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L’addio degno del tecnico dell’Inghilterra Southgate, la strafottenza del presidente Figc Gravina

Gareth Southgate, allenatore della nazionale inglese, ha rassegnato le dimissioni dopo aver perso due finali europee consecutive. Questo gesto, mosso da senso del dovere e dignità, contrasta nettamente con la situazione in Italia, dove Gabriele Gravina rimane saldo sulla sua poltrona di presidente della Federcalcio nonostante tutti gli insuccessi della nazionale: due mondiali fuori, europei giocati in maniera penosa.

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Annunciate alla vigilia della spedizione in Germania, prevedibili dopo la selva di critiche che lo ha investito in seguito alla finale persa contro la Spagna, Gareth Southgate ha rassegnato le sue dimissioni lasciando la panchina della nazionale inglese. Senza polemiche né accuse, ribadendo l’onore vissuto per aver guidato per otto anni i Tre Leoni. Un periodo coinciso con i migliori risultati di sempre dell’Inghilterra a livello internazionale, fatta eccezione per la Coppa del Mondo 1966. Ma neppure a Alf Ramsey, il mitico allenatore che sedeva sulla panchina inglese nella finalissima di Wembley contro la Germania dell’Ovest, era riuscito raggiungere una finale internazionale lontano dall’isola. Men che meno le due finali europee consecutive, conquistate da Southgate, che vanno ad aggiungersi alla semifinale al mondiale 2018.

Un bilancio più che positivo che però non è bastato al 58enne allenatore per evitare critiche e persino sberleffi da parte di media e tifosi. È vero che nei momenti decisivi gli è mancato qualcosa, un’intuizione, un po’ di coraggio, una scelta vincente, per ribaltare il corso degli eventi. Ma è altresì vero che sotto di lui l’Inghilterra – complice un’infornata di giovani talenti – è cresciuta di molto, scalando il ranking mondiale. Come ha ribadito lo stesso Southgate, pochi istanti dopo la delusione di Berlino. “La nazionale si trova in una buona posizione in termini di esperienza ed età: la maggior parte di questa squadra sarà presente non solo al prossimo mondiale, ma anche all’europeo tra quattro anni”. Un’analisi lucida per nascondere l’amarezza di non aver interrotto quel sortilegio da “perdenti di successo”, che accompagna l’Inghilterra da 58 anni.

Neppure le parole di stima e gratitudine che gli ha tributato re Carlo III, dopo il 2-1 contro la Spagna, gli hanno fatto cambiare idea sul suo futuro. Né il pressing della Federcalcio inglese, che da mesi voleva prolungargli l’attuale contratto, in scadenza a dicembre, almeno fino al prossimo mondiale (2026). Dopo 102 panchine, Southgate ha detto basta: troppo stress, troppe pressioni, appesantite dal carico di aspettative che accompagna la generazione dei Bellingham, Saka, Foden. Talenti cristallini, ancora in cerca della consacrazione con la maglia bianca e la croce di San Giorgio. Proprio per questo, anticipando cosa gli sarebbe stato riservato dalla critica, prima di partire per la Germania, aveva posto come condizione per la sua permanenza niente di meno che la vittoria di Euro 2024. Qualsiasi altro risultato, come puntualmente accaduto, avrebbe ridato fiato e parole ai suoi numerosi detrattori. Finendo per logorare la sua posizione di commissario tecnico, stimato per i suoi modi da gentleman, molto meno come tecnico. Meglio dunque lasciare ora, dopo una finale. “Come inglese orgoglioso, è stato l’onore della

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Cinema

Cristina Comencini: il cinema delle donne è una nuova ricchezza. Io dalla parte delle donne sempre

Cristina Comencini racconta al Corriere della Sera il successo de “Il treno dei bambini”, la sua visione sul cinema delle donne, la politica e il suo nuovo amore.

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Cristina Comencini (le foto sono di Imagoeconomica), con il suo ultimo film “Il treno dei bambini” tratto dal romanzo di Viola Ardone e disponibile su Netflix, ha raggiunto quasi trenta milioni di visualizzazioni. «Mi sembra incredibile», racconta, «ma credo che il tema profondo del dopoguerra, del trauma che la guerra lascia sui sentimenti, abbia colpito il pubblico di tutto il mondo».

Il cinema tra piattaforme e sale

«Portare la gente in sala è bellissimo, ma difficile. Le piattaforme e il cinema possono coesistere. L’importante è, come diceva mio padre Luigi Comencini, mantenere sempre la massima verità e bellezza in quello che si crea», afferma Cristina, riflettendo sulla trasformazione del mondo cinematografico.

Il successo e la nuova generazione di registe

Comencini riconosce l’importanza del successo ma non lo vive come un punto di arrivo: «È un mestiere da montagne russe». È felice dell’affermazione di tante donne nel cinema italiano, come Paola Cortellesi, sottolineando: «Il cinema si è finalmente aperto alle storie delle donne, arricchendosi di nuove prospettive».

Il rapporto con la famiglia e il film di Francesca Comencini

Cristina racconta il forte legame con le sorelle e commenta il film di Francesca Comencini su loro padre Luigi: «Una scelta giusta. Ognuno vive un padre a modo suo». Nessuna gelosia, ma un affetto profondo che ha sempre unito la famiglia.

CRISTINA COMENCINI REGISTA

Politica, femminismo e il ruolo di Giorgia Meloni

Comencini ribadisce la sua radice di sinistra e il suo impegno per il femminismo: «Il sostegno reciproco tra donne non deve mai venir meno». Sul premier Giorgia Meloni, pur nella distanza politica, riconosce: «Per la sua parte politica sta facendo bene».

I cambiamenti nell’estetica e il coraggio delle attrici

Parlando di Giovanna Mezzogiorno, Cristina denuncia il problema della discriminazione estetica nel cinema: «Finalmente si inizia a dare meno peso all’apparenza e più al talento».

La maternità precoce e l’amore ritrovato

Diventata madre a 18 anni, Cristina confida di non aver rimpianti: «Mi ha dato la ricchezza di tutto ciò che ho scritto». Oggi vive una nuova fase felice della sua vita con il documentarista francese François Caillat, tra Roma e Parigi.

Il futuro: un nuovo romanzo in arrivo

Cristina annuncia anche il suo prossimo romanzo, “L’epoca felice”, che uscirà a ottobre per Feltrinelli: «Parlerà dell’adolescenza e della capacità della vita di sorprenderci anche quando meno ce lo aspettiamo».

 

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Esteri

Tragedia al festival Lapu Lapu a Vancouver: suv travolge la folla, morti e feriti

Durante il festival filippino Lapu Lapu a Vancouver, un suv ha investito la folla causando diversi morti e feriti. Arrestato il conducente. La città è sconvolta.

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Diverse persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante il festival del “Giorno di Lapu Lapu” a Vancouver, nell’ovest del Canada, quando un suv ha investito la folla. La polizia locale ha confermato che il conducente è stato arrestato subito dopo l’incidente, avvenuto intorno alle 20 ora locale (le 5 del mattino in Italia).

Il cordoglio della città e della comunità filippina

La tragedia ha sconvolto l’intera città e, in particolare, la comunità filippina di Vancouver, che ogni anno organizza il festival in onore di Lapu Lapu, eroe della resistenza contro la colonizzazione spagnola nel XVI secolo. Il sindaco Ken Sim ha espresso il proprio dolore: «I nostri pensieri sono con tutte le persone colpite e con la comunità filippina di Vancouver in questo momento incredibilmente difficile», ha scritto su X.

Le drammatiche immagini dell’incidente

Secondo quanto riferito dalla polizia e riportato dalla Canadian Press, il suv ha travolto la folla all’incrocio tra East 41st Avenue e Fraser Street, nel quartiere di South Vancouver. I video e le immagini diffusi sui social mostrano scene drammatiche: corpi a terra, detriti lungo la strada e un suv nero gravemente danneggiato nella parte anteriore. Testimoni parlano di almeno sette persone rimaste immobili sull’asfalto.

Il dolore delle autorità

Anche il premier della Columbia Britannica, David Eby, ha commentato la tragedia: «Sono scioccato e con il cuore spezzato nell’apprendere delle vite perse e dei feriti al festival». La comunità è ora unita nel cordoglio, mentre proseguono le indagini per chiarire le cause dell’accaduto.

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Esteri

Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: 14 morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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