In questi tempi, e non solo quelli del Coronavirus, in Italia si assiste a scontri sociali, razziali, economici, di classe, si assiste a guerre rivoluzionarie, dichiarazioni di indipendenza, lotte fratricide o meramente geografiche, basate su punti cardinali come Nord e Sud, ma non tenendo assolutamente conto che esistono anche Est e Ovest, in questi tempi bui di pallottole che fischiano, e di superuomini guerrieri, armati di tastiera, display, smartphone, account social dei più svariati calibri dai quali partono piani strategici e invettive pesantissime, che ovviamente lasciano il tempo che trovano nello spazio di miliardi di tweet, post, le pictures postate ogni minuto. In questo tempo, ed ora ancora “più tempo”, perché gestito da un infinitesimale virus, nessuno scende più in piazza a protestare, a far valere i propri diritti, ad esprimere una propria idea, giusta o sbagliata che sia. E non è solo colpa della repressione governativa o poliziesca o dell’isolamento al quale siamo sottoposti negli ultimi 2 mesi, è secondo me, appagamento e non precisa comprensione degli strumenti tecnologici di comunicazione che abbiamo a disposizione. Le primavere arabe, le proteste di Hong Kong, i gilet gialli, nel bene o nel male, hanno dimostrato che l’uso di strumenti social di comunicazione possono aggregare migliaia di persone, infatti una delle tecniche di controllo era l’oscuramento delle reti. In Italia, invece, assistiamo, escluso il caso delle sardine, all’appagamento della lotta dopo che si è dichiarato sui social la propria dissidenza. La rivoluzione è fatta, perché l’ho detto e postato su FB. Tanti si stanno lamentando delle decisioni del governo, lamentando e molti addirittura minacciano colpi di stato, ridicoli tra l’altro, colpi di stato e rivoluzioni che partiranno il 4 maggio, quando il governo avrà permesso a tutti di ricircolare liberamente. Nessuno di questi grandi rivoluzionari da tastiera, ha inteso organizzare un benché minimo assembramento di protesta, neanche di quelli distanziati come si sono visti a Tel Aviv o negli U.S.A. . In Italia si è creata la categoria dei Rivoluzionari e/o Golpisti da tastiera. Chi poteva invece, rompere gli indugi, senza clamori, senza rivendicazioni rivoluzionarie, senza il sangue agli occhi e senza augurare la morte di nessuno, ma soltanto rivendicando un sacro diritto come lo è un bisogno primario?
Chi poteva farsi rivedere nelle piazze e ribadire la propria presenza, non con urla, non con imprecazioni, ma con la dolcezza del proprio essere e la forza delle proprie istanze? Solo loro, solo chi la vita la genera e la protegge, solo da loro potevano venire le grida di rivendicazione non solo per una libertà che ora è negata, ma per ribadire con forza che i figli, i loro e quelli di tutti, non sono scomparsi all’arrivo del virus, ma ci sono e rivendicano il diritto di esserci anche e specialmente nei piani e nelle strategie governative che fino ad ora li hanno scientemente annullati.
I genitori, i padri, ma con alla testa le madri, hanno organizzato l’evento “Che fine hanno fatto i bambini. Liberiamoli!” in piazza Dante a Napoli, tutte aderenti al Manifesto per i diritti e i desideri di bambine, bambini e adolescenti SALUTE, SPAZI PUBBLICI, SCUOLA NELL’EMERGENZA COVID-19. Si sono date appuntamento alla spicciolata per dare vita, non un flash mob, come va tanto di moda ultimamente, ma ad una silenziosa manifestazione che le vedeva creare una sorta di opera d’arte situazionista composta dalle sagome dei loro figli, disegnate e modellate dagli stessi piccoli, posizionate all’interno delle inferriate poste a protezione della statua del Divino Poeta fiorentino. Nessuno slogan, nessun urlo, nemmeno sirene o manganelli, non una protesta in favore delle telecamere o degli obiettivi fotografici. Loro, le mamme, che hanno parlato con quei pochi, ma che diverranno molti, che passavano con le mascherine d’ordinanza, loro che hanno illustrato alla città, scendendo e rischiando le sanzioni, le istanze di cui sono portatrici. Loro, le mamme, hanno agito come si usava una volta, come si usava nel secolo scorso e anche in quelli prima, come ora pare sia divenuto desueto dall’avvento dei social, dove le rivoluzioni si fanno alla tastiera, per trasformare il mondo, per far si che si cambi tutto per non cambiare niente. Queste mamme e questi genitori dei piccoli che la società ha dimenticato nelle case, ci stanno indicando una strada.
Un momento della manifestazione “Che fine hanno fatto i bambini. Liberiamoli!” Organizzata in piazza Dante, da un gruppo di genitori aderenti al Manifesto per i diritti e i desideri di bambine, bambini e adolescenti SALUTE, SPAZI PUBBLICI, SCUOLA NELL’EMERGENZA COVID-19
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
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ph. Mario Laporta/KONTROLAB
Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse,
Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES.
Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli.
Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli.
Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it
E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International.
Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.
Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.
Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.
Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria
Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.
“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.
Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.
Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica
Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.
Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.
Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”
Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania
La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.
I risultati hanno evidenziato che:
Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.
Uno studio rivoluzionario con implicazioni future
Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.
Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.
Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.
L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.
Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.
Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.
Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie
Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.
Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.
La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza
Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.
A cinque anni di distanza: quali lezioni?
La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.
Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.
In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.