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Lacerenza si ritira, il centrosinistra senza candidato in Basilicata

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Domenico Lacerenza si è ritirato dalla corsa alla Regionali lucane del 21 e del 22 aprile. “Era la persona giusta, lo hanno impallinato”, attacca a testa bassa il presidente del Movimento cinque stelle, Giuseppe Conte che ormai definisce la situazione “incandescente”. Non sarà quindi l’oculista a guidare la coalizione di centrosinistra, che, a poco più di un mese dalle elezioni in Basilicata, si ritrova senza candidato e nel caos più totale, con la tensione tra i partiti che in serata ha raggiunto i massimi livelli. Le trattative tra Pd e Cinque Stelle, rese ancora più complicate dalla situazione in Piemonte, andranno avanti per tutta la notte, anche perché il count down della presentazione delle liste (venerdì prossimo, 22 marzo, con il gong fissato alle ore 12 di sabato 23 marzo) si fa sempre più incalzante. Dem e grillini stanno provando “a tutti i costi”, dicono fonti lucani dei due partiti, di non rompere l’alleanza, ma nessuna ipotesi può essere esclusa, a cominciare da quella che il Movimento vada da solo.

Tra i nomi nuovi, intanto, spunta l’autocandidatura dell’ex presidente del Consiglio regionale (dal 2013 al 2018) Piero Lacorazza, mentre buona parte del Pd lucano (che aveva contestato la scelta di Lacerenza) torna a spingere per Angelo Chiorazzo, sostenuto anche da un padre nobile del centrosinistra lucano, come l’ex presidente della Regione ed ex parlamentare, Tonio Boccia. Una soluzione non percorribile per Conte, secondo cui l’imprenditore del settore sanitario, “persona perbene”, da governatore rischierebbe conflitti di interesse. E in Basilicata il campo che doveva essere largo non è già più largo come quello dell’Abruzzo, perché Italia Viva ha ufficializzato il suo sostegno al governatore uscente, Vito Bardi (Forza Italia), ricandidato dalla coalizione di centrodestra, che nelle prossime ore dovrebbe accogliere anche Azione, per ora a caret coperte.

Nel pomeriggio di un sabato di ordinaria follia (politica), “dopo un’attenta riflessione” fatta anche con la famiglia e con tanti suoi pazienti, è arrivato il nuovo colpo di scena, con il ritiro, non senza polemiche, di Lacerenza, che, tre giorni fa, era stato designato da Pd, M5S, Avs e + Europa, con il sostegno di Chiorazzo. “È una decisione – ha scritto il medico, che, a 66 anni, avrebbe affrontato la sua prima esperienza politica – presa con assoluta serenità e anche nell’interesse delle forze politiche che hanno voluto propormi. Avevo dato la mia disponibilità, ma non posso non registrare le reazioni che ci sono state in seguito”. Ancora più esplicito è stato qualche ora dopo Conte. “In Basilicata si è scatenato il tiro al piccione sulla persona che avevamo trovato e che aveva i requisiti giusti: un professionista serio, capace, competente. Un civico, hanno iniziato a impallinarlo come con me quando divenni presidente del Consiglio. Giochi di corrente, giochi locali. Ma non saremo mai in Basilicata con le famiglie che governano da 40 anni, non le appoggeremo, lo dico a chi ci sta insultando in queste ore”.

Il riferimento non può che essere alla famiglia Pittella, con l’ex governatore Marcello, fratello di Gianni (ex vicepresidente del Parlamento europeo) con Azione dalle Politiche 2022. Oggi il leader, Carlo Calenda, da Matera ha attaccato proprio l’ex premier: “Il Pd ritrovi un po’ di orgoglio, mandi a quel paese Conte, che vuole distruggere il centrosinistra e si costruisca un’alternativa seria, di governo, che non può essere condizionata dai cialtroni'”, ha detto Calenda, che domani mattina, a Potenza, comunicherà la sua decisione per le Regionali lucane: Tutto fa pensare che Azione andrà con Bardi e con il centrodestra. Un cambio di campo già ufficializzato da Italia Viva, la cui coordinatrice nazionale Raffaella Paita, ha chiuso l’accordo con Bardi “per il bene della Regione”. Nella lista “Orgoglio lucano”, la lista del presidente che sicuramente sarà tra le più forti della competizione elettorale, ci saranno due consiglieri regionali di Italia Viva uscenti, il potentino Mario Polese e il materano Luca Braia.

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Superbonus, detrazione in 10 anni e controlli ai Comuni

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Estendere la detrazione del Superbonus da 4 a 10, o anche 15 anni. Coinvolgere i Comuni nei controlli ai cantieri, con in cambio un ‘premio’ pari al 50% dei maggiori incassi. Poter usare il credito della detrazione per pagare le tasse. Ed estendere le deroghe allo stop della cessione e dello sconto in fattura anche ad altre aree colpite da eventi sismici, o alluvionali. Sono alcune delle principali richieste con cui è partito l’assalto dei partiti al decreto Superbonus. Ma dopo gli allarmi piovuti da più parti sull’impatto sul debito della spesa ormai abnorme per il maxi incentivo e sui rischi di un nuovo allentamento, si restringono gli spazi per eventuali modifiche. Su una cosa il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è già detto favorevole: l’ipotesi di spalmare le detrazioni sul Superbonus su 10 anni, anziché i 4 attuali.

E proprio in questa direzione vanno diversi emendamenti, anche bipartisan, presentati alla commissione Finanze del Senato, in cui figura anche l’ipotesi di allungare i tempi a 10 o anche a 15 anni. In particolare, alcune proposte avanzate da Fi, Lega, Iv e M5s, riguardano le detrazioni, prevedendo, per le spese sostenute nel 2023, la possibilità di ripartirle in “dieci quote annuali di pari importo”. Opzione possibile attraverso la dichiarazione dei redditi di quest’anno. L’altra strada proroga uno strumento già previsto per le spese del 2022 nel dl Aiuti quater, che agiva sul fronte dei crediti di imposta: gli emendamenti prevedono la possibilità di usarlo anche per i crediti comunicati entro il “4 aprile 2024”, spalmandone così l’utilizzo su dieci anni, anziché sui quattro ordinari. Se la prima strada consentirebbe un ampliamento della platea dei beneficiari, la seconda avrebbe invece un impatto positivo sul debito.

Che, secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, resterebbe abbondantemente sotto quota 140%. Riguarda le detrazioni anche la proposta, in due emendamenti uguali di Fi e Iv, di poter trasformare l’importo della detrazione per gli interventi con i bonus edilizi in credito d’imposta: questo permetterebbe al contribuente di usare il credito per pagare non solo l’Irpef ma anche l’Iva, le ritenute, l’Imu, la cedolare secca; salvando così l’ammontare eccedente i limiti dell’imposta (Irpef o Ires) con cui la detrazione è oggi ammessa in dichiarazione. Ma le richieste dei partiti si concentrano anche sull’estensione delle deroghe allo stop della cessione e dello sconto in fattura, che il decreto limita alle zone colpite dal sisma del 6 aprile 2009 e 24 agosto 2016 in Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Una proposta bipartisan chiede di estendere (ma con un tetto alla deroga di 100 milioni per il 2024) la deroga anche alle aree – per cui sia stato dichiarato lo stato d’emergenza – colpite dagli eventi sismici verificatisi dal primo aprile 2009 e dagli alluvioni del 2022 nelle Marche.

Ma le richieste di deroga sono molte e interessano diversi territori colpiti da eventi sismici o alluvionali, dall’Emilia Romagna a Ischia, dal Molise a Calabria e Basilicata, dai Campi Flegrei all’area etnea. E’ firmata dalla Lega, ma nasce da un’idea della commissione, infine, la proposta di coinvolgere i Comuni nei controlli ai cantieri del Superbonus. L’emendamento, del presidente della Finanze Massimo Garavaglia, ha l’obiettivo di “potenziare” il contrasto alle frodi e prevede per i Comuni un incentivo pari al 50% delle somme e sanzioni eventualmente incassate. In attesa della scrematura dei 355 emendamenti depositati in commissione, l’esame riprenderà martedì 30 aprile: si partirà dall’emendamento del governo che proroga di 2 mesi (dal 30 aprile al 30 giugno) il termine per i Comuni per approvare i piani finanziari e le tariffe relativi alla Tari. Insieme al subemendamento del Pd che – spiega la senatrice Cristina Tajani, che lo firma – punta a “far salve le delibere già adottate tra maggio 2024 e la data di entrata in vigore del decreto”.

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Candidature, si chiude il primo maggio

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Tra annunci, sorprese, e chi si concede di arrivare fino all’ultimo minuto per sciogliere le riserve, i partiti entrano nel rush finale della composizione delle liste. Una certezza però accomuna tutti gli schieramenti: entro il primo maggio le forze politiche dovranno depositare i nomi che prenderanno parte alla corsa per le europee 2024. Dopo l’ufficialità della candidatura del generale Roberto Vannacci – in corsa per la Lega in tutta Italia e capolista in Italia centrale – ora si aspettano i leader, anche per far quadrare la scacchiera dei nomi. Ad aver già lanciato la propria candidatura, la segretaria Pd Elly Schlein e il segretario di Forza Italia Antonio Tajani.

La dem capolista al Centro e nelle isole, e il vicepremier ovunque tranne che nelle Isole, dove invece ci sarà Caterina Chinnici. Gli occhi, in queste ore, sono tutti puntati sulla tre giorni a Pescara, dove domenica Giorgia Meloni dovrebbe fare il tanto atteso annuncio sulla sua discesa in campo. Se Giuseppe Conte e Matteo Salvini hanno già rinunciato, all’appello manca solo l’area centrista. O meglio, quella dell’ex Terzo polo. Infatti sono proprio Matteo Renzi e Carlo Calenda ad aspettare l’ultimo minuto per sciogliere la riserva.

I due ex alleati temporeggiano, almeno fino a quando Meloni non scoprirà definitivamente le carte. Ad oggi, tra i due, più quotata la candidatura di Calenda. Leader a parte, alcuni nomi già sono in campo. Proprio oggi gli esponenti di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, hanno presentato alla Camera la candidatura di Ilaria Salis come capolista nel collegio del Nord-Ovest. “Una battaglia in difesa della democrazia, della Costituzione e per l’Europa”, hanno detto i deputati assieme al papà Roberto, sulla candidatura della maestra che a Budapest rischia “11 anni di carcere duro”, per cui Ilaria in una lettera ha sottolineato che si difenderà al “processo” però nel “rispetto” dei diritti.

Per Avs, Fratoianni e Bonelli, non in campo direttamente, hanno putanto sugli ex sindaci, Ignazio Marino, Mimmo Lucano e Leoluca Orlando. Alcuni nomi certi anche per Stati Uniti di Europa di Iv e +Eu, come Emma Bonino alla guida del Nord Ovest. Il Movimento 5 stelle, dopo le autocandidature, sta invece attendendo l’ultimo voto on line degli iscritti sulle proposte del presidente Giuseppe Conte. Il leader di ‘Sud chiama Nord’, Cateno de Luca, e la ministra pentastellata Laura Castelli, guideranno la lista ‘Libertà’ in tutti i collegi. Incognita per ‘Pace Terra e Dignità’ di Michele Santoro che sta concludendo la raccolta firme nelle isole. E mentre la Lega di Salvini incastra le ultime caselle dopo la ‘bomba’ Vannacci, FdI mantiene il riserbo, almeno fino all’annuncio della premier.

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Kermesse Fdi, l’affondo di Mantovano sull’antifascismo

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Basta con le accuse. Di non avere tagliato davvero i ponti con il fascismo. Di essere sovranisti o populisti come se fosse una iattura: sul palco vista mare di Pescara va in scena l’orgoglio di Fratelli d’Italia e a lanciare l’affondo sono due tra gli esponenti più schivi del governo, Luca Ciriani e Alfredo Mantovano. Dall’aborto alla censura, passando per le “etichette” che puntano a “escludere” una parte politica, soprattutto il sottosegretario alla presidenza traccia le linee identitarie del partito che si appresta almeno a triplicare la compagine a Strasburgo al voto dell’8 e 9 giugno. A pochi giorni dalla consegna delle liste, sono le candidature, più che il programma che viene raccontato nelle tre sale allestite sul lungomare nel centro della città adriatica, a tenere banco nei capannelli.

Ci sono già diversi ministri, sottosegretari e una fitta pattuglia parlamentare all’inaugurazione della tre giorni: “135 relatori, 2200 delegati e più di 150 volontari”, fanno sapere da Fdi. E una grande tensostruttura che ha sollevato più di un dubbio tra le opposizioni locali. La kermesse si concluderà, nella speranza di tutti, con l’annuncio della candidatura di Giorgia Meloni alle europee. Lei finora non ha sciolto la riserva ma nel discorso conclusivo della kermesse farà sapere la sua decisione. Qui nessuno scommetterebbe il contrario, anche se le valutazioni sarebbero ancora in corso.

“Avrebbe la conferma della fiducia degli italiani” dice il ministro Francesco Lollobrigida. E indicherebbe, sottolinea anche il capogruppo al Senato Lucio Malan, “l’importanza che diamo a queste elezioni”. Certo, lei non opterebbe per il seggio all’Eurocamera, diversamente dai parlamentari che dovessero correre che invece, almeno nei ragionamenti che si fanno in queste ore, dovrebbero lasciare lo scranno a Roma per quello europeo se eletti (c’è ad esempio Maddalena Morgante che ha già annunciato la candidatura nel nord est, ma si starebbe ancora riflettendo anche su Salvatore Deidda nelle isole, o su Manlio Messina al Sud che sarebbe però più orientato al no). Nell’attesa della premier, che è anche presidente di Fdi e dei conservatori europei di Ecr, si alternano Gennaro Sangiuliano e Guido Crosetto, Ciriani appunto che respinge, all’indomani delle polemiche sul 25 aprile, le “lezioni di chi alimenta odio o divisioni” o le accuse di “censura”, anche perché il partito, sottolinea, “i conti con il passato li ha già fatti mille volte, una volta per sempre”.

Poi arriva Mantovano a metterci il carico: “Il fascismo demonologico era un’arma di esclusione di massa, si traduceva nella moltiplicazione di etichette attaccate a una persona o a un gruppo culturale, e l’arbitro esclusivo era il Pci. Nelle scorse ore abbiamo assistito a un remake dell’operazione etichettatura” che ora si può riproporre con “sovranista, populista o giocando con la categoria stato di diritto”. Mantovano sottolinea che “il vero stato di diritto è quello che vede l’Europa al servizio dei popoli e non gli Stati che rappresentano quei popoli al servizio dei burocrati e dei giudici”. E, ricordando i Trattati fondativi della Ue che prevedono che l’unione si occupi solo delle materie che le vengono affidate dagli Stati proprio attraverso i trattati, va all’attacco della decisione del Pe di qualche settimana fa di chiedere che l’aborto sia aggiunto alla Carta dei diritti fondamentali della Ue. “Confido che il nuovo Parlamento che andremo a eleggere non scriva più pagine simili non solo per il contenuto ma perché completamente fuori dal perimetro” dice dal palco.

Subito dopo spiegherà che a ridosso del primo maggio, il prossimo lunedì, a Palazzo Chigi si parlerà di nuovo tanto di lavoro. Si profila una mossa simile a quella dell’anno scorso, quando il Consiglio dei ministri nel giorno della Festa dei lavoratori decretò l’aumento della detribuzione nel cuneo fiscale. Questa volta il Cdm si riunirà il 30 aprile, e il giorno prima Meloni illustrerà ai sindacati le misure “importanti” sul lavoro contenute nel decreto legge, ora nelle mani del ministro Raffaele Fitto per la messa a punto, che riformerà le politiche di coesione.

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