Angela Manca. La madre di Attilio. Si batte per la verità sulla morte di suo figlio. Contro i depistaggi. Non si può che essere al suo fianco.
Attilio Manca, un urologo promettente. Quali sono gli elementi che collegano la sua morte alla latitanza e all’operazione alla prostata di Bernardo Provenzano?
Attilio era un urologo che sicuramente avrebbe dato lustro alla nazione. Un giovane medico che, a soli 32 anni, ha eseguito il primo intervento al tumore alla prostata per via laparoscopica in Italia e già faceva intravedere un radioso avvenire. Noi eravamo orgogliosi, fieri di lui, ma anche chi gli stava accanto provava stima e affetto. Il professore Ronzoni, primario de Gemelli, diceva “è il ragazzo più brillante che io ho incontrato nella mia carriera, ma anche il figlio che tutti vorrebbero avere”. Noi abbiamo capito che la sua morte era riconducibile a Provenzano, dopo che la Gazzetta del Sud parlò di un urologo che aveva visitato Provenzano nel suo rifugio. In seguito dalla trasmissione “Chi l’ ha visto” abbiamo appreso dell’intervento avvenuto a Marsiglia e ci siamo ricordati delle due telefonate fatte a noi da Attilio, dove ci diceva che si trovava a Marsiglia per vedere un intervento.
Cinque pentiti di mafia e tanti fatti anomali. Come mai, secondo lei, questi ed altri elementi non bastano alle procure per aprire un’inchiesta seria sulla morte di suo figlio?
Di solito, dicono i nostri legali Repici e Ingroia, sono sufficienti le dichiarazioni di un pentito per aprire un processo. Per Attilio c’è ne sono stati 5 : Setola, Lo Verso, Lo Giudice, D’Amico, Campo. Soprattutto le dichiarazioni di D’Amico dovevano essere valutate attentamente e tenute in grande considerazione, anche perché ritenuto molto attendibile dalla DIA di Messina. D’Amico ha detto che Attilio è stato ucciso dopo che per interessamento di Cattafi e di un generale legato al circolo Corda Fratres, era stato coinvolto nelle cure del latitante Bernardo Provenzano. Era stato assassinato da esponenti dei servizi segreti deviati e in particolare da un killer, operante per conto di apparati deviati dello Stato, le cui caratteristiche erano la mostruosità dell’aspetto e la provenienza calabrese. Né la Procura di Viterbo, né quella di Roma, guidata da Pignatone, hanno preso in considerazione tali dichiarazioni. A tutt’oggi mi chiedo perché, dal momento che non è mai stato trovato il medico che ha curato Provenzano durante la sua malattia.
Barcellona Pozzo di Gotto: cittadina di persone perbene ma anche dei misteri e delle latitanze. L’11 febbraio, il giorno della commemorazione di Attilio Manca, pare sia rimasto uno dei pochi appuntamenti di contrasto, organizzato dall’ANAAM (Associazione Nazionale Amici Attilio Manca), sulla mafia-massoneria deviata che tiene in un pugno la città?
Barcellona è una città dove la maggior parte di persone sono perbene, ma è una città distratta, indifferente. Il problema mafia e massoneria è molto sottovalutato, se ne parla poco. Eppure proprio da Barcellona è partito il telecomando per la strage di Capaci, a Barcellona ha trovato rifugio il mafioso Nitto Santapaola e lo stesso Provenzano. Una relazione del ROS parla di un blitz nel Convento di Sant’Antonio da Padova dove era stata segnalata la presenza di Provenzano. La relazione è stata insabbiato ed i 5 frati presenti nel Convento sono stati trasferiti in massa. Si dovrebbe tenere alta l’attenzione soprattutto nelle scuole, ma purtroppo tutto ciò non avviene. Anche per l’anniversario di Attilio abbiamo avuto tanti giovani studenti venuti da Nicosia, da Patti da Messina ma non da Barcellona.
Di Attilio se ne parla ormai in tutta Italia: è entrato nel cuore di tutti e in molte scuole, sintomo che l’opinione pubblica di questa nazione non ci sta a essere mortificata nella sua intelligenza. Questo le da forza e speranza?
Il fatto che la vicenda di Attilio sia ormai conosciuta in tutta Italia, ci dà forza, speranza, non ci fa sentire soli. È bello sapere che tanti giovani stanno lavorando al fumetto dedicato ad Attilio. È stato difficile diffondere la vicenda, dato il silenzio della stampa, ma ci siamo riusciti grazie all’aiuto di pochi giornalisti onesti e coraggiosi, grazie ai 4 libri scritti su Attilio, grazie a persone come Don Ciotti che sin dal primo istante ha compreso che quello di Attilio era un delitto di mafia.
Sedici anni sono abbastanza per ricevere adesso un segnale forte delle istituzioni come nel caso Agostino?
Per il delitto Agostino sono trascorsi 30 lunghi anni prima di vedere una flebile luce in fondo al tunnel. Spero che non ne trascorrano tanti anche per noi, perché, data l’età, non potremmo vedere la verità!
“Non c’è giustizia, noi ci battiamo per tutelare la vittima da crimini atroci e uno dei responsabili delle violenze sessuali e diffusione video pedopornografici va ai domiciliari a Venezia”. Non riesce a trattenere il suo disappunto l’avvocato Angelo Pisani, legale di una mamma delle due cuginette di Caivano stuprate dal branco la scorsa estate. Nei giorni scorsi il tribunale di Napoli Nord ha concesso gli arresti domiciliari a uno dei due maggiorenni ritenuti coinvolti nelle violenze. “Altro che decreto Caivano, altro che rispetto e tutela per le donne e le vittime”, aggiunge Angelo Pisani per il quale con queste decisioni “si veicola un messaggio sbagliato, quello della giustizia a intermittenza”. Intanto, continua, “lui è ai domiciliari mentre le bambine e i fratelli sono chiusi nelle case famiglia senza neanche poter veder e sentire genitori e familiari”.
Max Leitner, il re delle evasioni, dopo una vita in fuga e in carcere, ora potrà rimanere libero a tutti gli effetti. A 65 anni, dei quali 27 passati da recluso, il Vallanzasca dell’Alto Adige, per adesso ha chiuso il suo conto con la giustizia anche in riferimento ad una misura di sicurezza, di libertà vigilata, che era stata emessa dal magistrato di sorveglianza di Bologna nel 2015. All’epoca Leitner aveva aggredito alcune guardie carcerarie ma quella specifica misura di sicurezza, legata alla pericolosità sociale di Leitner, non è mai stata applicata. Ora, come riferisce il quotidiano Tageszeitung, il tribunale di sorveglianza di Bolzano, nel riesaminare la pericolosità sociale di Leitner, ha stabilito che essa sia nel frattempo venuta meno, come sostenuto dagli avvocati difensori Angelo Polo e Nicola Nettis, ed ha quindi revocato di conseguenza la misura di sicurezza del 2015 che era rimasta formalmente in piedi. Leitner, che vive a Merano, resta quindi libero, anche se i guai giudiziari per lui non sono ancora completamente finiti: la prossima settimana è in programma l’udienza preliminare per i fatti del settembre 2021 quando Leitner ed un complice spararono dei colpi di pistola, a scopo intimidatorio, contro l’auto di una prostituta in zona industriale a Bolzano.
Con ogni probabilità l’udienza verrà rinviata in quanto Leitner non sarebbe attualmente nelle condizioni di seguirla. Durante la sua lunga carriera da ‘bandito’ non si è mai macchiato di fatti di sangue, accumulando comunque complessivamente pene per quasi tre decenni di carcere. Non era finito nelle cronache nazionali per le sue rapine, ma in quanto negli anni era riuscito ad evadere cinque volte da cinque carceri diversi. Tutto ebbe inizio con una serie di rapine negli anni Ottanta. Seguirono arresti, condanne ed evasioni, come per esempio, quando nell’agosto ’90 fu arrestato dalla polizia austriaca durante un assalto ad un furgone portavalori e successivamente evase dapprima dal carcere austriaco e poi da altre prigioni in Italia. Risale a due anni va il suo ultimo arresto. Leitner aveva giurato che in carcere non sarebbe mai più tornato, anche perché seriamente malato, ma una notte di settembre le porte della casa circondariale di Bolzano si sono riaperte.
Max, anche quando era in libertà vigilata, non riusciva stare lontano dai guai. Come nel settembre 2021. Verso mezzanotte e mezza, una prostituta chiama il 112 perché, mentre lei si era appartata con un cliente, due colpi di arma da fuoco sono stati esplosi contro la sua macchina, che in quel momento fortunatamente era vuota. La donna descrive l’auto grigia che si è poi allontanata a grande velocità nella zona industriale del capoluogo altoatesino. Verso le due di notte una pattuglia di polizia intercetta la vettura, proprio nelle immediate vicinanze del primo fatto. A bordo si trovano Max Leitner e un cittadino austriaco senza fissa dimora di 59 anni. L’altoatesino finge un attacco cardiaco per distrarre i poliziotti e si oppone con forza all’arresto. Nella macchina gli agenti trovano una pistola P38, considerata arma da guerra, un fucile calibro 22 con silenziatore, un teaser, una maschera da carnevale un un finto berretto di polizia. Leitner e la prostituta si conoscevano. Ultimamente Leitner vive a Merano. Chi lo incontra descrive un uomo segnato dalla vita. Si racconta addirittura che non gli faccia piacere non essere più considerato pericoloso, ma forse è solo una delle bizzarrie autoironiche del re delle evasioni.
Da tre anni entra ed esce dal carcere il reato di maltrattamenti in famiglia. Quando la violenza supera i limiti, lei lo denuncia e il marito viene arrestato, ma quando esce dal carcere lo riaccoglie in casa e lui riprende a picchiarla. Un copione che accomuna tante vicende di violenza di genere. Ieri sera, i carabinieri di Rimini hanno notificato all’uomo, un cittadino moldavo di 64 anni, un aggravamento di misura disposto dal gip del Tribunale di Rimini, Raffaella Ceccarelli, su richiesta del sostituto procuratore Davide Ercolani. Per l’uomo, denunciato l’ennesima volta lo scorso 27 novembre dalla moglie, una connazionale di 54 anni, madre di due figli, è scattata la detenzione in carcere per la terza volta dal 2020.
La donna ha raccontato ai carabinieri gli ultimi anni di sofferenze e vessazioni da cui non riusciva a liberarsi neanche quando il marito era in carcere perché la minacciava di assoldare dei killer per farla uccidere. La 54enne ha descritto i suoi 30 anni di matrimonio, le botte e gli insulti diventati quotidiani dal 2018, da quando l’uomo con il quale ha avuto due figli, è entrato nel tunnel della dipendenza da alcol. In diverse occasioni, la donna è dovuta ricorrere alle cure dei sanitari. La prima denuncia l’aveva presentata nel 2020, ma poi l’aveva ritirata nella speranza che il marito una volta scarcerato avesse cambiato abitudini. Il primo procedimento del 2020 era stato archiviato ma neanche a dirlo nel 2022, la moglie era tornata in Pronto soccorso con evidenti segni di percosse. Colpi ricevuti anche in pieno petto, particolarmente pericolosi per la vittima cardiopatica e portatrice di pacemaker. Arrestato nell’estate del 2022, lo scorso settembre, il 64enne era tornato a casa con l’obbligo quotidiano di firma alla polizia giudiziaria. Misura che non gli avrebbe impedito di aggredire fisicamente la moglie tanto che tre giorni fa l’ha denunciarlo nuovamente. La donna, infine, avrebbe più volte rifiutato il collocamento in una casa protetta per sé e i figli dicendo di voler rimanere nella propria abitazione per cui ha lavorato tanto negli anni.