istruzione andrà Karen Prien, dello Schleswig-Holstein, prima ebrea a ricoprire un incarico da ministra, secondo quanto ha scritto Stern. In squadra ci sono poi Patrick Schnieder ai Trasporti, Nina Warken alla Salute, Thorsten Frei come ministro per la Cancelleria e l’editore conservatore Wolfram Weimer come ministro di Stato alla Cultura. Mentre è stato ancora Soeder a ostentare la scelta del suo partito per la ministra alla Ricerca e all’Aerospazio, Dorothea Baer, e il ministero dell’Alimentazione Agricoltura e Patria: “Dopo un vegano verde arriva un macellaio nero”. Basta col tofu, ha ironizzato il populista bavarese. Il governo di Merz sarà completo soltanto quando i socialdemocratici ufficializzeranno i loro nomi, il 5 maggio. Il partito di Klingbeil attende il referendum della base, che dovrà pronunciarsi sul patto con Merz: il risultato è atteso il 30 aprile. E solo se sarà positivo Merz sarà eletto cancelliere al Bundestag, il 6 maggio. Ma all’Eliseo non hanno dubbi: è stata già annunciata una sua visita a Parigi il 7.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto