1. Come un anniversario: la morte di Giovanni dalle Bande Nere e il sacco di Roma
“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto…”
Mentre Ludovico Ariosto tenta di ricomporre in lingua toscana -lui, di Reggio Emilia – i pezzi di un mondo “cavalleresco” idealizzato, muore a Mantova Giovanni dalle Bande Nere, un soldato di ventura, nel tentativo di fermare i lanzichenecchi scagliati dall’imperatore Carlo V contro Roma, per punire il Papa Clemente VII.
Giovanni muore senza potersi battere in realtà, come se fosse un personaggio dell’Ariosto. Finirà senza la gloria d’una battaglia, ucciso dalla setticemia, dopo qualche giorno di agonia, falciato da un cannone lontano, uno dei “falconetti” donati dal duca di Ferrara a Georg von Frundsberg, comandante dei lanzichenecchi.
Giovanni muore il 30 Novembre 1526: libera è ormai la via di Roma, che sarà messa a sacco il 6 maggio, 1527.
Insomma, una specie di anniversario, per cui non mancate di vedervi “Il mestiere delle armi” di Ermanno Olmi, se non l’avete visto.
Il mondo dell’Ariosto finisce mentre Ludovico ne “fissa” per sempre la poetica: seguendo una linea aristotelica che pone la Poesia, appunto, su un piano intellettualmente superiore a quello della Storia e persino a quello della Filosofia. Ma Giovanni cade sotto le macerie di “quella” storia, di “quella” filosofia. L’avvento delle armi da fuoco distrugge faccende come l’onore, la cavalleria, il valore nel combattimento. Una morte subitanea, anonima, remota, ti coglie senza che tu abbia alcun peso nel suo svolgimento e nella sua rappresentazione. La sepsi di Giovanni è una malattia, una lotta in cui lui, grande condottiero, non si può misurare con niente e con nessuno.
Sì certo: con le armi da fuoco si innescano nuove fermentazioni tecnologiche. L’ordine universalistico dell’Impero, l’ordine universalistico della Fede, vacillano. Compare nell’orizzonte d’Europa lo Stato-Nazione.
La guerra russo-ucraina sta tutta in quell’antagonismo epocale. Se è dissimmetrico, questo conflitto lo è anche perché oppone due specie di spazi: la Nazione e l’Impero.
2. I mestieri delle armi
Per quel che riguarda le armi, qualcosa è cambiato dal tempo di Ludovico di Giovanni Dé Medici. E non si tratta solo di una questione tecnologica, logistico-organizzativa, dottrinale e quant’altro. Riguarda il mestiere delle armi, la sua scomposizione tecnica moderna, la sua ricomposizione ideologica post-moderna.
Già, di che si tratta? Costruire armi, usare armi, vendere armi? Come che sia, in questa “drôle de guerre”, le armi sono una faccenda piena di paradossi, con molte sfaccettature.
I mestieri delle armi, intanto, prevedono anche oggi che se ne abbiano sempre di più (riarmi seriali, da Berlino a Tokyo) e sempre più sofisticate nelle innumerevoli classi offensive e difensive in cui ci si muove. Ieri ad esempio, su una stessa pagina di “Le Monde” c’erano i titoli che vedete in foto. Una Germania forte non solo non fa più paura a nessuno, ma è fortemente benvenuta in Europa, dove difenderà tutti noi da pericoli imminenti e mostruosi, provenienti dalla “solita” Asia delle sterminate pianure. Alleviando oltretutto l’onere difensivo degli USA nei confronti del Vecchio Continente. Il sommergibile nucleare rancese? Meraviglie, si capisce! Sbaraglierà sicuramente tutti i competitors quando sarà immesso sul mercato mondiale degli armamenti marittimi.
Ma sentite questa ennesima versione della teoria del “Domino”. La Polonia (Paese Nato), cede all’Ucraina tutti i suoi carri armati: residui sovietici di quando faceva parte del Patto di Varsavia ed era armata da Mosca. In cambio, la Germania la riapprovvigionerà con carri più nuovi, più efficaci, perché no, più ”intelligenti”.Infine, e per fermarci qui: “Seul e Washington hanno lanciato otto vettori terra-terra del sistema missilistico tattico “Army Tactical Missile System” (ATACMS) nel Mar del Giappone…a partire dalle 9.45 di domenica in Italia. Una mossa in risposta agli otto missili balistici testati dalla Corea del Nord verso lo stesso obiettivo il giorno precedente”. Ai miei tempi bambini era il gioco con cui si dimostrava che anch’io sono capace di far arrivare la mia al sasso dove hai lanciato la tua. Oggi si chiama, almeno dalle parti di Seul, “fermezza contro ogni provocazione”…..
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini si racconta per la prima volta nel libro ‘Un’altra storia’ con l’intento di parlare soprattutto ai giovani. “Uno dei motivi che mi ha spinto a raccontare la mia esperienza di vita e di lotta, è che vedo tra le giovani generazioni una straordinaria domanda di libertà. Una domanda di libertà e di realizzazione che non può essere delegata ad altri o rinviata a un futuro lontano, ma che si costruisce giorno per giorno a partire dalla lotta per cambiare le condizioni di lavoro e superare la precarietà. Se riuscirò ad accendere nei giovani la speranza e la voglia di lottare per la loro libertà nel lavoro e per un futuro migliore, potrò dire di aver raggiunto uno degli obiettivi che mi ero prefisso. Questo libro, con umiltà, vuole parlare soprattutto a loro” dice Landini.
In libreria proprio a ridosso dei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza, ‘Un’altra storia’ è una narrazione intima tra ricordi, aneddoti e svolte professionali ed esistenziali, che si intreccia alla storia degli ultimi quarant’anni di questo paese, con un focus su alcune grandi ferite sociali di ieri e di oggi che ancora sanguinano e che devono essere rimarginate. Dagli anni Settanta ai giorni nostri, dall’infanzia e l’adolescenza a San Polo d’Enza, fino alle esperienze sindacali degli inizi a Reggio Emilia e Bologna, al salto nazionale in Fiom prima e in Cgil poi, nel libro di Landini non mancano le analisi sulle grandi questioni legate al mondo del lavoro e a quello delle grandi vertenze, tra cui Stellantis, il rapporto con i governi Berlusconi, Prodi, Renzi, Conte, Draghi e Meloni, nella declinazione dell’idea-manifesto del “sindacato di strada”, in cui democrazia e autonomia sono il grande orizzonte.
Questa narrazione personale e intima, ricca di spunti e riflessioni, si tiene insieme a quelle che sono le battaglie storiche del segretario e della sua azione “politica”: la dignità del lavoro, affermata nel dopoguerra e nella seconda metà del Novecento e “negata nell’ultimo ventennio a colpi di leggi sbagliate, che le iniziative referendarie propongono, infatti, di correggere e riformare profondamente” sottolinea la nota di presentazione. ‘Un’altra storia’ è un libro che ci parla di diritti da difendere, battaglie ancora da fare e del futuro.
Eletto segretario generale della Cgil nel 2019, Landini ha cominciato a lavorare come apprendista saldatore in un’azienda artigiana e poi in un’azienda cooperativa attiva nel settore metalmeccanico, prima di diventare funzionario e poi segretario generale della Fiom di Reggio Emilia. Successivamente, è stato segretario generale della Fiom dell’Emilia-Romagna e, quindi, di quella di Bologna. All’inizio del 2005 è entrato a far parte dell’apparato politico della Fiom nazionale. Il 30 marzo dello stesso anno, è stato eletto nella segreteria nazionale del sindacato dei metalmeccanici Cgil. Il primo giugno del 2010 è diventato segretario generale della Fiom-Cgil. Nel luglio del 2017 ha lasciato la segreteria generale della Fiom per entrare a far parte della segreteria nazionale della Cgil.
MAURIZIO LANDINI, UN’ALTRA STORIA (PIEMME, PP 224, EURO 18.90)
Stop all’automatismo che impone la sospensione della responsabilità genitoriale per i genitori condannati per maltrattamenti in famiglia. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 55 del 2025, dichiarando illegittimo l’articolo 34, secondo comma, del Codice penale nella parte in cui non consente al giudice di valutare in concreto l’interesse del minore.
Una norma rigida che non tutela sempre i figli
L’automatismo previsto dalla norma, secondo cui alla condanna per maltrattamenti in famiglia (articolo 572 c.p.) segue obbligatoriamente la sospensione della responsabilità genitoriale per il doppio della pena, è stato giudicato irragionevole e incostituzionale. Secondo la Consulta, la previsione esclude qualsiasi valutazione caso per caso e impedisce al giudice di verificare se la sospensione sia effettivamente nell’interesse del minore, come invece richiedono gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione.
Il caso sollevato dal Tribunale di Siena
A sollevare la questione è stato il Tribunale di Siena, che aveva riconosciuto la responsabilità penale di due genitori per maltrattamenti nei confronti dei figli minori, ma riteneva inadeguato applicare in automatico la sospensione della responsabilità genitoriale. Il giudice toscano ha evidenziato la possibilità concreta che, in presenza di una riconciliazione familiare e di un miglioramento del contesto domestico, la sospensione potesse arrecare un danno ulteriore ai minori.
Il principio: al centro l’interesse del minore
La Corte ha ribadito che la tutela dell’interesse del minore non può essere affidata a presunzioni assolute, bensì deve derivare da una valutazione specifica del contesto familiare e della reale efficacia protettiva della misura. Il giudice penale deve dunque essere libero di stabilire, caso per caso, se la sospensione della responsabilità genitoriale sia davvero la scelta più idonea alla protezione del figlio.
La continuità con la giurisprudenza
La decisione si inserisce nel solco della sentenza n. 102 del 2020, con cui la Consulta aveva già bocciato l’automatismo previsto per i genitori condannati per sottrazione internazionale di minore. In entrambi i casi, si riafferma il principio secondo cui le misure che incidono sulla genitorialità devono essere coerenti con i valori costituzionali e orientate alla tutela concreta del minore.
Il mondo della cultura piange la scomparsa di Mario Vargas Llosa (foto in evidenza di Imagoeconomica), uno dei più grandi romanzieri del Novecento e premio Nobel per la Letteratura nel 2010. Lo scrittore peruviano si è spento oggi, domenica, a Lima all’età di 89 anni, circondato dalla sua famiglia, come ha comunicato suo figlio Álvaro attraverso un messaggio pubblicato sul suo account ufficiale di X.
«Con profondo dolore, rendiamo pubblico che nostro padre, Mario Vargas Llosa, è morto oggi a Lima, circondato dalla sua famiglia e in pace».
Una vita tra letteratura e impegno
Nato ad Arequipa il 28 marzo del 1936, Vargas Llosa è stato tra i più influenti autori della narrativa ispanoamericana contemporanea. Oltre ai riconoscimenti letterari internazionali, ha vissuto una vita profondamente segnata anche dall’impegno civile e politico.
Con la sua scrittura tagliente e lucida, ha raccontato le contraddizioni della società peruviana e latinoamericana, esplorando con coraggio e passione temi di potere, ingiustizia e libertà.
I capolavori che hanno segnato la sua carriera
Autore di romanzi fondamentali come “La città e i cani” (1963), durissima denuncia del sistema militare peruviano, e “La casa verde” (1966), Vargas Llosa ha lasciato un’impronta indelebile nella letteratura del Novecento. La sua vasta produzione comprende anche saggi, articoli e testi teatrali.
Un addio in forma privata
Come reso noto dalla famiglia, i funerali saranno celebrati in forma privata e, nel rispetto della volontà dell’autore, le sue spoglie saranno cremate. Un addio sobrio, coerente con la riservatezza che ha spesso contraddistinto l’uomo dietro lo scrittore.