Collegati con noi

Economia

Lega in pressing per un calo delle tasse, ma aumentano Imu e Tari

Pubblicato

del

Senza un “pesante” taglio delle tasse la Lega è pronta a non votare la manovra. Mentre il governo resta sull’ottovolante, con le tensioni che si moltiplicano dall’autonomia, alla giustizia, alla Tav, cresce il pressing leghista per abbassare il peso del fisco. Ma, mentre Matteo Salvini insiste, e conferma la seconda convocazione delle parti sociali al Viminale per parlare proprio del dossier fiscale, i dati del ministero dell’Economia, analizzati dalla Uil, mostrano che la tassazione sale, almeno quella locale. Ed e’ stata proprio la prima manovra gialloverde a lasciare mano libera a sindaci e amministratori locali, che per tre anni non hanno potuto azionare la leva fiscale per effetto di una norma voluta dal governo Renzi, poi confermata da Gentiloni. Secondo lo studio del sindacato sono gia’ 215 i Comuni (e 4 capoluoghi) che hanno rivisto al rialzo le aliquote Imu, che si paga solo sulle seconde case, agendo spesso, peraltro, sulla tassazione degli immobili affittati a canone concordato (come nel caso di Torino e La Spezia). Certo, si tratta di un numero esiguo rispetto agli oltre 8mila Comuni della Penisola ma molti, soprattutto grandi citta’ e capoluoghi, gia’ avevano portato al massimo l’imposizione prima del ‘congelamento’. Piu’ gettonato, secondo l’analisi Uil, l’intervento sulle addizionali comunali Irpef: al 26 luglio, su 4.078 Comuni, in 566 (il 14% del totale) hanno scelto di aumentare le aliquote e di rimodulare le esenzioni abbassandone la soglia. E non va meglio con la tassa sui rifiuti: nel 2019 la Tari aumenta in 44 Citta’ capoluogo (4 Citta’ su 10), tra cui Catania, Torino, Genova, Trieste e Napoli. In valori assoluti, il costo maggiore si registra a Trapani con 550 euro medi l’anno a famiglia; a Benevento se ne pagano 492 euro; ad Agrigento 470 euro; a Reggio Calabria e Salerno 461 euro. Oltre ai rincari, osserva comunque la Uil, si registrano anche (poche) riduzioni. Anche le tasse ‘sul mattone’, sulle quali Confedilizia continua a chiedere un intervento con urgenza, potrebbero essere uno dei temi del prossimo incontro leghista con le parti sociali. Dopo aver chiesto a sindacati e imprese la loro disponibilita’, vista la concomitanza con i tavoli avviati dal premier Giuseppe Conte, Salvini ha confermato il nuovo round per il 6 agosto, il giorno dopo l’incontro “di governo”. Da Palazzo Chigi si limitano a ricordare che il tavolo con le parti si terra’ il 5 agosto, nella sede dell’esecutivo. La maggior parte delle sigle sarebbe orientata a sfruttare anche questa occasione di confronto: “Le parti sociali – ha osservato il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia – sono compatte” e il 6 si limiteranno quindi a ribadire quanto detto agli altri tavoli. Al Viminale, nel pacchetto fiscale complessivo che sta studiando la Lega, potrebbe quindi essere illustrato anche il progetto di unificare Imu e Tasi, con l’eliminazione del prelievo sui servizi. Un punto su cui, pero’, ancora non ci sarebbe intesa con il Movimento 5 Stelle. Le distanze con l’alleato sul fisco, cosi’ come sul salario minimo, al momento sembrano in generale difficilmente superabili: la Lega punta sulla flat tax, il M5S vede invece una rimodulazione delle aliquote passando da 5 a 3. Il Movimento vorrebbe incidere poi sui sussidi dannosi per l’ambiente, a partire dalla tassazione agevolata sui carburanti, per recuperare risorse. Il Carroccio pensa invece alla ‘pace fiscale 2′, una nuova edizione delle varie sanatorie che apra il saldo e stralcio per i contribuenti in difficolta’ anche alle imprese. Ma vorrebbe anche recuperare l’intervento per l’emersione del contante tenuto nelle cassette di sicurezza, che aveva gia’ trovato il muro dell’alleato, da sempre contrario a qualunque tipo di “condono”.

Advertisement

Economia

Eurostat, in Italia povero il 9% dei lavoratori full time

Pubblicato

del

In Italia sale il rischio di povertà tra le persone che lavorano anche se impegnate a tempo pieno: nel 2024 gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale al netto dei trasferimenti sociali sono il 9%, in aumento dall’8,7% registrato nel 2023. Una percentuale più che doppia di quella della Germania (3,7%). E’ quanto emerge dalle tabelle Eurostat appena pubblicate secondo le quali, invece, sono il 10,2% i lavoratori di almeno 18 anni occupati per almeno la metà dell’anno (sia full time che part time) a rischio povertà, anche questi in aumento rispetto al 9,9% del 2023 .

In Spagna la percentuale dei lavoratori impegnati full time poveri è del 9,6% mentre in Finlandia è al 2,2%. Per chi lavora part time la percentuale di chi risulta povero in Italia nel 2024 risulta in calo dal 16,9% al 15,7%. La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per i lavoratori indipendenti, tra i quali il 17,2% ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale all’,8,4% dall’8,3% precedente. In Germania la quota degli occupati over 18 in una situazione di povertà è diminuita dal 6,6% al 6,5% mentre in Spagna è diminuita dall’11,3% all’11,2%. Soffrono in Italia di questa condizione soprattutto i giovani: tra i 16 e i 29 anni è povero l’11,8% degli occupati mentre tra i 55 e i 64 anni è il 9,3%. Nella povertà lavorativa conta il livello di istruzione.

Tra i lavoratori che hanno fatto la sola scuola dell’obbligo in Italia si registra un 18,2% di occupati poveri (era il 17,7% del 2023) mentre la percentuale crolla tra i lavoratori laureati, tra i quali solo il 4,5% risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale. Ma in questo caso si registra un importante aumento, visto che la percentuale era al 3,6% nel 2023. Si registra invece un lieve calo della povertà tra gli occupati che hanno un diploma con il 9,1% in difficoltà nel 2024 a fronte del 9,2% dell’anno precedente.

Continua a leggere

Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

Pubblicato

del

Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

Continua a leggere

Economia

Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

Pubblicato

del

Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto