Ve la ricordate la società “Autostrade Per l’Italia”? Sì, quella. Quella del processo per il crollo annunciato del Ponte Morandi, dei 43 morti sepolti sotto le macerie. Quella del processo del viadotto di Avellino e dei 40 morti caduti dal cavalcavia. Sì, quella dei vari ponti che sono caduti e cadono qua e là per l’Italia con un morto, due morti e decine di feriti. Proprio quella società che i media italiani, per non farla riconoscere oramai chiamano con l’acronimo “ASPI” S.p.a.. Ebbene questa società concessionaria che il Governo Conte I e poi Conte II avrebbe voluto stangare privandola della Concessione, pare non risarcirà le vittime del “Ponte Morandi”. Anzi, pare voglia scaricare ogni responsabilità della tragedia sul “caso fortuito” o addirittura sul Ministero delle Infrastrutture. Da che cosa desumiamo questa asserzione? Da quel che ci dice Giovanni Mastroianni, uno dei più battaglieri avvocati, che si battono per il risarcimento del danno ai suoi assistiti rimasti gravemente feriti e menomati a vita nel crollo del Ponte Morandi. Infatti, in quello che forse è tra i primi, se non il primo giudizio del caso specifico, incardinato davanti alla Magistratura Civile di Roma Capitale, c’è la nuova eclamorosa versione di ASPI o Autostrade. La società che rinnega ogni responsabilità sul disastro del 14 Agosto 2018.
Giovanni Mastroianni, è il difensore di Yelina Nataliya, rimasta gravemente ferita dopo essere stata letteralmente inghiottita dal Ponte Morandi sul quale viaggiava. Yelina e Eugenio, suo marito, rimasero sepolti per 6 ore sotto tonnellate di cemento armato. Poi furono tratti in salvo quando erano in condizioni disperate dai Vigili del fuoco.
Nei giudizi civili incardinati presso il Tribunale di Roma, dove Mastroianni difende anche i familiari di Nataliya, l’avvocato Mastroianni si imbatte in un rifiuto sostanziale di ASPI Spa a risarcire le vittime del ponte Morandi. “Un rifiuto inatteso – spiega Mastroianni – perché smentisce gli impegni da sempre dichiarati dalla medesima società, unitamente ad Atlantia Spa (con Benetton azionisti di maggioranza),annunciati al mondo intero da tre anni a questa parte”.
Ponte Morandi. L’avvocato Giovanni Mastroianni e la sua assistita Yelina Natalia rimasta sepolta assieme al marito sotto le macerie per ore
Avvocato Mastroianni, quale è la posizione di ASPI nel giudizio civile di Roma che avete avviato già mesi addietro?
A parte varie eccezioni sulla legittimità e di merito della questione risarcitoria, che afferiscono alla comune tecnica difensiva che la società legittimamente richiama a sostegno della sua posizione di resistenza, quello che lascia basiti è appurare che Autostrade per l’Italia, a molti anche nota come “ASPI”, sostenga di non essere responsabile del crollo del Ponte Morandi e dunque di non dover essere lei a risarcire le vittime del Ponte Morandi. Tutto rimandato al caso fortuito o addirittura a colpe del Ministero delle Infrastrutture.
Ma questo non è in contrasto con quanto pubblicamente dichiarato nel corso di questi tre anni?
Certamente e tanto portiamo anche all’attenzione della Magistratura Romana, oltre ovviamente a tutta una serie di ragioni processuali e tecniche che siamo convinti porteranno comunque all’accoglimento delle nostre ragioni di giustizia. E’ senza dubbio Autostrade per l’Italia, partecipata al tempo da Atlantia Spa, la holding con Benetton azionisti di maggioranza,a dover risarcire tutti i danni, non il Ministero o chiunque altro. Non si comprende come si possa oggi ritrattare tutto ciò il mondo intero ha visto, letto ed udito, soprattutto sulla disponibilità di A.S.P.I. a risarcire non solo tutte le vittime del crollo del viadotto autostradale, che gestiva in virtù di una concessione ultradecennale, ma anche accollarsi tutti i danni diretti ed indiretti e finanche di ricostruire il Ponte crollato a proprie spese.
In effetti lei richiama anche una lettera di Luciano Benetton del novembre 2019, che affrontava la tematica.
Sì, certo, e proprio quella lettera a nostro avviso, contribuisce a confermare ciò che è stato a tutti evidente, e comunque come debba essere Autostrade per l’Italia Spa, al tempo partecipata quasi totalmente da Atlantia Spa, con i Benetton azionisti di maggioranza, a risarcire ogni danno. In quella missiva il dottor Luciano Benetton manifestava disappunto per essere bersaglio con la famiglia di attacchi mediatici, ma contemporaneamente confermava, a nostro avviso, comunque il rammarico per le scelte del management di ASPI che avevano provocato la tragedia. Di qui una ulteriore conferma di quanto riteniamo ancora ad oggi comunque indiscutibile, ossia la piena responsabilità di ASPI nel crollo del Ponte Morandi.
Quindi al danno si aggiunge la beffa?
È una vergogna tutta italiana. Oggi addirittura si arriva a negare il risarcimento alle “Vittime del Ponte Morandi”, mentre lo Stato Italiano paga o ha pagato circa dieci miliardi di euro, per favorire il passaggio delle quote di controllo da Atlantia Spa ad altri soggetti istituzionali che entreranno nel capitale di Autostrade per l’Italia. Una vera e propria “buona uscita”, alla faccia dei proclami di Salvini e Di Maio che il giorno dopo il crollo del Ponte calcarono in modo solenne il suolo genovese annunciando revoche addirittura punitive e sanzioni alle società che oggi invece incassano miliardi e miliardi di euro, e poi vengono in Tribunale a dirci che nulla devono alle vittime di una tragedia che hanno provocato per una incuria assurda. Confidiamo nella Magistratura, ormai l’unica Istituzione capace di donare ancora un minimo di credibilità al nostro Paese, dove vicende giudiziarie come queste sono davvero incredibili.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.
Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.
“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.
A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.
Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.
Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.
La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.
Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.
Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.